Miseria e Nobiltà: Leeds United, continuare a combattere. Nonostante tutto - Zona Cesarini

Miseria e Nobiltà: Leeds United, continuare a combattere. Nonostante tutto

A differenza dei calciatori, sono poche le squadre che mi sono rimaste nel cuore. O meglio, è difficile scindere quelle per cui tifo e per cui ho letteralmente delirato. Ci metto le Juventus di Lippi e Capello, il Barcellona di Guardiola e il Liverpool di Benitez. Non quello di Istanbul, ma quello con Xabi Alonso in regia, Captain Fantastic sulla trequarti e il Niño quando ancora si ricordava come buttarla dentro.

In più ci metto altre due squadre inglesi: il Newcastle di Shearer e Ginola e, soprattutto, il Leeds United della stagione 2000/01. Mi ricordo ancora l’undici titolare:
Martyn; Mills, Ferdinand, Matteo, Harte; Bowyer, Dacourt, Batty, Kewell; Viduka, Smith.

Il Leeds United è, insieme al Nottingham Forest, una delle nobili decadute del calcio inglese. Una squadra che, con Don Revie in panchina e Billy Bremner (entrambi hanno una statua fuori dallo stadio) in campo, vinse il campionato nel 1969 e nel 1974, l’F.A. Cup nel 1972, la Coppa di Lega nel 1968, due Coppe delle Fiere nel 1968 e nel 1971. Fu l’ultima squadra a vincere la First Division prima che diventasse Premier League trascinata dai gol di Rod Wallace e soprattutto di un certo Eric Cantona.

Ma fu proprio in quel 2000/01 che i ragazzi di David O’Leary rischiarono seriamente di farmi cambiare bandiera, cosa che credevo impossibile dato l’amore smisurato che ho per il lato rosso del Mersey.

Il Leeds, rasato a zero per l’occasione

Ai tempi, in Premier League, erano soltanto tre le squadre che si qualificavano per la Champions e all’ultima giornata del campionato 1999/00 ne mancava una che si sarebbe aggiunta allo United campione e all’Arsenal già matematicamente secondo.

Il Leeds, terzo in classifica, doveva vedersela a Londra contro il West Ham mentre il Liverpool, quarto ad un punto di distacco, giocava in trasferta contro il Bradford, terz’ultimo a pari punti con il Wimbledon. Il Leeds non andò oltre lo 0-0 mentre il Liverpool perse incredibilmente per 1-0 con gol di David Wetherall. L’ultima giornata ritornerà spesso in questo post e dopo vedrete il perché.

Il manager David O’Leary chiese al presidente dei rinforzi adeguati per l’imminente Champions League e Peter Risdale non badò a spese acquistando nel mercato estivo il centrocampista Olivier Dacourt dal Lens, l’esperto difensore Dominic Matteo dal Liverpool, il bomber australiano Mark Viduka e soprattutto the next big thing Rio Ferdinand dal West Ham, per la cifra record di 18 milioni di sterline. A loro si aggiunse, a dicembre, Robbie Keane in prestito dall’Inter.

Nel preliminare, il Leeds sconfisse il Monaco 1860 per 2-1 in casa e per 1-0 in trasferta con Alan Smith, l’idolo dei tifosi, mattatore con due gol tra andata e ritorno.

Nella prima fase a gironi, il Leeds fu inserito nel gruppo H: un girone di ferro insieme a Besiktas, Milan e Barcellona. L’esordio sembrò il triste presagio di un eliminazione sicura dato che gli Whites furono umiliati al Camp Nou per 4-0 con i gol di Rivaldo, de Boer e la doppietta di Kluivert.

Alla seconda giornata all’Elland Road arrivò il Milan. A tre minuti dalla fine, sotto la classica pioggia dello Yorkshire e sul risultato ancora fermo sullo 0-0, Lee Bowyer prese palla sui trenta metri e lasciò partire un tiro di collo esterno forte ma centrale. Dida ci andò troppo sicuro e il pallone gli sfuggì goffamente dalle mani finendo in rete per l’incredibile 1-0 finale.

Quella vittoria a sorpresa diede vigore ai boys di O’Leary che la settimana dopo distrussero il Besiktas con un tennistico 6-0, trascinati ancora una volta da una doppietta di Lee Bowyer.

Lee Bowyer merita una parentesi a parte. Era idolatrato dai propri tifosi quasi quanto Alan Smith. Dico quasi solo perché l’ossigenato attaccante era nato a Rotham, una cittadina di 25 mila abitanti a circa 10 chilometri da Leeds ed era un prodotto dell’academy al 100%.

Bowyer è il perfetto esempio del centrocampista inglese duro ed incazzoso di inizio anni ’90, che ha seguito le orme dei vari Vinnie Jones e Dennis Wise. A diciotto anni, quando giocava nelle giovanili del Charlton, fu squalificato per essere risultato positivo alla cannabis. Il suo trasferimento al Leeds fu, ai tempi, il più costoso della storia del calcio inglese, ma appena arrivato fu subito messo fuori rosa.

Lee era in un McDonald’s insieme a due amici. Volevano mangiare un panino, ma a quell’ora servivano soltanto le colazioni. Non la presero benissimo, decidendo di sfasciare tutto il McDonald’s. Inoltre l’impiegata dichiarò al Daily Mail che, prima dello sbotto, Bowyer le disse che non voleva essere servito da una pakistana.

Lasciò la fidanzata di origine indiana quando sua madre gli disse che c’era la seria possibilità che il loro figlio sarebbe potuto nascere con la pelle scura. Dopo averlo reintegrato in rosa, riuscirono a tranquillizzarlo fino a gennaio 2000 quando insieme ai compagni di squadra Jonathan Woodgate, Michael Duberry e ad alcuni amici (probabilmente gli stessi del McDonald’s…) si ritrovarono nel mezzo ad una rissa fuori da un locale con tre studenti pakistani (sì, aveva uno scarso feeling con i pakistani).

Due riuscirono a scappare, il terzo restò a terra con fratture al naso, ad una gamba e agli zigomi. Bowyer e la sua crew furono processati.

Fu un processo lunghissimo, che coincise con il momento migliore della carriera del centrocampista londinese. Un anno dopo arrivò il verdetto: Woodgate fu accusato e condannato a 100 ore di lavori sociali, uno degli amici si prese sei anni, Duberry, Bowyer e gli altri furono assolti. In Inghilterra scoppiò lo scandalo. Il Leeds multò il suo giocatore decurtandogli una mensilità dallo stipendio. Multa che, logicamente, si rifiutò di pagare.

Fu messo fuori squadra. Il Mirror allora uscì con questa prima pagina.
“Ubriacone, drogato, violento, razzista, codardo, impenitente, bugiardo, odioso, e pure messo sul mercato (e ora prova a farci causa, piccolo rifiuto)”.

Fu costretto a pagare per poter tornare a giocare. La F.A. proibì a Sven Goran Eriksson di convocare entrambi i giocatori per il Mondiale 2002 anche se i maligni sostengono tutt’ora che il vero motivo dell’esclusione di Bowyer fu il prendere troppo in giro David Beckham che in quegli anni aveva più potere di Tony Blair. Fu squalificato dall’Uefa per sei giornate per aver passeggiato sulla testa di un avversario durante la partita di Coppa Uefa Leeds-Malaga.

Quando fu acquistato dal West Ham, sua squadra del cuore da sempre, alcuni tifosi degli Hammers si incatenarono ai cancelli di Upton Park in segno di protesta.

Nel 2005 infine, quando militava nel Newcastle, scambiò l’erba del St. James’ Park per un ring del Caesar’s Palace di Las Vegas ed iniziò a cazzottare Kieron Dyer, suo compagno di squadra, reo di non avergli passato il pallone. I due furono entrambi espulsi e squalificati per tre giornate. Inoltre risarcì Dyer di mille sterline.

Lee Bowyer era l’immagine di quel Leeds United. Squadra che pur con dei grossi limiti tecnici riusciva a raggiungere il proprio obiettivo non vergognandosi di sgomitare per riuscirci.


Squadra che dopo la vittoria schiacciante contro il Besiktas, pareggiò 0-0 in Turchia e 1-1 in casa col Barça, raggiunta in extremis dal gol di Rivaldo.

La classifica prima dell’ultima giornata recitava: Milan primo a 10 punti, Leeds secondo a 7, Barcellona terzo a 5 e Besiktas ultimo a 4. Il programma delle partite vedeva prima contro seconda e terza contro quarta. Al Camp Nou, dopo soli 17 minuti, il Barça era già avanti per 2-0. Gli Whites arrivarono a San Siro con l’obbligo di tornare in Inghilterra con almeno un punto per poter passare alla seconda fase a gironi.

Anche perché in caso di sconfitta sarebbero passati i blaugrana per gli scontri diretti a favore. Al 44° del primo tempo, Bowyer calciò un calcio d’angolo dalla destra sul primo palo, Dominic Matteo anticipò di testa Roque Junior e Serginho e trafisse l’incolpevole (stavolta) Dida. 0-1. Delirio.

Il Milan nel secondo tempo riuscì a pareggiare ma la zuccata del difensore arrivato in estate dal Liverpool fu sufficiente per passare il turno. Quel gol è ricordato ancora oggi dai tifosi del Leeds con le lacrime agli occhi. Lo stesso Dominic Matteo ha chiamato il suo account Twitter @sansirodom21.

Nel sorteggio della seconda fase a gironi, il Leeds fu sorteggiato nel gruppo D insieme a Real Madrid, Lazio ed Anderlecht. Ancora una volta insieme ad una spagnola (e che spagnola) e ad un’italiana (e che italiana).

L’esordio casalingo contro il Real vide i merengues vincere per 2-0 senza durare troppa fatica. Il Leeds arrivò a Roma per giocare contro una Lazio in crisi che aveva perso per 1-0 in Belgio contro l’Anderlecht. I biancocelesti giocarono un gran primo tempo rischiando più volte di andare in vantaggio, sparendo piano piano nel secondo, dove gli uomini di O’Leary uscirono alla distanza fallendo due incredibili occasioni prima con Viduka e poi con Woodgate.

A dieci minuti dalla fine Alan Smith cercò Viduka al limite dell’area, Fernando Couto e Favalli lo raddoppiarono ma con un geniale colpo di tacco il Tanque australiano mise davanti a Peruzzi il figlio di Rotham, che si era liberato in velocità di Nesta. Piattone sul secondo palo e palla in rete. 0-1. Game, set and match.

Le due partite contro l’Anderlecht furono vinte entrambe. 2-1 all’Elland Road con rimonta nel quarto d’ora finale e 1-4 in Belgio. Questa volta non ci fu bisogno di aspettare l’ultima giornata perché la matematica certezza della qualificazione ai quarti di finale arrivò alla penultima, nonostante la sconfitta al Santiago Bernabeu per 3-2 ed un gol di mano di Raúl. Il 3-3 conclusivo contro la Lazio non fu altro che una partita per le statistiche.

I quarti, considerati un sogno da videogioco fin dall’esordio contro il Monaco 1860, videro gli Whites contro un’altra spagnola: il Deportivo La Coruña vincitore della Liga 1999/00 e prima nel gruppo B, capace di eliminare Galatasaray e Milan. Una squadra solida, trascinata dai gol di Diego Tristán e Roy Makaay e dalle invenzioni di Djalminha e Valerón.

Sfavorito dai pronostici, come da abitudine, il Leeds distrusse il Depor in casa per 3-0 con i gol di Ian Harte su punizione e due colpi di testa di Alan Smith e Rio Ferdinand. Per farvi capire, il Deportivo tirò per la prima volta verso Martyn all’83°. Il ritorno al Riazor, stipato in tutti i circa 36mila posti, vide vincere i galiziani per 2-0, che però non bastò a ribaltare il risultato dell’andata, spalancando agli Whites le porte della semifinale.

Contro tutto e contro tutti, sporcando di fango le loro meravigliose divise bianche, prendendo e dando scoppole come la maggior parte dei propri tifosi figli della working class inglese, il Leeds United era arrivato in semifinale.

L’ultimo ostacolo prima della finalissima di San Siro era l’ennesima squadra spagnola: il Valencia dell’Hombre Vertical Hector Cuper, già finalista l’anno precedente (sconfitto per 3-0 dal Real Madrid) e capace di eliminare ai quarti il favorito Arsenal di Arsène Wenger.

L’andata si giocò all’Elland Road. Fu una partita equilibrata. Entrambe le squadre ebbero svariate occasioni per vincere ma finì 0-0, con la difesa valenciana che si confermò la meno battuta di tutta la rassegna. Questa volta l’impresa sembrò veramente impossibile, anche perché Lee Bowyer fu squalificato per tre giornate con la prova tv per aver volutamente calpestato Juan Sánchez.

Duemila inglesi partirono alla volta della Spagna per sostenere i propri eroi e per provare a spingerli verso una finale che aspettavano da ventisei anni.

Dopo soli sedici minuti la doccia fredda: un cross dalla destra di Mendieta fu deviato in rete più di braccio che di spalla da Juan Sánchez per l’1-0. Gli Whites, in divisa gialla da trasferta, provarono a reagire ed ebbero uno scatto d’orgoglio ma non riuscirono mai a creare dei seri problemi alla sempre più ermetica difesa spagnola. Al 47° un tiro senza troppe pretese ancora di Sánchez bucò un incerto Martyn per il 2-0. Il sogno svanì definitivamente quando capitan Mendieta in contropiede infilò Martyn per la terza volta. 3-0.

Valencia in finale e Leeds eliminato ancora in semifinale ad un anno dalla sconfitta contro il Galatasaray, poi vincitore, nel penultimo atto della Coppa Uefa 1999/00.

Uscito a testa altissima, il Leeds si rituffò nella corsa al terzo posto per accedere alla successiva fase preliminare di Champions. L’ultima giornata sembrava un copia e incolla della stagione passata: Liverpool terzo a 66 punti e Leeds quarto a 65. Reds in trasferta a Charlton e Whites in casa contro il Leicester. Questa volta però l’esito fu diverso: il Liverpool spazzò via il Charlton per 4-0 raggiungendo i preliminari e a nulla servì il 6-1 del Leeds sul Leicester che fu relegato in Coppa Uefa.

Se l’ultima giornata del 1999/00 era stata l’inizio del sogno di gloria di Peter Risdale, l’ultima giornata 2000/01 diventò l’inizio della fine. Perché il Presidente, per accontentare il suo allenatore, non aveva badato a spese indebitandosi per più di 60 milioni di sterline. Era convinto di risanare i debiti con i soldi che sarebbero dovuti arrivare dalla Uefa, dagli sponsor e dai diritti televisivi per la qualificazione in Champions che credeva fosse scontata. Ma di scontato, specialmente nel mondo del calcio, non c’è niente.

I debiti raddoppiarono dopo la fine della stagione 2001/02, quando il Leeds fallì nuovamente l’appuntamento con la qualificazione in Champions, arrivando addirittura quinto. Risdale fu costretto ad iniziare a smantellare quella squadra storica, cedendo Rio Ferdinand agli odiatissimi rivali del Manchester United per 25 milioni di sterline. Nel giro di due anni fecero le valigie Woodgate, Keane, Bowyer, Dacourt e Kewell.

Nel 2004 il Leeds arrivò penultimo retrocedendo in Championship. I pochi big rimasti se ne andarono, compreso Alan Smith, l’idolo dei tifosi, il figlio di Rotham, ceduto anche lui al Manchester United. Nel 2007, dopo aver fallito l’anno prima la promozione in Premier perdendo la finale playoff contro il Watford, il Leeds finì addirittura in League One, la nostra serie C1, risalendo in Championship dopo 3 lunghissimi anni, trascinato dai gol di Jermaine Beckford.

Il vecchio spogliatoio di Elland Road col motto “Keep Fighting”.

Il resto è storia recente e, se devo essere onesto, credevo che Cellino riuscisse davvero a riportare i bianchi dello Yorkshire in Premier League. Invece, anche per quest’anno niente e visto il bassissimo talento medio presente nella rosa, penso che dovranno passare ancora diversi anni prima di rivederli nella massima serie.

Io continuo a crederci. L’importante è non dimenticare quella vecchia frase affissa all’interno di Elland Road: “Keep Fighting”. Continuare a combattere.