O palla o gamba. La Top 3 dei macellai di Zona Cesarini

O palla o gamba. La Top 3 dei macellai anni ’90 della Serie A

“In campo mi dicevano di tutto: terrone, africano, ignorante. Sull’ignorante, in effetti, non si sbagliavano.”

Sfruttiamo queste parole di Pasquale Bruno per catapultarci verso un’altra top list. Questa volta, però, vogliamo dare spazio a chi nel mondo del pallone si è ritagliato un ruolo decisivo per i suo interventi decisi al limite della violenza. Caliamo il sipario su doppi passi, rabone e punizioni alla foglia morta. Vogliamo omaggiare quelli che ora vengono definiti delinquenti del pallone, difensori arcigni, più vicini e simili a gladiatori nell’arena che eleganti centrali davanti al portiere protagonisti di lanci in profondità e disimpegni alla Beckenbauer.

Macellai professionisti, la cui unica colpa è stata quella di non avere avuto in dote due piedi da Serie A. E visto che non si può avere tutto dalla vita, uno fa con quello che si ritrova. Grinta da vendere con in testa solo un obiettivo: “O palla o gamba”. Magari stiamo un po’ esagerando ma la linea intorno alla quale ci muoviamo ruota proprio su queste leggiadre caratteristiche.

I nomi potevano essere molti di più, e ci dispiace per uno come Marco Materazzi, ma abbiamo voluto mettere l’accento sui tre che ci sono rimasti più nel cuore. Ecco il nostro podio.

 3. TARIBO WEST – Dalla Nigeria con furore

Quando giocava nell’Inter avvicinò Marcello Lippi dicendo: «Dio ha detto che devo giocare». «Strano… a me non ha detto niente».

Taribo West in una delle sue espressioni più sorridenti

Girava la voce che fosse un cannibale nel vero senso della parola. Leggende metropolitane. Comunque sia, Taribo West è una delle figure più controverse che sono passate dal nostro campionato. Quando si è ritirato come calciatore si è dichiarato Pastore Pentecostale, che detto francamente, neanche noi sappiamo cosa voglia dire. Ce lo vogliamo ricordare però per le sue prestazioni al limite del violento che hanno colorato una carriera altalenante e che lo ha visto protagonista con la maglia della nazionale nigeriana e con quella dell’Inter.

Nato in un distretto nei pressi di Lagos, non sappiamo neanche l’anno in cui è venuto alla luce. C’è un oscillamento che va dal 1962 al 1974, fatto sta che comincia a dare le prime pedate per i Bridge Boys nigeriani prima di emigrare in Francia all’Auxerre. Quattro anni dove impone il suo strapotere fisico, vincendo anche uno scudetto, e rendendosi protagonista delle Olimpiadi americane di Atlanta ’96.

Viene notato da quella faina di Sandro Mazzola, all’epoca direttore sportivo dell’Inter, che lo porta a Milano in una torrida estate del 1997, per metterlo in difesa assieme a nomi del calibro di Galante, Fresi, Sartor, Colonnese e Milanese.  Già dalle prime battute con la maglia nerazzurra si capisce che è un difensore rude e non va certo per il sottile.

Un giocatore con un animo molto acceso e un po’ lunatico, per usare un eufemismo. La luna di miele con l’Inter però finisce presto, quando durante una partita fuori casa contro il Vicenza, dopo una sostituzione, getta la maglia contro mister Lucescu. Torna in sella da titolare solo a fine anno e la stagione successiva salta fuori l’episodio citato ad inizio paragrafo.

Il tecnico chiamato a risollevare le disgrazie nerazzurre è Marcello Lippi, che  lo utilizza con fin troppa parsimonia. Ecco che si assiste ad un divertente e memorabile botta e risposta: «Dio mi ha detto che devo giocare nell’Inter» – sostiene West. «Ah si? A me invece non ha detto niente» – risponde sarcasticamente l’allenatore. E così dopo questa uscita memorabile,  le sue treccine cambiano colore diventando rossonere, ma solo per quattro partite, nelle quali Taribo trova anche la gioia del gol contro l’Udinese a fine campionato ’99-’00.

Comincia a girovagare tra Regno Unito, Germania e Serbia, prima di tornare a giocare in Nigeria e chiudere la carriera, pensate un po’, in Iran: sponda Paykan Teheran. Inserirlo in questa lista è d’obbligo per un episodio che è entrato nella storia.

Terza giornata del campionato ’97-’98 e scontro al vertice tra Fiorentina e Inter a San Siro. La partita è ancora sullo 0-0,  la squadra viola sta facendo il gioco, costringendo l’Inter al ripiegamento difensivo, ed ecco che in una delle innumerevoli avanzate fiorentine, West si lancia in un intervento da ergastolo sul povero Kanchelskis, costretto ad abbandonare il campo in barella. Vedere per credere.

Il russo non si riprenderà mai da quell’infortunio, e il ginocchio lesionato e in cattive condizioni finirà di rompersi definitivamente durante uno spareggio tra Italia e Russia valevole per l’accesso al Campionato del Mondo francese del 1998.

Forse per redimersi da tutti i suoi interventi criminali, Taribo, dismessi i panni del calciatore ha preferito seguire la strada di Dio, dichiarandosi appunto Pastore di Anime. Speriamo però che il Signore non si metta in mezzo, fosse mai che a Taribo gli saltasse in mente di fare un’entrataccia anche su di lui.

2. PAOLO MONTERO – La Pigna Uruguagia

“O passa la palla, o passa la gamba: entrambe no.”

Tanto semplice, così semplice che il calcio, la tattica, i movimenti non contano più niente: o palla o gamba. Una filosofia minimalista ma dall’efficacia totale, un modo di interpretare la partita senza fronzolo alcuno. Parola di Paolo Montero, il difensore uruguagio venuto in Italia a vestire prima i colori dell’Atalanta e successivamente quelli della vecchia signora juventina.

Montero prova a difendersi dalle angherie degli avversari
Montero prova a difendersi dalle angherie degli avversari

Nato a Montevideo nel 1971, comincia la carriera nelle fila del Penarol, prima di essere adocchiato dai talent scout atalantini e approdare in Europa. Giocatore dal vivace temperamento, non disdegnava appunto maniere forti e entrate al limite del regolamento. Nel corso della sua attività criminale ha ricevuto ben 16 cartellini rossi in campionato che lo fanno primatista assoluto, staccando Gigi Di Biagio, Giulio Falcone e Giampiero Pinzi a quota 12.

Sedici volte in cui la sua forza carismatica è andata oltre, sedici attimi in cui ha gettato il cuore – e il piede – oltre l’ostacolo anche a costo di lasciare la squadra in 10. Sui blog uruguagi non a caso abbiamo letto frasi del tipo: “Que vuelvan las patadas de Paolo!” oppure “Que vuelvan los carniceros sin pietad“. Ovviamente la traduzione è superflua.

Montero comunque era un buon difensore, aveva grande acume tattico e spesso riusciva a far ripartire l’azione in maniera lucida e brillante. Purtroppo queste caratteristiche sono passate spesso in secondo piano, tanto da farlo entrare nell’immaginario collettivo come un picchiatore col pedigree. Gli episodi che lo riguardano in tal senso, infatti, sono innumerevoli e variegati. Non si faceva mancare niente.

Paolo era una testa calda, non faceva sconti a nessuno, anche in allenamento. Si dice anche che spaccasse le Play Station dei compagni per farsi ascoltare. Nella sua biografia viene definito come “un kamikaze del contrasto, un combattente dell’aria di rigore” non a torto e questo ha fatto di lui un idolo della curva juventina. Montero infatti era uno tra i più amati, e non solo tra i bianconeri, anche tra i tifosi granata.

Una volta, infatti, venne beccato in compagnia di alcuni ultras del Toro e sapete cosa rispose il serafico Paolo in prima battuta ?

“Non me li sceglie mia mamma gli amici, figuriamoci voi.”

Con l’Inter però aveva un amore particolare ed è proprio con i nerazzurri che nasce la storia della pigna uruguagia. Dicembre 2000, Inter – Juventus: 2-2. Ecco che Paolo sferra un bel cazzottone in eurovisione contro un altro dal temperamento importante: Luigi Di Biagio. Un gesto definito da lui stesso “Pigna”, esattamente come verrà soprannominato da lì in poi.

Il giorno dopo arriva Agnelli al campo d’allenamento, chiama Montero e gli dice: “Vieni qui, non lo hai preso bene“,  e mentre lui risponde “Guardi che un po’ l’ho preso“, l’Avvocato risponde: “No, no. Se tu lo prendevi bene, lui cadeva…“. Montero era così, uno che faceva venire direttamente l’Avvocato  al campo a parlare delle sue malefatte con ironia. Ci pensò Paolo comunque a chiudere definitivamente la vicenda qualche giorno dopo con una bella dichiarazione ai giornali:

“Questo è il calcio. Di Biagio può andare a giocare a pallavolo, al massimo.”

Anche Francesco Totti ha assaggiato El Pigna, quando, con la Juve sotto per 4-0 all’Olimpico, riceve un calcione dall’uruguagio, al limite del codice penale. Montero si fa espellere, ed uscendo dal campo al grido di palla o gamba, non aspetta neanche che l’arbitro gli mostri in cartellino in faccia per prendere la strada degli spogliatoi.

Oppure quando a Vigo, durante un Ottavo di Finale di Coppa Uefa rifila una gomitata al povero Valery Karpin, davanti ad arbitro e guardalinee. Dopo essere stato espulso passeggia con nonchalance sul campo, si toglie le scarpe e si accarezza dolcemente il pube col sorriso sulle labbra. Montero però non è stato solo questo, è stato anche quello delle sei di mattina in discoteca e delle fughe erotiche nei centri massaggi. Scherzi a parte, Paolo era benvoluto da tutti quanti, non ha mai tradito nessuno, non ha mai pianto secondo la logica comune del “chiagni e fotti“, e questo la gente non se lo dimentica.

“Era uno tra i più importanti nello spogliatoio. La domenica sapevi che contavi su un grosso giocatore. Io vedevo il terrore negli attaccanti. La sua tecnica era: il primo intervento deve essere duro per far capire immediatamente che aria tira. E poi parlava agli avversari in continuazione, li faceva impazzire, era davvero temutissimo. Personaggio bellissimo.”

E se lo dice Trezeguet non resta che crederci.

 1. PASQUALE BRUNO – O’ ANIMALE

“Quello che mi ha urtato di più dell’episodio è stato l’atteggiamento da fighetta isterica di Chiellini: uno col suo fisico non può fare scene così. Ha simulato varie volte, si è lamentato tutta la partita. Se fossi stato Suárez gli avrei dato un pugno in faccia, altro che morso.”

Ecco il commento a lato di Uruguay – Italia ai Mondiali 2014 a proposito della morsicata di Suarez a Chiellini. Chi se non questo personaggio poteva fare una dichiarazione del genere.

Ladies and Gentleman, Paquale Bruno, il numero uno, il poeta del fallo da dietro: il braccio violento della legge. L’uomo da 50 giornate di squalifica. Ci siamo cresciuti, siamo diventati grandi da una parte con le giocate di Roberto Baggio e dall’altra con le mazzate di Bruno O’ Animale. Per la serie bastone e carota.

Partiamo subito col spiegarvi perchè l’hanno soprannominato così. Ad affibbiargli questo simpatico nomignolo è stato il collega juventino Tricella, a causa della somiglianza con Pasquale Barra, nientepopodimeno che un esponente della Nuova Camorra Organizzata, famoso per aver ucciso e sventrato Francis Turatello, boss della mala milanese. Voci fondate sostengono che gli abbia pure preso il cuore a morsi. Il paragone forse è un po’ eccessivo, ma se Tricella tra tutti i possibili soprannomi ha deciso di dargli quello un motivo ci sarà.

Dopo l'espulsione nel derby torinese
Dopo l’espulsione nel derby torinese

Pasquale Bruno nasce a San Donato di Lecce nel 1962. La sua carriera prende il via proprio in Salento nel 1979 ma è cinque anni più tardi che avviene il battesimo nella massima serie con la maglia del Como. Prima partita di campionato e prima espulsione.  I dirigenti juventini, nonostante l’espulsione vengono però impressionati da questo giovincello pugliese e lo tesserano nell’estate dell’87.

Come dimenticarsi dell’espulsione per un fallo a palla lontana su Roberto Baggio contro la Fiorentina, che a sua volta viene espulso per fallo di reazione. E come non ricordare l’ultima partita in bianconero di Coppa Uefa, logicamente condita da un’altra espulsione, sempre contro la Fiorentina nella finale giocata al Partenio.

Siamo al 1990 e Bruno si sposta di poco, sempre a Torino, ma sponda granata.  Come affermato dal giornalista Adalberto Bortolotti, quello che disse che Bruno “non è stato un violento, ma un’esibizionista della violenza“, il Torino con l’arrivo del leccese trova “il gladiatore tanto atteso“.  Insieme a Tarzan Annoni e a Rambo Policano va così a formare un trio dalla pedata di default, e le prime avvisaglie non si fanno certo attendere, sempre con il supporto del tifo granata che intona “Picchia per noi Pasquale Bruno“.

17 novembre 1991. Va in scena il derby della mole: Juventus – Torino. Passa appena un quarto d’ora e Pasquale Bruno rifila una gomitata a Casiraghi in pieno volto. L’arbitro Ceccarini di Livorno estrae il cartellino rosso. L’avesse mai fatto. Bruno comincia a fare il diavolo a quattro, non lo tengono, vuole andare in faccia all’arbitro e sfogare tutta la sua rabbia. Per fortuna c’è Lentini che lo tiene fermo evitando così il peggio. Le giornate di squalifica sono 8, rientro in campo fissato per il Febbraio dell’anno successivo.

«Quando mi ha fatto vedere il cartellino rosso sono rimasto a bocca aperta, come un merluzzo. Poi ho capito, mi sono fatto sotto e mi hanno trascinato via. Senza l’intervento di Lentini forse avrei finito la carriera

Passano poco più di tre settimane, quando il 26 febbraio 1992 si gioca al Delle Alpi Torino-Milan, ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia. Un altro testo a testa si prospetta davanti a Bruno, stavolta c’è il cigno di Utrecht, Marco Van Basten. Minuto numero 22, cross di Maldini e O’Animale cicca il pallone che si infila nel sacco.

Bruno è in terra e Van Basten lo irride ballandogli sopra. Il giocatore granata non si accorge di nulla ma Capello sì, tanto che dopo 2 minuti sostituisce l’olandese per salvaguardarlo. Bruno aveva provato a rompergli la gamba in più occasioni, pensate se avesse visto pure il balletto provocatorio.

La carriera di Bruno comincia così un declino sportivo che lo porterà a Firenze e Lecce prima dell’esperienza inglese nel Regno Unito. Gli episodi e gli aneddoti da raccontare comunque non diminuiscono di livello e il suo atteggiamento continuerà ad essere spesso da 0 in condotta. Le critiche dei giornalisti per le sue prestazioni comunque non lo spaventano, e lui risponde così:

“I quattro in pagella non contano nulla, l’importante è avere quattro miliardi in banca.”

Viva la sincerità, almeno su quello Bruno metteva tutti d’accordo. All’eta di quarant’anni conclude la carriera come attaccante proprio dove è cominciata. Veste i colori del Delta San Donato, la squadra del suo paese, con il fratello Gigi a fare l’allenatore e sotto la direzione tecnica di papà Pino.

Con la maglia degli Hearts
Bruno con la maglia degli Hearts

Vogliamo concludere con un altro episodio indimenticabile che riguarda il malcapitato Florin Raducioiu. Il 7 Febbraio del 1993 si gioca Torino – Brescia, e Bruno quel giorno non è molto carico. Si rivolge all’attaccante rumeno dicendogli: “Guarda che io oggi non ho voglia di correre“. Raducioiu sembra fare orecchi da mercante, allorchè Bruno insiste: O ti comporti bene, o mi incazzo sul serio“.

Niente da fare, il ragazzo continua a far finta di niente. O’ Animale non ci pensa su due volte e proprio quanto l’attaccante prova ad andare via in dribbling, Bruno assesta un’entrata da codice penale: squarcio fra tallone e tibia, 9 punti di sutura e 4 mesi di stop.

Se in questa storia sia tutto vero o meno, non siamo in grado di dirvelo. Fatto sta che Bruno ha rispettato una sua filosofia di gioco che corrisponde esattamente a queste parole, che non ne fanno certo un paladino del fair play ma neanche un criminale come tanti hanno voluto far credere:

“Mi dicevano di tutto e io mi regolavo di conseguenza.”