La fuga per la vittoria di Bert Trautmann, tra Hitler e FA Cup

La Fuga per la Vittoria di Bert Trautmann, dalla Luftwaffe alla FA Cup

Membro della gioventù hitleriana e paracadutista della Luftwaffe; prigioniero di guerra in fuga; portiere del Manchester City e Cavaliere dell’Ordine britannico. Chi pensa che la vita del portiere sia necessariamente fatta di interminabili attese, evidentemente non conosce la storia di Berndt Trautmann.

La statua di Trautmann nel museo del City
La statua di Trautmann nel museo del City

Trautmann nasce nell’ottobre 1923 a Brema; la Germania, uscita sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale e da Versailles, sta affrontando l’iperinflazione del marco. Sarà proprio la crisi economica a favorire l’avvento di Hitler, che diventa cancelliere quando Bernhard ha nove anni. Figlio di un lavoratore portuale e di una casalinga, Bernd fa parte della prima generazione indottrinata con il nazismo grazie alla Gioventù Tedesca (poi Gioventù Hitleriana).

Da giovane promessa dello sport, premiato addirittura dal Presidente Von Hindenburg nel 1934, assiste stupito alle Olimpiadi di Berlino, vera dimostrazione di forza ed efficienza della macchina nazista.

Nella II Guerra Mondiale, Bernhard è incaricato di riparare i veicoli militari: durante la campagna di Russia, mette per scherzo della sabbia nel motore della macchina di un ufficiale. Il “sabotaggio” gli costa nove mesi di carcere – poi ridotti per problemi fisici – in una ex prigione sovietica. Viene poi destinato ai paracadutisti della Luftwaffe: catturato dall’Armata Rossa, riesce a fuggire e a spostarsi sul fronte occidentale, dove gli Alleati stanno preparando lo sbarco in Normandia: qui si guadagna due Croci di Ferro e il grado di caporale.

Tornato a Kleve, in Renania, resiste tre giorni sepolto tra le macerie prima di essere trovato dagli inglesi e portato in un campo di prigionia a Ashton-in-Makerfield, nel Lancashire.

Nel campo i prigionieri lavorano per rilanciare l’industria britannica, intervallando i turni con lunghe partite a pallone. Bernhard gioca come mediano, ma dopo un leggero infortunio decide di scambiarsi il ruolo con il portiere. Così, per caso, avviene il miracolo: Trautmann sembra nato per stare tra i pali. Nel 1948 potrebbe rimpatriare, ma si trova così bene in Inghilterra che decide di rimanere: il St.Helen’s Town, club di IV divisione, lo tessera. In poco tempo, la sua fama inizia a diffondersi per la brughiera: ogni settimana ci sono sempre più persone a vedere il St.Helen. A vedere Bernhard Trautmann.

Parata in tuffo di Trautmann

“Ci sono stati solo due portieri di classe mondiale. Uno era Lev Yashin, l’altro quel ragazzo tedesco che giocava nel Manchester, Trautmann.” (Lev Yashin)

Alla finale della Mahon Cup, un trofeo locale di poco conto, arrivano 9mila persone; tra loro, anche gli osservatori del Manchester City, che stanno pensando come sostituire il leggendario Frank Swift. “Sarà pure un nazista, ma tra i pali è un portento”, pensano i dirigenti mancuniani vedendo Bert, come oramai lo chiamano gli inglesi.

L’ex caporale sbarca in First Division, ma il ricordo della guerra è ancora troppo recente. Manchester non vuole un portiere “nazista”: lettere minatorie, minacce di boicottaggio, perfino una manifestazione con 20mila persone in strada. Deve intervenire il capitano Eric Westwood, eroe di Normandia, per spiegare che: “In uno spogliatoio la guerra non esiste”.

Bernhard debutta in casa, ma è come se fosse in trasferta: subissato dai fischi, riesce a far ricredere il suo pubblico sfoderando una grande prestazione. Se il Maine Road è conquistato con relativa facilità, negli altri stadi l’atmosfera è ancora ostile. Il 14 gennaio il City incontra il Fulham: è la prima partita di Trautmann a Londra: l’atmosfera è tesissima. Troppi i ragazzi morti in guerra, troppo numerose le macerie sparse per la città, troppo recenti le corse nei bunker antiaerei.

Il Fulham passa presto in vantaggio, e schiaccia il City nella sua area per 90 minuti: Trautmann colleziona una serie di interventi strepitosi, che fermano il punteggio sul 1-0. A fine partita, il Craven Cottage si è ricreduto: tutto lo stadio si alza in piedi per rivolgere una standing ovation a Bert, il portiere tedesco che si è guadagnato il rispetto degli inglesi. E poco importa se il ct tedesco non lo convoca per il vittorioso Mondiale 1954 (“Non prendo legionari stranieri”); Trautmann, oramai inglese d’adozione, accompagna comunque la Germania in qualità di traduttore.

Trautmann in azione contro il Bolton, 1954

Nel 1956 il City è, per il secondo anno di fila, in finale di FA Cup, trofeo che non vince dal 1934. Al 73’ il Manchester sta vincendo 1-0, quando in uno scontro di gioco Trautmann batte la testa contro il ginocchio di Peter Murphy: non essendo ammesse sostituzioni, il portiere tedesco rimane in campo, salvando il risultato con due parate eccezionali. Il colpo ha lasciato Trautmann con capogiri e mal di testa e, a 12 minuti dalla fine, è riuscito comunque a fare due salvataggi incredibili, che egli stesso non sa spiegare. (The Manchester Guardian, 7 maggio 1956).

I compagni sorreggono Trautmann, infortunato dopo la vittoria in FA Cup

I Citizens vincono la Coppa tra gli applausi dei 100mila spettatori accorsi a Wembley: Trautmann partecipa alla cerimonia di premiazione e alla cena con i reali inglesi.

“Perché ha la testa piegata?”, chiede incuriosito il Principe Filippo.
“Devo avere il torcicollo”, risponde Trautmann.

Solo tre giorni dopo, visto il persistente dolore, Trautmann si sottopone ad esami approfonditi: cinque vertebre slogate, di cui una spezzata in due. Come spiega il suo ex compagno di squadra Francis Lee: “Bert era stato sul fronte occidentale e su quello orientale, non aveva certo intenzione di farsi tenere fuori da una semplice frattura al collo”.

The Sun, 9 maggio 1956. Prima pagina del Sun dopo la vittoria di Trautmann in FA Cup

Alla fine della stagione, Trautmann è il primo portiere ad essere nominato giocatore dell’anno della First Division. Bert rimane a difendere i pali del City fino al 1964: dopo 545 partite con i Citizens, si ritira nel 1964. Alla partita d’addio vengono a salutarlo in 60mila persone: Manchester si spella le mani per quel tedesco che aveva accolto con tanta diffidenza.

In 15 anni Bert può dire di aver parato tutto: tiri, fantasmi e pregiudizi. E pazienza per quel torcicollo.