Moratti e la Hit Parade dei bidoni interisti.

Massimo Moratti e la Hit Parade dei bidoni al pascolo di Appiano Gentile

“Legarsi all’Inter vuol dire essere pronti a vivere una vita emozionante, costantemente emozionante. È come uno che fa un viaggio d’avventura, non è un viaggio comodo, è un viaggio che può essere scomodo ma che ti dà tante di quelle emozioni che ti rimane in mente. Questa è l’Inter. Il viaggio con l’Inter è di questo tipo.”

Un viaggio talmente emozionante e capace di rimanerti impresso per anni, che poi non puoi più dimenticartelo. Massimo Moratti si riferiva sicuramente ad una storia di passione e di gloria. Della grande Inter anni ’60, di cui ancora molti si ricordano l’11 titolare a memoria, di suo papà Angelo, di Helenio Herrera e del compianto Avvocato Peppino Prisco:

“Se stringo la mano a un milanista mi lavo le mani, se stringo la mano a uno juventino mi conto le dita”.

Noi pero l’abbiamo intesa in un altro modo. E se non ci stancheremo mai di guardare con simpatia e affetto a quest’uomo, che per l’Inter ha dato tutto quello poteva, in 15 anni di presidenza ha infilato più o meno una trentina di colpi a salve (escluso l’andirivieni infinito di allenatori). Il solo pensare di aver acquistato il fenomeno e portare a casa un articolo da tappezzeria non può non lasciarti l’emozione indelebile di aver buttato via una marea di miliardi.

Cimentarsi in un articolo del genere significa sapere dove si comincia ma non avere idea di dove si può andare a finire. Si entra dentro un mondo meraviglioso fatto di storie, retroscena, trattative dell’ultimo minuto, “colpi di genio” e abbagli clamorosi. I cosiddetti “bidoni del calcio” sono entrati nell’immaginario collettivo di molti sportivi, e se in un primo momento fanno arrabbiare i tifosi più accaniti, a distanza di anni, dallo scherno iniziale si passa al sorriso consolatorio di chi ha visto giocare per i propri colori un personaggio folkloristico che se non fosse stato acquistato non avrebbe mai conosciuto.

Il 23 Ottobre 2014, Massimo Moratti chiude la sua lunga esperienza come Presidente dell’Inter. Questo il suo palmares: 5 Scudetti, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe di Lega, una Coppa Uefa, una Champions League e un Mondiale per Club. Per conquistare il mitico triplete 2010 firmato Mr. Special One José Mourinho, ci sono voluti 15 anni dall’insediamento a Palazzo Durini. Se ci si pensa bene un bottino di tutto rispetto. Alla fine ha vinto di tutto.

Oggi, però, vogliamo guardare alla sua storia sotto un’altra prospettiva. Quella dell’Inter come il cimitero degli elefanti che, calcisticamente parlando, significa il posto dove vengono confinati  i giocatori che non si sa come utilizzare e finiscono nel dimenticatoio per rimanerci o per “passare a miglior vita” con i colori di un’altra maglia.     

Un Moratti riflessivo in tribuna (credits: il pallonaro.com)

Dopo più di 18 anni la società passa nelle mani “di quer filippino” (cit.) di Erick Thohir.

Si calcola che il signor Moratti abbia dovuto sostenere una spesa pari a 1,2 miliardi di euro: ovvero non sapere come venirne fuori e avere la brillante idea di mettere le mani nella marmellata di famiglia. Di questi 1,2 mld., infatti, 750 milioni provengono dalla collocazione in borsa della Saras Raffinerie Sarde Spa, creata e portata avanti da suo papà Angelo.

Tuttavia, in ogni famiglia facoltosa che si rispetti, c’è sempre la pecora nera. C’è sempre il figlio stravagante che preferisce sperperare il patrimonio nel pallone piuttosto che dedicarsi con sacrificio all’utile della ditta.

Se Luca Campedelli e Gino Pozzo, figlio del Patron dell’Udinese, hanno visto bene di non mandare in rovina le famiglie, dilapidando i soldi duramente guadagnati rispettivamente con i Pandori Paluani e le Frese Udinesi, la stessa cosa non si può dire del nostro amico Massimo Moratti. Lui ne aveva decisamente di più e giustamente ha voluto fare le cose in grande stile. Un mecenate dal cuore d’oro, per la serie “tanto paga pantalone”.

Dal 1995 ad al 2013, al timone del calciomercato interista, con ruoli diversi, non possiamo dimenticare personaggi come Giacinto Facchetti, Luisito Suarez, Sandro Mazzola, Gabriele Oriali e Marco Branca. Spesso, infatti, quando uno quando l’altro, si sono messi d’impegno nell’andare a pescare gioielli sconosciuti al grande pubblico che poi si sono rivelati dei bidoni clamorosi. Dare sempre ascolto a questi collaboratori può essere molto pericoloso.

C’è il rischio di addormentarsi con la convinzione di aver comprato il nuovo astro nascente del pallone e svegliarsi con il ronzio fastidioso del “ma chi me l’ha fatto fare”. E se noi ci divertiamo ironicamente a canzonare il Presidente in questo modo, quello che non può essere negato, è che un’attitudine del genere porta inevitabilmente a campagne acquisti del tipo: “Va dove ti porta l’IBAN”.

I segni di questa epica avventura, però, già si erano visti precedentemente sotto la gestione Ernesto Pellegrini e ancora prima, quando durante un provino alla Pinetina, tra Giuseppe e Franco Baresi, i nerazzurri scelsero il primo. Come sanno tutti, Franco, diventerà il miglior difensore del mondo negli anni ’90.

Ma Pellegrini è famoso per aver acceso la miccia di questa rocambolesca storia di campagna acquisti finita male, con il tesseramento in nerazzurro di Darko Pancev, per la simpatica cifra di 14 miliardi. Conosciuto fino ad allora come il Cobra, lasciò l’Italia con il soprannome di Ramarro, proprio nel ’95, primo anno dell’era Moratti.

Due stagioni fa ho realizzato molte reti nelle amichevoli e in Coppa Italia. Non sono scarso. Sono incompreso.”

Dopo aver fatto faville nella Stella Rossa di Belgrado, con la vittoria della Coppa Campioni nel 1991 e dopo aver segnato 84 gol con i colori biancorossi, all’Inter verrà ricordato solamente per gli imbarazzanti errori sotto porta e per i video a lui dedicati dalla Gialappa’s Band a Mai Dire Gol. E pensare che in quella Stella Rossa c’erano campioni del calibro di Jugovic, Mihajlovic, Prosinecki e Savicevic. Era impossibile toppare. Il borsino di Pancev è di una pochezza imbarazzante: 19 presenze e 3 reti complessive in campionato. Una miseria.

Si diceva che prima del trionfo in Europa la strada è stata lunga e tortuosa. Un lavoro segnato da scivoloni incredibili e autogol pazzeschi. Abbiamo provato a fare il conto, ma non ci siamo riusciti. Una faticaccia che avrebbe bisogno dell’aiuto dell’enciclopedica Treccani. Visto che la lista è veramente lunga abbiamo provato a tracciare una ideale Hit Parade in stile Flop 11, composta esclusivamente da quelli che secondo noi sono da annoverare tra i peggiori acquisti assoluti.

Va in scena un ipotetico e creativo 4-3-1-2 Moratti Flop. Eccolo servito.

1) FABIAN CARINI – Portiere

“Carini non lo voglio più vedere.” Parola di Massimo Cellino, Presidente del Cagliari.

Dr. Cellino non si preoccupi, tanto se lo riprendono all’Inter. Qualcuno dice che bastava leggere il cognome per sapere dove si andava a finire. Carini ma non troppo.

Estremo difensore uruguagio classe 1979. Di proprietà della Juventus, viene scambiato con Fabio Cannavaro già pagato 25 milioni. Un semplice incrocio di cartellini. Scelta azzeccatissima, cambiare il futuro Pallone d’oro con un portiere di dubbia provenienza. Corre l’anno 2004. Il portierone trova pochissimo spazio tra le file dell’Inter. La società decide di mandarlo in prestito al Cagliari, dove colleziona 8 presenze, prima di tornare all’ovile nerazzurro. Unica soddisfazione, guardare dalla tribuna i compagni che vincono lo Scudetto 2006/07.

2) VRATISLAV GRESKO – Terzino Destro

Per me e’ piu’ difficile che per gli altri mandare giu’ questa sconfitta. E il mio dispiacere e’ ancora piu’ grande perche’ in Slovacchia ho perso altri due titoli all’ultima giornata.”

Oltre che scarso, portava anche sfiga.

A Milano, sponda interista, se lo ricordano ancora. Il fatidico 5 Maggio 2002, l’Inter si gioca lo scudetto a Roma contro la Lazio. Bastava una vittoria per vincere il campionato, chi si mette in mezzo? Quel biondo slovacco di Vratislav Gresko. Un errore madornale su Poborsky e pareggio della Lazio. Finirà 4-2 per le aquile e festeggiamenti rimandati a data da destinarsi. Gira voce che a Milano avessero organizzato delle ronde per cacciarlo dal centro. Cose dell’altro mondo.

Anche se sarebbe un numero 3 per la sua attitudine a giocare sulla sinistra, abbiamo deciso di inserirlo sulla destra in un’ipotetica difesa a 4, perché a sinistra la lista dei bidoni di Casa Moratti supera la fantasia. Acquistato per 9 miliardi di lire, fortemente voluto da Tardelli, lascia l’Inter in lacrime e si rifugia a Parma dove conclude la sua esperienza italiana alla grande. 5 presenze e un calcio nel sedere prima di passare al Blackburn.

Gresko in versione portapalloni (credits: frickfoot.it)

3) JEREMIE BRECHET – Terzino Sinistro

“Abbiamo preso il nuovo Brehme.” (Marco Branca)

 La maledizione della fascia sinistra. Va in scena un altro episodio della sit-com “Compriamo giocatori a caso perché me l’ha detto Marco Branca”.

Il problema dell’Inter, dopo la cacciata di Roberto Carlos da parte di Roy Hodgson, è sempre stato quello di trovare un nuovo fluidificante di fascia. Un tallone d’achille durato per anni e che ha fatto arrivare giocatori come Pedroni (famoso per aver rovinato la carriera di Futre), Milanese, Pistone, Solari, Coco, Centofanti, Macellari, Michele Serena, Georgatos, Silvestre, Wome, Gilberto.

Brechet, detto anche L’Inutile però li batte tutti, tanto da far cantare alla Curva Nord: “Perché, perché c’abbiamo Brechet?

Passato all’Inter dall’Olympic Lyonnais per 5 milioni di euro e venuto a sostituire il già citato Gresko, giocherà 9 partite combinandone di tutti i colori, prima di essere cacciato in Spagna alla Real Sociedad. Una piaga di proporzioni bibliche.

4) CIRIACO SFORZAMediano

“Non penso di assomigliare a Roberto Baggio. Sono molto più vicino a Matthaeus.”

“Anche in questo reparto finalmente c’e’ concorrenza, come in difesa e in attacco. La concorrenza fa bene. Sono sicuro che Sforza non toglierà spazio a nessuno.” Roy Hodgson, allenatore dell’Inter.

Infatti, l’acquisto di questo svizzero, figlio di emigranti avellinesi, non è stato certo un problema in quanto a spazio. Ci mancherebbe.

Anche stavolta, sotto la pressione della Premiata Ditta Facchetti-Hodgson, Moratti apre il portafoglio e Ciriaco passa all’Inter nell’Agosto del 1996.  Costo dell’operazione 6 miliardi. Segna all’esordio mettendo il sigillo alla vittoria contro l’Udinese, e in curva pensano che è la volta buona. Lento come un ippopotamo, Ciriaco rimane a Milano solo un anno: gioca 26 partite con 1 gol in campionato. La sua ultima gara in nerazzurro non poteva non coincidere con la drammatica finale di Uefa persa ai rigori il 21 Maggio 1997 contro lo Schalke 04.

I tifosi nerazzurri lo ricorderanno soprattutto per una citazione nel film di Aldo, Giovanni e Giacomo, Tre uomini e una gamba, quando Aldo acquista la maglia n. 21 di Sforza perché “quella di Ronaldo era finita”.

 5) CYRIL DOMORAUDCentrale di Difesa

“So che Lippi mi segue da due anni, per me è un onore. Nell’Inter spero di conquistarmi il posto. Non facciamo le Coppe europee, e ho subito capito che l’obiettivo di tutti è lo scudetto.”

Come ha fatto Lippi a seguirlo costantemente per due anni rimane ancora un mistero. L’ivoriano si rese infatti protagonista di una serie di cantonate difensive e di lisci tali da averlo consegnato al gotha dei flop morattiani. Un bidone col pedigree.

Siamo nel 1999, in casa Inter è tempo di grandi stravolgimenti. Dopo la precedente annata disastrosa, Massimo Moratti è deciso a rilanciare la squadra affidandosi a Marcello Lippi che già aveva risollevato le sorti juventine.

Alla Pinetina, tra qualche vecchio bianconero, arriva anche il duo centrale difensivo marsigliese, che l’anno precedente in Coppa Uefa aveva ben impressionato: Laurent Blanc, già al Napoli nel ‘91/’92, e il suo fedele ronzino Cyril Domoraud, acquistato dai nerazzurri per 8 miliardi di lire. Lippi aveva deciso di trasformare una difesa in versione “Banda del Buco” nella nuova Linea Maginot. Peccato che Domoraud scese in campo solo sei volte, facendo venire un coccolone ai tifosi della Nord.

Curiosità su Cyril. In costa d’Avorio stava studiando per diventare medico. Forse sarebbe stata la scelta giusta.

 6) GONZALO SORONDOCentrale di Difesa

“Per la mia altezza sono veloce e gli attaccanti rapidi non mi fanno paura. Ma so benissimo che in Italia trovero’ degli avversari di primissimo piano.”

È vero. In Italia all’epoca c’erano giocatori di primissimo piano. Ma quando bastano Igli Tare e Carmine Gautieri a metterti al tappeto dovresti cominciare a farti due conti.

Questo simpatico ragazzone di Montevideo, arriva a Milano nella stagione 2001/02 dopo che l’Inter sborsa 18 miliardi per superare la concorrenza del Real Madrid, assicurandosi così il centrale che, nei piani di Cuper, dovrebbe sostituire il partente Blanc. Un’idea geniale. Doveva essere il nuovo Paolo Montero. I tifosi, invece, si ritrovano un cammello impacciato a guidare la difesa, tanto che viene subito fatto accomodare in panchina.  Nella prima stagione colleziona 11 presenze, mentre nella seconda, udite udite, neanche una. 0 spaccato. Un vero recordman.

7) QUARESMACentrocampista di destra

C’è un solo giocatore che voglio copiare: Luis Figo. Lo trovo impressionante, voglio diventare come lui.”

Campa cavallo che l’erba cresce. Certi paragoni lasciamoli fare a qualcun altro. Ricardo Quaresma, classe ’83, viene acquistato nel 2008, fortemente voluto da Mourinho. Incubo di una notte di mezza estate. Costo del cartellino: 24 milioni di euro. Il Trivela delude moltissimo, tanto che i tifosi nerazzurri dopo appena poche apparizioni già non lo sopportano più. Svogliato, inconcludente, sempre a provare la giocata d’esterno. Un disastro.

In campionato segna un gol in 34 partite. Una sventura avercelo in campo. Nell’estate 2010 passa al Besiktas per 7 milioni, una minusvalenza di livello.

Verrà ricordato soprattutto per aver vinto il Tapiro d’oro di Striscia la Notizia avendo ripetutamente superato il limite di velocità nel tragitto “Casa – Appiano Gentile” e per la vittoria dell’ambito Bidone d’Oro 2008 staccando tutti in vetta alla classifica.

8) VAMPETACentrocampista di Sinistra

 E qui le citazioni si sprecano:

Vampeta è una sorta di Tardelli moderno.” (Giancarlo Antognoni). “È un po’ Rivelino e un po’ Dunga.” (Vanderley Luxemburgo, CT del Brasile). “È talmente bravo che la sua collocazione non è e non sarà sicuramente un probema.” (Gabriele Oriali).

Ma la più significativa rimane quella dello stesso Vampeta:

In Brasile sono un idolo e perciò mi chiedo: possibile che i brasiliani siano degli stupidi e che in Italia abbiano tutti ragione?”

Questa volta può darsi. Anche La Gazzetta c’era cascata, titolando così il giorno del suo acquisto: “Vampeta di entusiasmo”.

È il re dei bidoni dell’epoca morattiana. 30 miliardi per accaparrarsi le sue prestazioni sportive e 4 miliardi netti a stagione come ingaggio. Il 5 Settembre del 2000 avviene la presentazione ufficiale. Doveva essere motivo di vanto della compagine allenata da Marcello Lippi e invece diventa solamente un uomo da copertina. Infatti si conquista il titolo di icona gay per eccellenza dopo aver posato per G-Magazine: “L’ho fatto solamente per soldi”.

Il 29 Novembre 2000 gioca la sua ultima partita in maglia nerazzurra, in una drammatica sconfitta per 6-1 contro il Parma in Coppa Italia. E così i dirigenti di Via Durini lo cedono in prestito al Paris Saint Germain, che in cambio offre ai nerazzurri Stephane Dalmat. Un altro placebo.

Vampeta in una delle sue pose cult

9) SEBASTIAN RAMBERTCentravanti

“Ma quale Rambert, il vero affare di Moratti e’ Zanetti, un fenomeno.” (Diego Armando Maradona)

El Pibe de Oro aveva ragione, anche in veste di osservatore per caso. Quando si dice partire col botto. Infatti, Rambo, è il primo acquisto di Casa Moratti.

Comprato nel 1995 insieme a Javier Zanetti, non vale neanche un decimo dell’attuale vicepresidente interista. Viene tesserato per la cifra di 4,2 miliardi di lire per non entrare mai in campo in campionato. Mai. Sono solamente due le presenze in stagione. La prima contro il Lugano in Coppa Uefa, e la seconda, contro lo spauracchio Fiorenzuola in Coppa Italia.

In Argentina era conosciuto come Avioncito per la sua consueta esultanza dopo un gol. L’aeroplanino Montella de “noattri”. Viene cacciato in Spagna, purgatorio di tanti bidoni, precisamente al Real Saragozza, ma anche lì poca roba. Meglio tornare in Argentina al Boca Juniors, prima di buttarsi in politica e diventare Assessore allo Sport di Quilmes. In giacca e cravatta gioca decisamente meglio. Forse.

I gioielli di Casa Moratti
Zanetti e Rambert presentati ad Appiano Gentile (copyright: AIC Foto)

10) MARKO ARNAUTOVICMezza Punta

“Mourinho pensa che sono fortissimo, ma solo se vado a letto presto!”

Eccoci di nuovo a commentare le gesta fuori dal campo di quello che venne definito il nuovo Ibrahimovic. Un altro appellativo buttato alle ortiche.

La coppia atomica Arnautovic-Balotelli

Marko Arnautovic è uno degli ultimi colpi più belli del genio di Marco Branca. Classe 1989, austriaco, come Ibra, si è fatto notare in Olanda, con la maglia del Twente. Arriva a Milano nel 2009 per 10 milioni di euro tondi tondi. Giù il cappello per Moratti. Un colpo da capogiro. Ora gioca nello Stoke, e fino ad ora ha collezionato 15 presenze con 1 solo gol. Non male per quello che doveva essere uno degli astri nascenti del calcio continentale.

Sicuramente non ce lo dimenticheremo come “disturbatore di interviste”, come quella famosa a Balotelli, dove intervenendo da dietro comincia a sghignazzare in faccia a Mario, tanto che il giornalista osserva: “per la cronaca è Arnautovic”. Balotelli, infatti, risponde: “È uno stupido. Quindi può esser solo lui”. Verrebbe da dire “il bue che dà di cornuto all’asino”.

11) CAIO – Seconda Punta

“Spero che i tifosi si rendano conto che in due settimane e a 20 anni non puo’ essere come Baggio.”  (Roy Hodgson)

Quest’anno ne fa 40, ma di Baggio neanche l’ombra.

Caio Ribeiro Decossau nasce a San Paolo, patria di fenomeni brasiliani, e viene acquistato nel 1995 per la bellezza di 5 milioni di dollari. Un ragazzo tranquillo e sorridente. Un po’ mascotte da spogliatoio e un po’ Fantasma di Canterville sul terreno di gioco. Colleziona 6 memorabili presenze in nerazzurro più un paio di comparsate in Coppa Italia. 0 reti.

Caio RIbeiro Decossau

Et voilà, chapeau anche per il Sig. Caio. Viene poi girato in prestito al Napoli per formare un tandem d’attacco esplosivo insieme a Nicola Caccia. Niente da fare anche sotto il Vesuvio, non riesce a vedere la porta, tant’è che viene sostituito per la pace dei dirigenti partenopei con Alfredo Arma Letale Aglietti. Rimesso nella naftalina e rispedito in Brasile, girerà senza pace tra Santos, Flamengo, Fluminense e Gremio.

Proverà a tornare in Europa, nell’ambitissima Serie B tedesca, vestendo i colori del Rot-Weiss Oberhaüsen, prima del definitivo rientro in patria. A 30 anni appende le scarpe al chiodo e tenta un’improbabile carriera sulla passerella come modello. Non per niente veniva soprannominato Douthorinho (dottorino) per il suo abbigliamento elegante e il sempre curato aspetto estetico.

Appendice

Questa carrellata di acquisti andati in fumo, però, non rende giustizia a tutto l’universo del calciomercato interista e se non possiamo qui raccontarvi le memorabili gesta di tutti, vogliamo lasciare un piccolo spazio per gli scambi “Milan-Inter”. Partire dall’Internazionale come dei bidoni certificati e riscoprirsi calciatori nei campetti di Milanello. Un fenomeno sociologico.

Tutto è cominciato con lo storico scambio tra Andrea Pirlo e Andres Guglielminpietro, detto Guly. Pirlo passa al Milan e Ancelotti, piazzandolo davanti alla difesa, lo fa diventare uno dei centrocampisti più rivoluzionari degli anni 2000. Guly, invece, passa sulla sponda nerazzurra si perde nella nebbia di Appiano Gentile.

Nel 2001, Christian Brocchi va dall’Inter a Milanello, mentre Drazen Brncic va alla corte di Moratti. Nonostante Brocchi non venga molto impegnato, si ritaglia uno spazio importante e getta le basi per un futuro da allenatore: è l’attuale tecnico della Primavera. Dire qualcosa, invece, su Brncic è fiato sprecato, oltre che aver un cognome impossibile da pronunciare.

L’estate del 2002 regala gioie irripetbili. Clarence Seedorf passa dall’Inter al Milan in cambio di Francesco Coco. Non siamo su Scherzi a Parte. È tutto vero. L’olandese diventa una pedina inamovibile nell’albero di Natale di Ancelotti, mentre per Coco è l’inizio del baratro. Da lì a poco smette di giocare alla soglia dei trent’anni.

Avanti tutta. Ancora il 2002. Il croato Dario Simic passa in rossonero, mentre il turco Umit Davala viene tesserato per l’Internazionale FC. Il primo sì è dimostrato un rincalzo utilissimo, mentre il secondo non ha mai messo piede in campo.

Poi c’è il caso di Thomas Helveg. Il difensore milanista, dopo aver trascorso qualche anno alla insieme a Zaccheroni prima e Ancelotti , passa all’Inter garantendo una plusvalenza di 6 milioni al Milan. Moratti che fa? Lo cede in prestito al Milan, per appena 1000 euro. Un’altra operazione da record dei dirigenti nerazzurri.

Una volta, ad Adriano Galliani, fu chiesto il motivo di tutti questi incroci milanesi: “Ci scambiamo i giocatori con l’Inter perché le loro mogli e fidanzate sono ormai abituate a vivere a Milano e non saprebbero più farne a meno”. Stava mentendo spudoratamente. Chissà se anche il Mr. Thohir ci regalerà altri capitoli e storie da raccontare. Con buona pace del Signor Moratti.

http://www.dailymotion.com/video/xjyq3w_maurizio-mosca-roy-hogson_shortfilms

Maurizio Mosca interroga alla sua maniera Roy Hodgson riguardo la cessione di Roberto Carlos.