Giorgio Chinaglia, il centravanti pistolero

Giorgio Chinaglia, il centravanti con la valigia di cartone e la 44 Magnum

Un calciatore muore sempre due volte; la prima è quando smette di giocare.” (Zico)

Le due vite di Giorgio Chinaglia, Long John per i suoi tifosi, si incrociano e si rincorrono: la vita da calciatore, interrotta nel 1983 a New York, riparte nel 1990 in Abruzzo, in un motoso campetto di Seconda Categoria. La vita fuori dal campo prevede un paio di anni da Presidente della Lazio nei ruggenti anni ’80; poi venti anni di silenzio prima di un rovinoso tentativo di scalata nel 2006, fermato da accuse di estorsione, aggiotaggio e riciclaggio per conto dei Casalesi.

Abituati come siamo a bancarotte fraudolente e presidenti indagati, qui racconteremo solo la vita calcistica di Long John. Di colpi di scena pirateschi ve ne sono già a sufficienza, tra arrembaggi, fughe silenziose e colpi di pistola.

Gli esordi

Giorgio Chinaglia nasce a Carrara nel 1947; i genitori vanno a cercare fortuna in Galles e lo lasciano con la nonna materna. Il padre Mario, dopo anni di lavoro in miniera, raccoglie i soldi sufficienti ad aprire un ristorante e nel 1955 chiede al figlio di raggiungerlo: Giorgio, a 8 anni, attraversa da solo l’Europa in treno per ricongiungersi alla famiglia.

Arrivato a Cardiff, anche il giovane Chinaglia deve aver patito tutte le difficoltà dell’immigrato: ambientarsi nelle rigide scuole cattoliche, capire le regole del rugby, fare il lavapiatti al Mario’s Bamboo Restaurant. Il problema dev’essere stato soprattutto farsi accettare, in un tempo in cui gli italiani sono ancora visti con diffidenza. Fosse anche nel caso di un ragazzino grosso, goffo e con la testa un po’ incavata nelle spalle.

In un mondo così, si rischia di affondarla, quella testa tra le spalle. A meno che non la si alzi, e si inizi a fare un po’ gli spacconi; deve esser così che quel ragazzino è diventato, con il tempo, un uomo tanto arrogante.

Nel 1964, dopo la trafila calcistica nelle squadre scolastiche, il Cardiff City gli offre un provino: Chinaglia rifiuta. A Chinaglia non si fanno provini. Giorgio se ne va allo Swansea. Le apparizioni in prima squadra fanno assaporare a Long John un mondo di vizi a cui è facile assuefarsi: donne, azzardo, scommesse. Senza contare la fama, quello status di eroe venuto su dal niente che Chinaglia può finalmente ottenere per fuggire da una vita da sguattero.

Anche il padre Mario ha capito che le possibilità di riscatto sociale della famiglia passano dai piedi del figlio; entrare nell’ufficio del manager Billy Lucas brandendo un’ascia, tuttavia, si rivela un pessimo metodo per chiedere un maggior impiego di Giorgio in prima squadra. Niente da fare, e per i Chinaglia in Galles non c’è più spazio.

Chinaglia torna in Italia

La famiglia torna in Toscana, e Giorgio firma per la Massese, in C1. Il contratto prevede 350mila lire al mese più 50mila lire per ogni punto guadagnato; dopo l’intervento del padre, stavolta più diplomatico, ci si accorda per un fisso di 10 milioni l’anno. La serie C1 inizia a settembre, e ad agosto la squadra va in ritiro: un’abitudine tutta italiana, di cui Chinaglia non aveva mai sentito parlare. Le regole gli sembrano assurde: niente drinking time, niente scappatelle, a letto alle 21. Pochi giorni a Castelnuovo Garfagnana e Chinaglia scappa, torna in Galles.

 

A Massa hanno capito quanto vale Chinaglia: quel ragazzino ingobbito ha un tiro poderoso, stacca di testa come pochi altri ed è impossibile da buttare a terra. L’insofferenza verso l’autorità è un peccato che gli si può concedere, a 19 anni. Chinaglia va riportato subito in squadra, e la Massese sa come fare: gli regala una macchina, una FIAT rossa fiammante, e Chinaglia torna immediatamente a Massa.

A fine stagione, Chinaglia colleziona 5 gol in 32 partite; la Massese arriva quarta e cede la giovane promessa all’Internapoli per ben 108 milioni di lire. Come spiega Gianni Di Marzio, vice allenatore dei partenopei: “Era una cifra enorme all’epoca, ma Chinaglia era uno dei nomi emergenti del calcio italiano”.

Chinaglia gioca punta centrale, con il 10 sulle spalle. Negli anni ’60 è il 9 il numero più ammirato, e il 10 ancora non si è affermato con la stessa potenza iconografica: il pubblico non si aspetta i gol, che invece arrivano; e gli avversari non si aspettano che giochi come centrattacco puro. Anche grazie a questi accorgimenti psicologici, Chinaglia gioca senza troppe pressioni e in due stagioni segna 24 gol, un bel bottino nel ruvido calcio della Serie C di quegli anni.

Gli anni alla Lazio, tra Maestrelli e Almirante

Nel 1969 Giorgio Chinaglia e il compagno di squadra Giuseppe Wilson passano alla Lazio, neopromossa in Serie A. Anche se Long John si dimostra più che adatto alla categoria, nel 1971 i biancocelesti retrocedono. In Serie B arriva un nuovo allenatore, Tommaso Maestrelli, che a Roma conoscono benissimo: da allenatore del Foggia ha perso una finale di Coppa Italia con la Roma e, soprattutto, ha inflitto un incredibile 5-1 alla Lazio.

I biancocelesti vengono subito promossi: Chinaglia è capocannoniere del campionato cadetto e primo giocatore a conquistare la chiamata in Nazionale senza giocare in Serie A. Il ragazzino incurvito è diventato un campione; e pazienza se gli avversari continuano a chiamarlo gobbo, per quella corsa affannosca con la testa incavata tra le spalle. Chinaglia segna e mette tutti a tacere, perché “he’s the best in the world”come canterà poi insieme agli Oliver Onions in Football Crazy.

Nell’estate del 1972 arrivano a Roma Sergio Petrelli, Mario Frustalupi e Luciano Re Cecconi. La nuova Lazio è fatta a immagine e somiglianza del suo centravanti: una squadra giovane e sfrontata, senza timori reverenziali e decisa a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Appena tornati in A, i biancocelesti rischiano di vincere il campionato: si presentano all’ultima giornata ad un punto dal Milan capolista, a pari punti con la Juventus.

I rossoneri incappano in una sconfitta nella fatal Verona, mentre i bianconeri ribaltano lo 0-1 di fine primo tempo contro una Roma timorosa di veder i cugini alzare il loro primo scudetto. La Lazio è fermata da un Napoli decisamente motivato, quasi avesse ricevuto un premio partita: la Juventus vince lo scudetto, ma la Lazio ha mostrato di non essere una rivale da sottovalutare.

Chinaglia, intanto, ha dichiarato il suo appoggio politico al Movimento Sociale Italiano; più una scelta legata al carisma di Almirante che non al sistema di valori fascista. Del resto, Chinaglia è uno che rifiuta le gerarchie, a meno che non si trovi in una posizione di comando; l’appoggio al MSI sembra quasi un atto calcolato per sollevare polemiche e imporsi nello spogliatoio laziale, chiaramente orientato a destra.

Due missioni perfettamente riuscite: Chinaglia diventa il simbolo riconosciuto di quella Lazio, e si prende volentieri i fischi delle tifoserie più schierate, come fiorentini e perugini. Paolo Sollier arriva a chiamarlo Kinaglia, concedendogli quella K che i movimenti di fine anni ’70 riserveranno a Kossiga.

Clan e pistole: lo Scudetto del 1974

La Lazio di Maestrelli non è una squadra, ma una polveriera fatta di spacconi e primedonne. Lo spogliatoio è diviso in due, e non è una metafora: il clan di Chinaglia, Wilson e Pulici si cambia in una stanza, quello di Re Cecconi e Frustalupi in un’altra. Le partitelle di allenamento sono scontri durissimi tra i due gruppi, che non tirano mai indietro la gamba: chi perde passa tra le forche caudine dei compagni vittoriosi, tra offese e violente pacche sulle spalle.

Una squadra di maschi Alfa, tutti intenti a dimostrare la propria superiorità; così, quando Petrelli in allenamento si presenta con una pistola, l’emulazione è immediata. Tutti i giocatori ne comprano una, e i momenti vuoti del ritiro sono riempiti da fughe al poligono, tiri a segno contro le sagome e qualche discussione con i carabinieri; che magari arrivano per chiedere ai laziali di smettere e poi si fermano a sparare due colpi insieme.

Chinaglia gira con una 44 Magnum, come l’Ispettore Callaghan che sta riempiendo i cinema; molti suoi compagni hanno la P38, simbolo dell’Italia degli anni di piombo. Gli aneddoti si sprecano: si dice che durante un ritiro casalingo all’Hotel Americana, dopo il classico pomeriggio passato al poligono, due giocatori abbiano spento la luce della stanza sparando all’interruttore. Il portiere Pulici, nel libro Pistole e Pallone, racconta:

Mi ricordo le nostre partenze in aereo: prima di sedersi, tutti consegnavano la pistola al comandante. La sua cabina sembrava un’armeria.

Maestrelli lascia sfogare i suoi giovani cowboy: passino le pistole, se servono a caricarli. E passino pure le sfide all’OK Corrall del venerdì, se poi gli undici in campo si muovono come un corpo unico. La Lazio del 1973/74 è una macchina da guerra, forse sgraziata, ma assolutamente irrefrenabile: come Chinaglia, fischiato e temuto in tutti i campi di Italia.

Il 14 novembre del 1973 l’Italia di Valcareggi affronta a Wembley l’Inghilterra: un quotidiano inglese titola Noi contro 30mila camerieri“. Se questo è l’atteggiamento della stampa british verso gli immigrati italiani, pensate cosa può aver sentito Chinaglia da ragazzo sgomitando nei campi del Galles. E chissà cosa pensa quando, dopo una sua incursione sulla fascia, Capello segna il più facile dei gol per uno 0-1 entrato nella storia.

Grazie ai gol di Chinaglia, la Lazio vola in classifica, fino al 31 marzo. Il giorno del derby con la Roma. Il giorno in cui Chinaglia diventa per sempre l’idolo dei laziali. Long John prima della partita entra nello spogliatoio della Roma dicendo “Vi aspetto in campo”.

La partita è decisa proprio da Chinaglia, che segna il rigore del definitivo 2-1: a fine partita la Curva Sud protesta lanciando in campo di tutto. Mentre gli altri giocatori della Lazio prendono la via degli spogliatoi, Chinaglia da solo corre sotto la curva giallorossa alzando il dito indice.

Di quella stagione, ci sono altri episodi incredibili: Maestrelli che tiene la squadra in campo per caricarla nell’intervallo contro il Verona, la vittoria 3-1 contro la Juve, le corna che Chinaglia esibisce ai tifosi del Napoli al San Paolo. Fino al giorno più importante della storia della Lazio, il 12 maggio 1974.

Quella stessa domenica si vota per abrogare la neonata legge sul divorzio: mentre gli italiani – e soprattutto le italiane – si accingono a sbugiardare per la prima volta la Democrazia Cristiana, a Roma  si aspetta con la stessa ineluttabile impazienza un altro evento. La Lazio ha tre punti sulla Juventus, e se battesse il Foggia sarebbe matematicamente campione d’Italia, per la prima volta nella sua storia.

La partita non si sblocca, finché non viene concesso un rigore alla Lazio. Sul dischetto va Chinaglia; i suoi tiri sono potenti ma sbilenchi, se il portiere indovina l’angolo difficilmente segna. Chinaglia prende la rincorsa e calcia, ingobbito e scoordinato come fosse in mezzo a due robusti centrali. L’angolo è quello giusto, Chinaglia segna. La partita finisce 1-0, la Lazio di Maestrelli ha vinto lo Scudetto.

Germania ’74 e il trasferimento ai Cosmos

Nell’estate del 1974 ci sono i Mondiali in Germania, un’occasione imperdibile per Chinaglia per consacrarsi sul palcoscenico internazionale. I presupposti sono ottimi: il Brasile è ridimensionato dall’addio di Pelé, e la Nazionale Italiana si presenta tra le favorite.

Long John, come oramai lo chiamano tutti evocando lo scaltro pirata dell’Isola del Tesoro, è titolare nella partita contro Haiti. Accanto all’intoccabile Gigi Riva, nonostante le pressioni di Inter e Juventus, che vorrebbero rispettivamente Anastasi e Boninsegna al posto dell’odiato laziale. Chinaglia già in amichevole, dopo una sostituzione, era stato chiaro col ct Valcareggi:

Ho accettato la staffetta questa volta, ma non sono più disposto a farlo. È la prima ed ultima volta; a me le partite piacciono giocarle fino in fondo“.

Sul risultato di 2-1, in una partita ben più ostica del previsto, Valcareggi decide di sostituire il nervoso Chinaglia con Anastasi. Long John non la prende bene, ed esce dal campo imprecando in mondovisione contro il selezionatore. Il 1968 è lontano, in Italia non è più tempo di contestazioni verso l’autorità: la condanna per il “vaffa” a Valcareggi è unanime, e aumenta a dismisura la già folta schiera dei nemici di Chinaglia.

Sul Guerin Sportivo, Pier Paolo Pasolini scrive: “Chinaglia in quella Nazionale era perfettamente inutile: una mezza punta goffa e delirante. E per di più, Chinaglia non fa altro che mettere malumore agli altri.”

Dal 1975, Chinaglia viene regolarmente fischiato in tutti i campi di Italia; la Lazio riesce comunque a confermarsi ai livelli dell’anno precedente, almeno finché Maestrelli non è costretto ad abbandonare la panchina a causa di un tumore. Senza l’unica guida capace di mantenere l’armonia tra le anime dello spogliatoio, la Lazio va in crisi e termina quarta. Nell’estate del 1975, Chinaglia va negli Stati Uniti a passare le vacanze con la moglie, l’italoamericana Connie Eruzione; quasi per caso, si trova a giocare un’amichevole contro la Nazionale polacca, che diventa un inaspettato successo mediatico.

La stagione successiva è un calvario per la Lazio; il ritorno di Maestrelli, nella primavera del 1976, fa sperare che le cose possano risistemarsi. Ma Chinaglia, a sorpresa, abbandona la squadra e fugge negli States, dove lo aspetta un contratto con i New York Cosmos di Beckenbauer e Pelé.

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Giorgio Chinaglia arriva nei Cosmos a 29 anni; non è un campione del mondo vecchio e appagato come O’Rey Pelè o Kaiser Franz. È un giocatore ancora al massimo della forma, che ha scelto gli States perché gli garantiscono tutto quel che vuole: la vicinanza della moglie, uno stipendio altissimo e quella tranquillità che non ha mai avuto a Roma, e tantomeno negli altri stadi d’Italia. Se la Serie A non lo vuole, che si arrangi; Chinaglia non ha bisogno di un palcoscenico, Chinaglia se lo crea da solo.

In sette anni nella National American Soccer League, Chinaglia mette a segno 231 gol in 234 partite; con 193 gol in campionato è tuttora il capocannoniere di tutti i tempi della Lega. Fino all’exploit di Baggio nel 1994, Long John rimarrà senza dubbio il giocatore italiano più celebre negli States. E la storia di Giorgio Chinaglia, calciatore, si chiude dove era iniziata quella di Mario Chinaglia, minatore partito con la valigia di cartone: suo figlio è diventato il primo pioniere di successo del calcio italiano.

Per un pistolero ingobbito, che spara destri sbilenchi ma efficaci, anche New York può sembrare il Far West.