Perché in URSS il portiere è un eroe: il mito di Lev Yashin
Lev Yashin 1966

Perché in URSS il portiere è un eroe: l’origine del mito di Lev Yashin

Nel calcio, le difese faranno pur vincere i campionati, ma sono gli attaccanti a far vendere i biglietti. Nell’immaginario collettivo sovietico, invece, l’eroe è sempre stato il portiere.

Nel 1936 esce il lungometraggio “Il Portiere”, la storia di Kandidov, un numero uno che abbandona la sua squadra per una formazione più blasonata. Dopo l’inevitabile sconfitta, Kandidov si redime e torna a giocare con i suoi ex compagni, abbandonando individualismo e gloria personale. Il film ha un successo strepitoso, così come lo aveva avuto il libro Zavist’, in cui il portiere Makarov affronta Getzke, fortissimo attaccante tedesco.

Pochi anni dopo, il ruolo del portiere in Unione Sovietica diventerà l’inconscia allegoria della Resistenza all’avanzata nazista.

“Ehi, portiere, preparati a lottare.
Sei lì a guardia della porta,
Pensa che alle tue spalle c’è una frontiera.”
(D
alla canzone “Il Portiere”, 1936).

Lev Yashin

Lev Yashin nasce a Mosca nel 1929: i suoi genitori sono operai nell’industria siderurgica, che sforna carri armati per difendere i confini occidentali dell’URSS; a 12 anni Lev inizia a lavorare proprio per rimpiazzare i colleghi impegnati al fronte. Finita la guerra, Yashin entra nella Dinamo Mosca, la polisportiva del potentissimo Ministero per gli Affari Interni (NKVD, poi MVD).

Nel 1950 debutta da titolare, in amichevole contro il Traktor Stalingrado, prendendo gol direttamente dal rinvio del portiere avversario: complici vento forte ed emozione, Yashin sbatte su un difensore e vede la palla rotolare in rete. Non va meglio alla prima partita ufficiale contro lo Spartacus: l’emozione di sostituire la “Tigre” Khomic gioca un brutto scherzo a Yashin, protagonista di un’altra papera.

Il Ministero prende seriamente la questione e spedisce Yashin a giocare nella squadra di hockey su ghiaccio. Qui il giovane portiere migliora la sua tecnica e sviluppa il suo carattere: la vittoria del campionato sovietico, nel 1953, lo fa entrare nel giro della Nazionale. Ma quando i dirigenti della Dinamo decidono di dargli un’altra chance nel calcio, Yashin non ci pensa neanche un secondo. Sostituisce l’infortunato Khomic e si prende definitivamente la porta della Dinamo Mosca. Si terrà quel posto per 18 anni.

La Dinamo Mosca di Yashin

In quattro anni vince tre campionati, ma è dal 1956 che diventa una celebrità: ai giochi olimpici di Melbourne l’Unione Sovietica vince l’oro contro la “non allineata” Jugoslavia, vendicandosi dello smacco di quattro anni prima. E tutti si accorgono di quel portiere così particolare: oltre ad essere il primo ad usare i guanti – probabilmente un retaggio dell’hockey – è dannatamente bravo. E la sua divisa completamente nera – marchio distintivo della carriera – sembra quasi spaventare gli attaccanti avversari.

Nel 1958 i Mondiali in Svezia sono i primi ad essere trasmessi in tutto il mondo grazie al satellite Sputnik II: in tutta Europa la gente si accalca nei bar per vedere le partite, e i calciatori diventano eroi globali. Non fa eccezione Yashin, che grazie alle sue parate e all’abbigliamento total black si guadagna il soprannome di Ragno Nero.

Lev Yashin in Svezia nel 1958

Yashin è il primo portiere capace di far ripartire rapidamente l’azione, servendo i compagni con lanci lunghi e precisi. Yashin comanda la difesa, anticipa gli attaccanti e sposta in avanti il baricentro della squadra come faranno poi Higuita e Neuer, altro giocatore che sta rivoluzionando il ruolo del numero uno.

Bobby Charlton dirà: Solo il portiere Yashin sa giocare come un difensore attivo, giustificando un altro soprannome guadagnato dal portiere sovietico, “the attacking goalkeeper”. Anche grazie alle sue parate, nel 1960 l’Unione Sovietica vince la prima edizione degli Europei, battendo ancora una volta la Jugoslavia.

Yashin con la Coppa dopo la vittoria dell’Europeo (1960)

Per scacciare la tensione, Yashin ha alcune scaramanzie molto particolari: prima di ogni partita si concede sempre un bicchiere di vodka (“per tonificare i muscoli”) e una sigaretta (“per rilassare i nervi”); gioca con un cappello in testa ed uno appoggiato dietro la porta. Secondo Galeano, è proprio la vodka a giocargli un brutto scherzo nella partita di Cile ’62 contro la Colombia, dove subisce quattro reti. Yashin diventa così il capro espiatorio dei sovietici, eliminati ai quarti dai padroni di casa:

Diventai l’unico a cui dare la colpa. C’era un solo giornalista sovietico accreditato. La verità era lui. Tornai a casa e scoprii che non mi amavano più”.

Se in patria l’immagine di Yashin è momentaneamente appannata, a livello globale è in continua ascesa. Il 23 ottobre partecipa all’amichevole per i 100 anni della Football Association, fermando per 45 minuti tutti i tiri inglesi tra lo stupore dei 100mila spettatori accorsi a Wembley.

Il 10 novembre, nella partita di qualificazione agli Europei di Spagna, para un rigore a Sandro Mazzola: “Lo guardai cercando di capire dove si sarebbe tuffato e solo tempo dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato. Quando presi la rincorsa vidi che si buttava a destra: potevo tirare dall’altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin”. L’Unione Sovietica vince il doppio confronto e Yashin, poche settimane dopo, diventa il primo (e unico) portiere a vincere il Pallone d’Oro.

Yashin continua a difende i pali dell’URSS e della Dinamo Mosca per tutti gli anni ’60 (“Ho giocato solo con la Dinamo e con la Nazionale. So che da voi le cose vanno diversamente. Da voi è normale cambiare casacca); con la Nazionale partecipa anche alla spedizione inglese del 1966, dove si arrende in semifinale alla Germania di Beckenbauer.

La sua fama di pararigori diventa leggendaria: si stima che ne abbia parati oltre 150 nel corso della sua carriera; da buon sovietico, una volta disse:

La gioia di veder volare Gagarin nello spazio è superata solo dalla gioia di un rigore ben parato”.

Prima di ritirarsi, nel 1971, partecipa come riserva al mondiale messicano; il 27 maggio 1971 a Mosca dà l’addio al calcio davanti a 100mila fortunati spettatori: si racconta che oltre 700mila persone avessero cercato di acquistare un biglietto per la partita. Quando la Dinamo propose di ritirare la sua maglia numero 1, lo stesso Lev si oppose spiegando che ci sarebbero stati tanti nuovi portieri altrettanto meritevoli di indossarla.

La sua ultima, indimenticabile uscita.