Massimo Palanca: il reuccio di Catanzaro

Il mancino che la infilava dalla bandierina. Massimo Palanca: il re di Catanzaro

Non c’era nessun segreto. A volte andavano 7-8 metri sopra la traversa, ma l’importante era provarci. Quello che troppo spesso non fanno più al giorno d’oggi.”

A Catanzaro è ancora una leggenda, non solamente per come giocava a pallone, ma soprattutto per il modo di parlare e confrontarsi con le persone. Per tanti è ancora il re del pallone della città tra due mari e anche se oggi è tornato a vivere nella tranquilla Camerino, Massimo Palanca non verrà dimenticato facilmente. Durante una trasmissione sportiva, Sandro Ciotti lo definì come uno dei sinistri più forti d’Europa. La Curva Ovest non vedeva l’ora che entrasse in campo per intonare  “Massimè Massimè, pari na molla pari na molla”. L’Imperatore, O’ Rey, Piede d’Oro, Piedino fatato. Questi sono solamente alcuni dei nomignoli affibbiati a Palanca, il reuccio di Catanzaro, ala sinistra, bandiera delle aquile giallorosse.

“O’ Rey Pelè. Io onestamente non mi sento neanche la minima parte. Io posso essere O’ Rey di Catanzaro, quello sì, però fermiamoci lì. Altrimenti il paragone…” 

Correva l’anno 1989. Fu una delle edizioni più vendute dell’album Panini. La stagione calcistica si sarebbe conclusa con i Mondiali in casa nostra. Tra quelle squadre, piene dei campioni che si apprestavano a colorare quel mondiale sfortunato per gli azzurri, c’era anche quella del campionato cadetto dedicata alle aquile (questo era il loro soprannome) dell’Unione Sportiva Catanzaro. Non fu difficile non innamorarsi della figurina di Massimo Palanca. Era l’ultimo anno della sua carriera.

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Quando parla di sé e dei suoi tiri d’angolo, si nota subito che cerca di sminuire quella rara capacità di calcio; ma quando in carriera la si butta dentro ben 13 volte grazie ad un corner c’è poco da sminuire. Solo per questo merita di essere annoverato nell’enciclopedia del calcio italiano. Palanca, però, non era solo questo.

“Nessuno ci prova, eppure ci sarebbe gente col piede giusto. Però, vi prego, ricordate ai giovani che io sapevo fare altre cose difficili, per esempio le rovesciate, e possedevo un bel tiro da tutte le posizioni. Questa storia dei calci d’angolo è un po’ una persecuzione”.

Il 4 Marzo 1979 allo Stadio Olimpico il tabellone elettronico indica Roma – Catanzaro 1-3: Palanca, Di Bartolomei, Palanca, Palanca. La prima rete arriva direttamente su tiro d’angolo. La Roma pareggia grazie ad un rigore calciato da Di Bartolomei per fallo di Ranieri (Claudio, proprio lui) su Rocca. Il bomber è in una giornata dove gli riesce tutto, intercetta il pallone e anticipa Chinellato e Santarini. Rete. Ancora avanti il Catanzaro, Zanini soffia a Rocca un pallone sulla fascia sinistra, traversone per Palanca, che sul filo del fuorigioco la infila dentro. 1-3. In pagella – non stiamo scherzando – prende 10 e lode.

Una di quelle giornate che non si dimenticano. Una piccola realtà di provincia schianta la Roma in casa con una tripletta di O’ Rey. Oggi si sarebbe anche portato il pallone a casa. A quel tempo in panchina c’era un certo Carletto Mazzone.

“Romano, trasteverino, aveva un grosso interesse a fare bella figura nella sua città. Lui era veramente una cosa fuori dal normale, ma se lo meritava, era un passionale, uno che sentiva le partite, le situazioni. Giocare all’Olimpico lo faceva emozionare e quel giorno lo facemmo felice”. 

Il Catanzaro espugna l’Olimpico, due punti decisivi per la salvezza, e Palanca è il protagonista assoluto. Un famoso personaggio di un romanzo avrebbe detto: Palanca! Chi è costui?”.

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Nato a Loreto il 21 Agosto 1953, trascorre la sua infanzia a Porto Recanati, nella terra famosa per aver dato i natali a Giacomo Leopardi. Alto 169 cm, 64 kg di peso. Aveva il 37 di piede, tanto che lo chiamavano “Pedi i Pupa” (piede di donna in dialetto):

“Il mio non è cresciuto e mi sono dovuto adeguare alla situazione”.

Massimo accudiva il suo magico piedino, tenendolo al caldo in scarpe cucite su misura dalla Pantofola d’oro, l’azienda dei Lazzarini, calzolai di Ascoli Piceno specializzati in calzature per fuoriclasse. Vedi Sivori e Rivera. Palanca portava dei baffoni da far invidia al più blasonato baffo Moretti. Qualcuno, però, diceva che quel baffo assomigliava ad un altro Moretti, quello delle Brigate Rosse, perché quelli erano gli anni della contestazione e della lotta di classe. Noi preferiamo accostarlo al baffo più scanzonato di Tom Selleck, il protagonista ’80s del celeberrimo Magnum P.I.

Molti lo credono cresciuto nella Unione Sportiva Recanatese, in realtà comincia a dare i primi calci al pallone nell’Adriatica di Porto Recanati, e poi a 17 anni si trasferisce alla Passamonti di Camerino. Viene in un certo senso adottato dal Presidente della società, Eligio Santacchi, che lo ospita a casa e tutt’oggi Massimè non perde occasione per ringraziarlo.

“Sono il quinto di otto figli, a quel tempo guadagnavo 15mila lire e una parte di queste la mandavo a casa. Tutti si doveva collaborare, io che avevo la possibilità di guadagnare un po’ contribuivo alla vita della mia famiglia.”

A Camerino, in Promozione, segna 29 reti in 55 presenze. Da qui si passa al Frosinone, in serie C, nel ’73-’74. A quel tempo l’allenatore del Camerino era anche un giocatore della squadra laziale, e la primavera successiva venne ingaggiato proprio grazie a lui. Il famoso girone del Sud: Calabria, Campania e Sicilia. Un campionato molto formativo, dove Palanca vince la classifica capocannonieri a 21 anni: 38 presenze e 18 reti.

L’anno dopo viene finalmente ingaggiato dal Catanzaro in Serie B. Attenzione però: Palanca doveva passare alla Reggina del Presidente Oreste Granillo, che stravedeva per lui. Massimo fece inserire una clausola nel contratto che prevedeva il suo trasferimento solamente nel caso in cui la Reggina non fosse retrocessa. Detto, fatto. Reggina in serie C e Palanca a Catanzaro.

“Prima di tutto devo dire che sono andato a vedere dove fosse Catanzaro sulla cartina geografica, non mi vergogno a dirlo. Il primo viaggio da Roma è stata una cosa allucinante, ho dormito in treno con la testa sulla valigia. A Frosinone prendevo 120.000 lire. A Catanzaro 1 milione al mese. Come da tutte le parti, si facevano contratti annuali, ogni anno era una guerra con presidenti e dirigenti per strappare 100.000 lire in più. Viene da ridere pensando a quello che succede oggi”.

A piccoli passi ci si avvicina alla Serie A. L’obiettivo è quello, che viene raggiunto nel 1976, dopo che l’anno precedente sfuggì nello sfortunato spareggio di Terni, che somiglia molto al ben più famoso accadimento storico noto come lo schiaffo d’Anagni. Ma questa è un’altra storia.

Lo spareggio tra il Catanzaro ed il Verona venne disputato il 26 giugno 1975, allo stadio Libero Liberati di Terni. Vinsero gli scaligeri, con un gol al 25° del primo tempo di Mazzanti. La delusione per la sconfitta si aggiunse alla tristezza per la morte di un tifoso del Catanzaro, Carlo Maria Talarico, a causa di un incidente ad un pullman proveniente dalla Calabria. Il primo anno di Palanca in giallorosso non è memorabile: 35 presenze e 4 reti. L’anno successivo Massimino la mette dentro 11 volte e grazie ai suoi gol, il Catanzaro sale meritatamente in Serie A. La seconda promozione in Prima Serie. È festa grande.

“Ricevimenti dappertutto. Una cosa pazzesca. Ora chi vince lo scudetto affitta quei pullman senza tetto, a noi invece affittarono un trenino dei bambini e ci fecero fare il giro della città. C’era un entusiasmo incredibile, il trenino faceva fatica a proseguire la marcia”.

Ma ancora il Palanca migliore deve arrivare, perché quell’anno, il primo di A, ne fa 5 e il Catanzaro retrocede. E come sempre il reuccio si rialza e insieme al compagno d’attacco Renzo Rossi riporta le aquile in serie A. Stagione di serie B 1977-78: 32 presenze e 18 reti. Da calcio d’angolo quell’anno arrivano 3 gol.

Come spesso accadeva ai Maradona di provincia del tempo, diventavano celebri per un colpo capace di far sognare i tifosi. Se per Vito Chimenti, nell’Avellino era la bicicletta e per Roccotelli ad Ascoli era la rabona, Palanca abbiamo capito cosa faceva. Lui ce l’aveva con la bandierina. A pensarci una follia, ma niente di questo era lasciato al caso.

“Noi che cosa facevamo? Quando tiravo il calcio d’angolo io, c’era un giocatore, che era Claudio Ranieri, che praticamente saltellava davanti alla porta avversaria. Il portiere per un attimo non vedeva la palla, quando gli riappariva si trovava spiazzato. Ma non c’era solo questo. Facevo allenamenti specifici sfruttando il vento di Catanzaro, dove notoriamente soffia molto. Non mi allenavo solo sui calci d’angolo, anche sulle punizioni. Quando venivano a giocare a Catanzaro io tiravo anche da centrocampo.”

Passano tre anni di alto livello in Serie A, segnando 32 reti. Capocannoniere di Coppa Italia con 8 gol nel 1978-79 e vicecannoniere nel campionato 1980-81 con 13 reti dietro all’O’ Rey di Crocefieschi, Roberto Pruzzo. Le strade del Catanzaro e di Palanca si dividono per un po’. Lui prova la grande occasione tentando di cercare fortuna a Napoli, ma non va come previsto.

“Il Direttore Sportivo Spartaco Landini mi chiama e mi chiede se voglio andare al Napoli. Ora, prima di chiudere una trattativa ci sono delle trafile infinite. Io con un semplice sì sono andato dal Catanzaro al Napoli. Forse sbagliai ma la mia idea ormai era di provare per una grande squadra”.

Durò un anno, poi lo cercò Burgnich e passò al Como. Ancora al Napoli per un altro anno e poi Foligno. Niente di trascendentale da segnalare. Palanca decide di rimettersi la corona di nuovo, si rimbocca le maniche e torna in grande stile al Catanzaro. Altri 3 anni e altri 35 gol tra campionati di B, C e Coppa Italia. La lunga cavalcata di questo bomber di provincia finisce qui, nel 1990, alla soglia dei 37 anni.

Due anni fa a Soverato ha festeggiato i suoi primi 60 anni. Gli attestati di stima da parte dei tifosi sono ancora molti. La gente continua a volergli bene anche se sono passati 25 anni dalla sua stagione d’oro. L’entusiamo nell’abbracciarlo è lo stesso di tanti anni fa, e anche se oggi il Ceravolo, lo stadio del Catanzaro, non esplode più insieme a Palanca e al suo sinistro, per strada si sente ancora cantare “Massimè Massimè, pari ‘na molla pari ‘na molla”.

Oggi gestisce un fortunato negozio di abbigliamento a Camerino, nel maceratese, insieme alla moglie. Una vita normale, lontano dai riflettori e dalle TV locali. Paladino di un calcio a dimensione umana. Vogliamo concludere con alcune parole, tratte dalla sua autobiografia “Massimo Palanca: il mio calcio”, da cui traspare tutto il suo essere un po’ pirata e un po’ poeta:

“Sono un povero diavolo, vivo alla giornata, penso all’oggi, il domani non m’interessa. Sono in provincia, lontano mille chilometri dai grandi centri, ma la sera quando vado a casa Catanzaro diventa Parigi, Roma, New York. Sarò un po’ matto, ma è così”.