Michel Preud'homme: l'angelo d'acciaio

Michel Preud’homme: tra industrie siderurgiche e miracoli nell’Alfama

Ho sempre cercato di spostare l’asticella un po’ più in alto, per provare ad abbassare la traversa di qualche centimetro.

È il 1977 quando si affaccia alla prima squadra di Liegi, Le Royal Standard, un giovane portiere dai riccioli folti e neri. Un simpatico incrocio tra il cantautore americano Art Garfunkel e il chitarrista inglese Brian May, colonna portante dei Queen. Lui è Michel Preud’homme: un giovane vallone docg, non altissimo ma con un fisico prepotente, gli occhi di un azzurro glaciale e dei riflessi felini.

Nato nel 1959 ad Ougrée, in Vallonia, terra di grandi industrie siderurgiche, è considerato da tutti il più forte portiere della storia calcistica belga, almeno fino a quando Thibaut Courtois non riuscirà a spodestarlo. Dato che nel paese natale e nei dintorni, dove ha trascorso l’infanzia, sfornavano acciaio a più non posso, non poteva che venir fuori un portierone che, agonisticamente parlando, fosse fatto della stessa lega: acciaio inox 100%.

Nonostante fosse nell’élite dei portieri europei degli anni ’80, però, non è mai riuscito ad approdare in una vera big europea e forse ne ha in parte risentito, viste le potenzialità che il portierone riccioluto riusciva ad esprimere con continuità ad altissimi livelli.

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(credits: blogstartsports.com.br)

Tuttavia, la sua carriera rimane ricca di successi sia personali, come essere eletto miglior portiere del Mondiale ’94 alla veneranda età di 35 anni, che di squadra, con la vittoria della Coppa delle Coppe a guardia della porta del Malines, piccola cittadina belga di 80.000 abitanti: una vera favola di provincia.

Ma torniamo all’inizio: in quel primo turno della Pro League, in quella giornata di un insolito e caldo agosto vallone; il portiere titolare dello Standard Liegi sarebbe Christian Piot, leggenda locale nonché secondo dell’ancor più leggendario Jean-Marie Pfaff in Nazionale. Ma Piot non può giocare a causa di un banale infortunio ad una mano. Si prepara quindi un certo Jean-Paul Crucifix che però, infortunatosi ad inizio partita, è a sua volta costretto ad abbandonare il campo.

Inutile dire che il terzo e ultimo portiere è il nostro uomo, e che da quel giorno in poi è stato anche l’unico a difendere i pali dello Standard per i successivi 9 anni: Piot si ritira infatti a fine stagione alla ancora verde età di trentuno anni, mentre di Crucifix si perdono le tracce nelle categorie minori. A meno di due secoli dalla Binamêye revolucion, la città di Liegi assiste ad un secondo sconvolgimento: quel ragazzino dell’hinterland industriale è infatti capace di parare di tutto, e di farlo con una plasticità ed esplosività notevoli, unite ad uno stile unico e raffinato.

In pratica, si muove come “une Ghislain” (freccia, in vallone) con lo stile e la precisione di una pennellata di Van Eyck. Infatti, in poco meno di un decennio coi Rouges, conquisterà due scudetti, perdendo anche una finale di Coppa delle Coppe contro il Barcellona di Udo Lattek e José Carrasco, e saltando il Mondiale messicano per un brutto infortunio. Nel frattempo, arriva ovviamente l’affermazione a livello nazionale e la sua carriera comincia davvero a decollare.

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(credits: imortaisdofutebol.files.wordpress.com)

Carriera che, per la verità, subisce un brusco stop all’alba del 1985, quando mezzo Standard – Preud’homme compreso – viene squalificato per aver comprato per l’equivalente di 10.000 euro l’ultima partita del campionato belga del 1984. Vent’anni prima di Gillet, misteriosamente pure lui di Liegi, un altro portiere belga rimane invischiato con la giustizia sportiva.

Con la reputazione in parte rovinata, un Mondiale oramai saltato e la titolarità in campo perduta, Michel ottiene nel 1986 l’occasione per una redenzione: viene contattato e messo sotto contratto dal Malines, squadra dal passato glorioso ma dallo scialbo presente. Ed è un’escalation di successi: Coppa Nazionale nel 1987; Coppa delle Coppe vinta contro l’Ajax, buttando fuori l’incredibile Atalanta di Stromberg, Nicolini e Mondonico che arriva in semifinale del torneo pur giocando in Serie B.

Infine, lo storico Scudetto del 1989. Nello stesso anno gioca, per sua stessa ammissione, la miglior partita della carriera contro il fantastico Milan di Sacchi. Nel ritorno di San Siro, valevole per i quarti di Coppa dei Campioni, riesce a parare tutto quello che gli viene lanciato addosso, tenendo lo 0-0 fino al 90° e facendo fare brutta figura anche ad uno che di nome fa Marco Van Basten, cedendo solo nei supplementari al gol della vita di Marco Simone. Essenziale, potente, spettacolare nei tuffi: una molla d’acciaio e istinto.

Nel frattempo, arriva la gloria pure in Nazionale. Spodestato Pfaff, gioca da titolare in due Mondiali (Italia ’90 e USA ’94). Nel primo, oltre che per le grandi parate, balza agli onori delle cronache per l’eccentrica richiesta (respinta) di giocare con gli occhiali da sole. Le sue ottime prestazioni non bastano ad evitare l’eliminazione agli ottavi contro l’Inghilterra di Platt, che segna a 5 minuti dalla fine dei supplementari il gol decisivo.

Nel secondo torneo, sempre agli ottavi, a fermare il modesto Belgio di Vincenzino Scifo è la gloriosa Germania di Matthäus, Brehme e Völler. Malgrado la prematura eliminazione, Michel viene eletto miglior portiere della competizione. E, ciliegina sulla torta, a quasi 35 anni ottiene il primo contratto da professionista al di fuori del suo paese natale: arriva infatti la chiamata dalle aquile rosse del Benfica. Direzione: estádio da Luz.

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Preud’homme nell’ultima apparizione al Da Luz (credits: s.tf1.fr)

In Portogallo rimane 5 anni, vincendo veramente poco – unico trofeo, una coppa Nazionale nel 1996 – ma entrando per sempre nei cuori dei tifosi lusitani grazie a quelle parate tutte tecnica, armonia e nervi, e a quella leadership e personalità straripanti che così naturalmente sfoggia in campo nel guidare i compagni. Un leader nato, insomma. Che si carica sulle spalle una città e una società dal grande fascino.

Ritiratosi nel 1999, comincia quasi subito con la carriera da allenatore, vincendo nel 2008 il primo Scudetto dal 1983, e riportando così al trionfo il suo grande amore: lo Standard di Liegi. Tenendo fede al suo cognome, Preud’homme, che tradotto significa uomo saggio e prudente, ha ottenuto buonissimi successi prima in Olanda col Twente e poi nuovamente in patria col Club Brugge.

Cosa aggiungere? Che ci sarebbe probabilmente piaciuto vederlo in palcoscenici più importanti, e non solo in squadre tutto sommato outsider. Ma come sentenziato da Ighli Vannucchi: “una salvezza in una piccola vale quanto due scudetti in una big”. E probabilmente è vero.

Com’è vero che parte del fascino di questo fortissimo portiere è legato all’essere stato l’estremo baluardo di difese non propriamente leggendarie, roccioso come i suoi concittadini che difesero strenuamente la cité ardente dalle truppe del Kaiser all’alba della Grande Guerra. Questione di tempra.

Situazioni in cui “se vinci, ha un sapore diverso”. Come detto, però, alla vigilia di un Torino-Bruges di Coppa Uefa, rimane un solo rimpianto:

“Ammiro il calcio italiano e giocarci è sempre stato il mio sogno. Mi cercarono Torino, Brescia e Milan, ma non se ne fece nulla. Peccato“.

Siamo noi i più dispiaciuti, Michel. Per una volta siamo dispiaciuti di non essere nati in riva alla Mosa, nell’Halle-Vilvoorde, all’ombra della Fontana di Praça dom Pedro o sugli angusti vicoli dell’Alfama. Probabilmente, ti avremmo tifato ancor più volentieri.