Il laboratorio del Colonnello Valeri Lobanovski

Il laboratorio del Colonnello Lobanovski: tra Gagarin, calcolatori e Shevchenko

Una laurea in termoingegneria, il grado di Colonnello dell’Armata Rossa e un lavoro da idraulico alle porte: nell’Unione Sovietica del dopo-Stalin lo sport è ben lontano dal professionismo. Così il giovane Valeri Lobanovski deve pensare a guadagnarsi da vivere con mestieri più classici, mentre il suo talento lo rende uno degli assi portanti della Dinamo Kiev.

Ala sinistra con un impressionante tiro a giro (famosi i suoi gol “olimpici” da calcio d’angolo), Lobanovski nel 1961 vince il Campionato dell’URSS; terminerà la carriera a soli 29 anni per un diverbio con Victor Maslov, allenatore della Dinamo e inventore del 4-4-2. L’ala accusa il tecnico di dare poco spazio alla fantasia: scelta comprensibile, dato il livello medio dei giocatori e la filosofia del calcio sovietico, politicamente attento a mettere il collettivo davanti alle individualità.

Nel 1969 Lobanovski diventa allenatore del Futbol’nyj Klub Dnipro, squadra sponsorizzata dalla Yugmash, l’agenzia spaziale sovietica. Sono gli anni in cui la corsa allo spazio tocca il suo apice, trasformando le ansie di un conflitto mondiale in innocue Guerre Stellari: nel 1961 il cosmonauta Jurij Gagarin è il primo uomo nello spazio, e nel 1969 Armstrong cammina sulla luna.

L’allunaggio dell’Apollo 11 segna il definitivo sorpasso della tecnologia USA, proprio mentre anche in URSS cominciano a diffondersi i primi mastodontici computer.

IBM computer, 1960

Probabilmente Valeri Lobanovski pensa anche ai voli spaziali e alle incredibili potenzialità dei calcolatori mentre allena il Dnipro; per un ingegnere come lui, la tentazione di applicare un metodo scientifico ad un gioco dalle infinite variabili è irrinunciabile: non a caso, Lobanovski sarà il primo tecnico ad utilizzare un computer.

Lobanovski decide di consultare il Professor Zelentsov, dell’Istituto di Scienze Fisiche: insieme sviluppano un programma capace di analizzare ogni partita suddividendo il campo in 9 quadranti e calcolando i movimenti di ogni giocatore. In questo modo, secondo Lobanovski, sarà più facile capire le intenzioni dei compagni di squadra e anche le zone meno presidiate dagli avversari.

I due elaborano anche una tabella per valutare la forma fisica dei vari giocatori, di modo da perfezionare gli allenamenti ed evitare sovraccarichi. La preparazione è durissima, e la disciplina ricorda quella dell’esercito: chi sgarra viene messo fuori rosa, ma chi riesce a sopportare i carichi di lavoro diventa un atleta perfetto.

Organizzazione rigorosa e carisma da ufficiale dell’Armata Rossa: così in tre anni il Colonnello porta il Dnipro nella Vysšaja Liga, la prima divisione sovietica. Lobanovski viene tesserato dalla Dinamo Kiev, divenuta  proprio grazie a Maslov la principale squadra del paese. Qui decide di perfezionare ulteriormente i suoi metodi affidando la preparazione a Valentin Petrovski, trainer di quel Borzov vincitore dei 100 metri alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Gli allenamenti proseguono anche durante la lunga sosta invernale, con lunghe sedute tattiche e tournée in Europa.

I risultati sono incredibili: nel 1974 la Dinamo è la prima squadra sovietica a centrare l’accoppiata Campionato e Coppa; l’anno seguente sarà la prima ad alzare un trofeo continentale dopo aver battuto gli ungheresi del Ferencváros 3-0 in finale di Coppa delle Coppe. A settembre, in Supercoppa Europea, l’Armata di Lobanovski supera addirittura il Bayern Monaco, e il ventiduenne Blochin sigla l’1-0 con il quale si assicura anche il Pallone d’Oro.

La Dinamo Kiev con la Coppa Coppe del 1975

I dirigenti del calcio sovietico sono sconvolti: finalmente, un tecnico capace di vincere oltre la Cortina di Ferro, per di più basandosi su quel collettivismo che si vorrebbe applicato a calcio e società. Il Colonnello è nominato immediatamente allenatore della Nazionale, esclusa dai Mondiali tedeschi per non essersi presentata allo spareggio contro il Cile di Pinochet.

Dodici giocatori della Dinamo entrano in pianta stabile in Nazionale, e la Federazione decide di giocare tutti gli incontri dell’URSS a Kiev per far sentire “a casa” il blocco ucraino. Nel 1976 la Nazionale va male agli Europei e raggiunge il terzo posto alle Olimpiadi di Montreal: un mezzo fallimento viste le enormi aspettative, tanto che Lobanovski torna a dedicarsi a tempo pieno alla Dinamo. Lì continua a far incetta di titoli nazionali e nel 1986 riesce a bissare la grande impresa del 1974: un’altra vittoria in Coppa delle Coppe, stavolta contro l’Atlético Madrid.

La Coppa delle Coppe del 1986

Una squadra che vanta vecchie glorie come Blochin e giovani promesse come Bjelanov umilia 3-0 gli spagnoli di Aragonés; secondo El Pais, la Dinamo sembra una squadra venuta dal futuro. Lobanovski viene incaricato di guidare l’URSS ai Mondiali in Messico del 1986: ancora una volta, la sua squadra stupisce per gioco corale, ritmo e concretezza.

Dopo aver chiuso il girone davanti alla Francia di Platini, per molti è tra le favorite alla vittoria finale: solo un arbitraggio scandaloso frena la sua corsa agli ottavi contro il Belgio, in un 3-4 che resta per molti la partita più emozionante del torneo. Agli Europei del 1988 è invece il meraviglioso destro al volo di Van Basten a spezzare i sogni dell’URSS, sconfitta due a zero in finale.

Lobanovski con la sobria mascotte sovietica a Euro ’88

Da quel punto, è curioso come il calcio di Lobanovski conosca lo stesso declino dell’Unione Sovietica: messi da parte i sogni di gloria, la Dinamo fatica a confermarsi anche a livello nazionale. L’individualismo si fa strada, e formazioni come la Dinamo Minsk e lo Spartak Mosca sembrano lanciare una controffensiva culturale alla filosofia del Colonnello. Intanto, i giocatori che abbandonano la Dinamo per il grande calcio europeo non riescono a confermarsi, come dimostra la parabola tedesca di Bjelanov, Pallone d’Oro 1986.

La Perestroijka è fallita, e l’Unione Sovietica che si presenta a Italia ’90 sembra un attore consapevole di recitare il suo ultimo cameo. Dopo il Mondiale, Lobanovski diventa commissario tecnico degli Emirati Arabi, dal 1993 va in Kuwait: i petroldollari sono tanti, le soddisfazioni pochissime. I giocatori sono semiprofessionisti (”Non solo non ricevono denaro, ma vengono agli allenamenti o alle partite solo se ne hanno voglia”), ma senza la passione che animava il dilettantismo sovietico.

Il Colonnello si riempie il portafogli, ma si sente svuotare il cuore: nel 1997 torna alla sua Dinamo Kiev, reduce da anni altrettanto complicati, per l’ennesimo atto di una storia d’amore lunga 40 anni.

In sei anni vince 5 campionati e 3 coppe d’Ucraina: fuori dai confini nazionali non va oltre qualche bella figura in Champions, ma intanto continua a svezzare campioni. C’è un ragazzo gracile che il Colonnello prende sotto la sua ala: lo fa smettere di fumare e lo sottopone ad allenamenti sfiancanti, fino a trasformarlo e a renderlo perfetto. Lobanovski ha plasmato il primo campione del nuovo millennio, Andriy Shevchenko.

Lobanovski muore nel 2002, a bordo campo, seguendo la sua Dinamo Kiev in trasferta a Zaporodjie. Il 28 maggio 2003 Shevchenko firma il rigore decisivo con cui il Milan si laurea Campione d’Europa: dopo aver alzato la Champions, Andriy vola a Kiev e depone la sua medaglia sulla tomba del Colonnello.

L'omaggio di Shevchenko al suo maesto Lobanovski
L’omaggio di Shevchenko al suo maestro Lobanovski

Epilogo

Varie fonti raccontano che un giorno lo scienziato Sabaldyr abbia chiesto a Lobanovski:

“Cosa si può fare dopo aver vinto tutto? Come ci si sente ad aver realizzato un sogno?”
“Qual è il tuo sogno come scienziato? Aver raggiunto la laurea o il dottorato?”
“No, il mio sogno è aver contribuito al progresso. Aver lasciato il segno…”
“Ecco, allora hai la tua risposta”.