St. Pauli Football Club: il fenomeno kult di Amburgo

Marinai, prostitute e antifascismo. Sankt Pauli Fußball-Club: il fenomeno cult di Amburgo

«Millerntor è stato un laboratorio all’aria aperta per il calcio tedesco, e lo stretto rapporto venutosi a formare tra i giocatori, gli allenatori e i tifosi era già di per sé un fantastico successo. In quel momento era tutto reale. Oggi il St Pauli è qualcosa di orchestrato, artificiale. Rimane solo il mito. È tutto un mare di nebbia.» (V. Ippig, storico portiere del St. Pauli)

È il secondo porto in ordine di grandezza d’Europa, si respira l’aria del Mare del Nord anche se siamo a più di 100 km di distanza e la gente va in spiaggia sulle rive dell’Elba. Aringhe e sgombri affumicati sono all’ordine del giorno, da bere rigorosamente con una gustosa Astra, la popolare birra locale. Il Fishmarkt ogni domenica mattina, ossia il mercato del pesce, è altrettanto un’attrazione alla quale non si può rinunciare.

La chiamano la Venezia del Nord per il suo elegante fascino marittimo e per i 2496 “Fleet“, i ponti sui canali che attraversano la città. Questa terra, poi, è famosa per aver dato i natali alla cancelliera d’acciaio Angela Merkel (che però tifa Hansa Rostock, ndr) e per aver ospitato i Beatles – proprio nel quartiere di St.Pauli – durante una delle loro prime esperienze musicali d’oltremanica.

È una delle capitali dell’economia tedesca ed una delle principali sedi dell’industria aerospaziale civile. L’Airbus, infatti, dà lavoro  a più di 10.000 persone. E ultimi, ma non in ordine d’importanza, gli “Alsterschwäne”, i cigni del fiume Alster, che sono da sempre un simbolo fondamentale della città, al punto che dal 1664 sono tutelati con una legge del Senato. I veri principini di questo territorio.

Oggi saliamo in alto, decisamente in cima all’Europa. Si vola direttamente in Germania, direzione Amburgo: la perla dell’anseatico. Città di terra e mare per eccellenza. Coerentemente  con il suo passato autonomo e  intrecciato con la Lega Anseatica delle città del nord tedesco, ancora oggi viene definita come una “città-stato” e può vantarsi del titolo di “Freie und Hansestadt Hamburg”, che semplicemente significa città libera ed anseatica di Amburgo.

Lo spirito libertino di magnifico luogo si riflette nella vita di molti amburghesi, fieri del proprio passato indipendente e proiettati a conservare tutto questo nel prossimo futuro, rispettando così il motto della città:

  «I posteri abbiano cura di conservare degnamente la libertà che gli antenati partorirono.»

Ecco, adesso che avete una piccola infarinatura di Amburgo, dimenticatevi cigni, canali, fascino marittimo e Angela Merkel. Tenete a mente lo spirito libertino e aggiungeteci sottocultura punk, case occupate, anarco-comunismo, antifascismo come ragione di vita, un quartiere a luci rosse e portuali che non dissertano su Kant e Schopenhauer. Livorno, con tutto il rispetto, in confronto è un covo di spocchiosi damerini.

St. Pauli-Landungsbrücken
St. Pauli-Landungsbrücken

St. Pauli FC: più unico che raro

Sono le premesse giuste per addentrarci nel territorio bollente al quale facciamo riferimento, con l’obiettivo dichiarato di mettere a fuoco una delle società calcistiche più indipendenti da ogni punto di vista: il Sankt Pauli Fußball-Club, ubicato nell’omonimo e storico quartiere della città e seconda squadra d’Amburgo.

Sì, perchè come molti sanno, il St. Pauli, quanto a trofei, blasone nazionale e fama calcistica, non lega neanche le scarpe all’altra società amburghese: l’HSV, Hamburger Sport-Verein. Società nata nel 1919 dalla fusione di altre due squadre cittadine, l’Hamburger FC e l’FC Falke. Fino ad oggi è l’unico club teutonico ad aver partecipato a tutte le edizioni dall’istituzione della Bundesliga nella stagione 1963-64.

Nella vetrina dei trofei può vantare 6 titoli nazionali, 3 Coppe di Germania e una Coppa di Lega tedesca. In campo internazionale, invece, annovera una Coppa dei Campioni, vinta nell’1982-1983 proprio contro la Juventus, una Coppa delle Coppe nel 1976-1977 e due Coppe Intertoto.

Con la maglia dell’Hsv sono passati giocatori di fama mondiale, come il fromboliere degli anni ’50 e ’60 Uwe Seeler, capace di 404 reti in 476 presenze. Stella a cavallo di ’70 e ’80 è stato poi Felix Magath, futuro allenatore del Bayern Monaco, e autore del gol decisivo nella finale di Coppa contro la Juventus. E come dimenticare il primatista di presenze Manfred “Manni” Kaltz, colonna portante della squadra vittoriosa in Coppa Coppe e detentore del record di trasformazioni dal dischetto in Bundesliga.

Purtroppo i tempi d’oro della città d’Amburgo per quanto riguarda il pallone sono ormai molto lontani, e anche quest’anno l’Hsv sta lottando pericolosamente per evitare la retrocessione: potrebbe essere il primo anno di Zweite Liga per la prima squadra d’Amburgo. Decisivo sarà lo spareggio contro un Karlsruher che darà battaglia per salire in Bundes.

Il St. Pauli non naviga in acqua migliori, ma anche quest’anno, proprio ieri, si è aggiudicato un’altra sudatissima salvezza. Nonostante la sconfitta fuori casa a Darmstadt, i pirati del nord ce l’hanno fatta ad evitare lo spettro della terza serie. Una società destinata a lottare contro tutto e tutti.

Lo striscione della Südkurve

Andiamo quindi a scoprire uno dei fenomeni calcistici più originali della Germania del Nord, che fa il paio con un’altra società che rappresenta il cuore pulsante di Berlino Est di cui abbiamo già trattato in un altro nostro articolo: l’Union Berlin.

E partiamo proprio dalla citazione provocatoria in cima all’articolo, rilasciata dallo storico portiere Volker Ippig, che identifica con il nome dello Stadio, il mitico “Millerntor“, un declino rispetto ai tempi che furono.

Le parole dell’ex-giocatore, ai nostri orecchi suonano come amare, come a volerci dire che il St.Pauli e tutto quello che rappresenta, o perlomeno dovrebbe, è solamente un falso mito e le cose stanno cambiando anche laddove sembrava non dovessero cambiare mai, per rimanere un baluardo del calcio popolare, anarchico e fuori dagli schemi precostituiti.

Noi non la vogliamo mettere giù così dura e non abbiamo intenzione di affermare che la faccenda sia realmente in questi termini. Vogliamo raccontare una storia – che per noi è ancora un favola – e che suscita molta attenzione da parte dei più curiosi e di coloro che non si rassegnano a pantomime come il Gran Galà del Pallone d’Oro orchestrato da Monsieur Sepp Blatter, simbolo totale di un sistema ormai dritto nella stessa direzione da anni.

Partiamo infatti dal presupposto che il St. Pauli ha avuto due grandi obiettivi nella vita: battere i cugini ricchi dell’HSV e rimanere fedeli alla linea.

Nato nel 1910, pochi giorni fa – il 15 Maggio – è stato il suo 105° compleanno. Il St. Pauli è una polisportiva e vanta tra le proprie fila anche una squadra di bowling e una di ping-pong. La squadra di calcio, come già anticipato, non ha mai ottenuto successi notevoli sul campo, tuttavia, a questo club è internazionalmente riconosciuta una cultura più unica che rara, godendo di un amplissimo seguito popolare che lo ha fatto diventare un modello di culto prima in Germania e poi in tutta Europa.

I ruggenti anni ’80

La storia però non comincia così ed è solamente negli anni ’80 che avviene la svolta di cui vogliamo rendervi conto. Fino agli settanta, infatti, le vicende del St. Pauli non hanno niente di più peculiare rispetto ad altre società sportive. Un periodo che culmina con l’ingresso in Bundesliga nel 1977.

Dopo un anno la squadra retrocede in Zweite, e nel ’79, sull’orlo della bancarotta viene spedito in Oberliga Nord. L’equivalente della vecchia Serie C2. Nell’84 però la squadra riesce nell’impresa di risalire in seconda divisione.

Da qui cambia tutto, e il Sankt Pauli comincia ad assumere i connotati che lo identificano da anni. Tutto questo grazie  all’influenza decisiva di una scena politica on the road che in quegli anni sposta a mano a mano parte delle sue attività politiche e sociali anche all’interno degli spalti del Millerntor, che diventa il dodicesimo uomo in campo, quasi una figura mitologica. Infatti, lo stravolgimento dell’identità societaria fa sì che le presenze allo stadio passino da una media di 1.600 persone ad una di 20.000.

Avviene il passaggio da squadra tradizionale a vero e proprio fenomeno cult. Il motivo più pratico è quello dello spostamento della sede della società nella zona del porto antistante a Reeperbahn, la famosa via a luci rosse, uno dei centri della nightlife amburghese, chiamata dai tedeschi “Die sündige Meile”, ovvero il miglio peccaminoso.

Per anni infatti è stato nascondiglio di prostitute, spacciatori e criminali. I marinai, non appena le navi attraccavano al porto, abitualmente si recavano subito in loco per trascorrere il tempo libero, dando sfogo a tutta la propria fantasia, diciamo. Proprio in origine, questa strada era stata creata esclusivamente per “allietare” i portuali che sbarcavano ad Amburgo.

Ma St. Pauli non è solamente il centro pulsante del divertimento più bieco. A cavallo tra ’70 e ’80 diventa una delle culle del punk tedesco, si assiste a un humus culturale di ribellione, anarchismo e occupazioni. La svolta della squadra si inserisce appieno in questo contesto.

All’inizio degli anni Ottanta, infatti, molte abitazioni della Hafenstrasse, il viale che costeggia le banchine del porto, sono popolate da operai portuali. A causa però della forte recessione economica e dell’eccesso di forza lavoro sono costretti a trasferirsi da un’altra parte, lasciando così, vuoti gli appartamenti. Le case vengono occupate da collettivi di artisti punk, Autonomen e studenti.

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La Reeperbahn vista dall’alto

Questi soggetti fanno nascere una nuova scena politica e sociale, chiedono spazi di espressione in opposizione alla cosiddetta cultura mainstream. La società chiude le porte ai tifosi di destra, tanto da bandire loro l’ingresso allo stadio. Primo caso assoluto in Germania.

L’intreccio con la dimensione calcistica del club del quartiere risulta in realtà casuale all’inizio e molti dei supporters cominciano a seguire la squadra per puro divertimento. Con il passare degli anni però la tifoseria rivendica sempre più un ruolo politico che culmina nel 1989, con le proteste legate al piano della dirigenza di costruire un nuovo stadio in chiave moderna.

I tifosi adottano come bandiera non ufficiale – e come bandierine del campo di gioco – il Jolly Roger, il teschio con le ossa incrociate e anche il faccione di Che Guevara sventola liberamente in curva. L’inno ufficiale è il celeberrimo “You’ll Never Walk Alone” e le partite casalinghe si aprono con Hells Bells degli AC/DC e dopo ogni rete parte la famigerata Song 2 dei Blur. E spesso non mancherete di vedere saltare i tifosi al grido di “Wir sind Zecken, asoziale Zecken” che letteralmente significa “Siamo zecche, zecche asociali“.

La filosofia di vita è stampata nello stemma: “Non established since 1910“. Liberamente tradotto con “Rifiutiamo tutto ciò che è sistema“. Il vessillo dei pirati fu adottato dal club quando un gruppo di squatter lo portò per scherzo ai giocatori vent’anni fa. Da allora i tifosi si sono ribattezzati “i bucanieri”.

Il nostro Volker Ippig casca a fagiuolo. Un anarco-comunista come lui non poteva non giocare per il St.Pauli. In campo con il pugno alzato e idolo indiscusso della curva. Era diventato un modello per tutto il quartiere. Non difendeva solamente una porta, era il guardiano della libertà d’espressione, 100% left.

Le iniziative che si affiancano alla squadra si moltiplicano. Nasce Millerntor Roar, una fanzine che è un po’ il naturale continuum tra la controcultura punk, decisiva nella formazione della nuova scena del tifo a St. Pauli, ed è la prima del calcio tedesco a prendere posizione su alcune questioni che all’epoca erano all’ordine del giorno: sessismo, razzismo tra gli spalti e repressione poliziesca.

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Il Fanladen diventa lo spazio adibito all’organizzazione di eventi del Fan-Project St. Pauli.  E  la naturale conseguenza è la creazione di una nuova cultura del tifo fondata su valori solidali, di antirazzismo e aggregazione positiva. Nato come punto di riferimento per le trasferte dei tifosi, esso diventerà negli anni il promotore culturale e politico dei fans sanktpauliani, nonché l’apparato sociale con i suoi progetti attivi per le strade del quartiere.

La nuova ondata ribelle

Siamo agli anni ’90. Se a livello calcistico la squadra alterna periodi tra Bundes e Zweite Liga, senza exploit degni di nota, la spoliticizzazione dei “nineties” comincia a farsi sentire; ma la difesa di un cantante punk che era stato accusato di violenza sessuale è l’occasione per far ripartire la ribellione sociale.

Verso la metà dei Novanta, tanti di quei tifosi che avevano vissuto gli anni ruggenti del decennio precedente sugli spalti del Millerntor, spostano il loro raggio d’azione all’interno del tessuto organizzativo e gestionale del club.

Una direttiva della federazione calcistica tedesca di quel periodo afferma l’esigenza per i club calcistici tedeschi di dotarsi di un organo definito “Aufsichtsrat”. Una sorta di comitato di sorveglianza con lo scopo di garantire maggiore controllo sia dal punto di vista dei bilanci economici che della gestione etica. I tifosi decidono le politiche della società. Esempio di tutto ciò è la mossa di impedire la vendita dei diritti del nome dello stadio, mossa che avrebbe portato nelle casse svariati milioni, ma giudicata troppo commerciale.

Il St. Pauli si dimostra nuovamente pioniere, connotando alcune scelte di gestione da un punto di vista politico, su tutte quella di fugare ogni riferimento al passato nazista che ha coinvolto il club. A tal proposito l’assemblea dei soci dell’AGIM,  il gruppo dei tifosi attivi dentro il club, nel 1999 propone con successo la ridenominazione dello stadio da “Wilhelm Koch” – nome dell’ex presidente storico del St. Pauli degli anni Trenta, collaborazionista del regime nazista, seppur con un ruolo marginale – a “Millerntor”.

Il Jolly Roger bar - ritrovo dei tifosi
Il Jolly Roger bar – ritrovo dei tifosi

E nel 1999 torna anche il nostro Volker Ippig come allenatore dei portieri della prima squadra e tecnico delle giovanili. Alla conferenza stampa di presentazione mette subito in chiaro di avere l’intenzione di restituire al club la sua vecchia natura perduta.

«Il mio cuore batte a sinistra. I miei valori politici e sociali non sono cambiati e continuano a essere gli stessi che animano il St Pauli.»

Dopo una fugace apparizione del club nella massima serie, risalente al 2001-2002, la società arriva ad un passo dalla bancarotta, tanto da intraprendere un’attività di raccolta fondi, la cosiddetta Retteraktion. Si cominciano a stampare magliette con lo stemma del club e circondato dalla parola Retter (Salvatore): più di 140.000 di queste vengono vendute in 6 settimane. Una corsa alla solidarietà, con donazioni spontanee da tutta la Germania. La locale birra Astra applica una tassa di 50 centesimi sulla vendita e in breve tempo vengono staccati 10 mila abbonamenti.

Il guadagno si aggira attorno ai 2 milioni di euro, anche grazie agli acerrimi rivali del Bayern, che si mobilitano per un’amichevole. Con l’allora tecnico dei bavaresi, Uli Hoeness, un “nemico di classe“, che effettua il giro di campo con la maglia della campagna: mai nella tana dei pirati tanti applausi erano stati riservati a un avversario. Tuttavia i risultati sul campo portano ad un’ulteriore retrocessione nella Regionalliga.

Il nuovo millennio

Per i pirati si apre una nuova storia. Nel 2002 al vertice del club arriva un progressista: Cornelius “Corny” Littmann e ci rimane fino al 2010. Regista teatrale omosessuale e personalità di spicco culturale, si impegna affinché il club si riappropri sempre più del suo profilo politico. Non senza però scontrarsi a volte con i tifosi, specialmente a fine mandato. Come quando nel 2009 i tifosi obbligano la società a ritirare dallo stadio la pubblicità di una bevanda energetica chiamata “Kalte Muschi“. Prego andarsi a trovare la traduzione.

La Curva del Millerntor
La Curva del Millerntor

Nel 2005, invece, il St. Pauli comincia anche a organizzare opere di beneficenza verso terzi. La squadra e i tifosi creano l’iniziativa “Viva con agua de Sankt Pauli”, una raccolta fondi per l’acquisto di distributori d’acqua per le scuole di Cuba. Il 2006 è l’occasione per andare contro la FIFA. Viene organizzato il mondiale Wild Cup, che si gioca in concomitanza con il “vero” Mondiale tedesco, con l’obiettivo di accrescere la notorietà delle “Nazioni senza Stato“. Per la cronaca, la Coppa la porta a casa Cipro Nord che batte ai rigori Zanzibar dopo una partita esaltante.

L’obbligo del club di impegnarsi politicamente e socialmente sul territorio viene nuovamente dibattuto nel congresso del 2009 dove vengono sancite cinque direttive.

1. Il St. Pauli FC è una società, che attraverso i suoi membri, viene influenzata sia direttamente che indirettamente dai cambiamenti in ambito politico, culturale e sociale.

2. Il St.Pauli FC è consapevole della responsabilità sociale e di cosa implica, rappresentando gli interessi dei suoi membri, del personale e dei fan non solo nella sfera sportiva.

3. Il St. Pauli FC è il club di un particolare quartiere della città, ed è a questo che deve la sua identità. Ciò conferisce una responsabilità sociale e politica in relazione al distretto e alle persone che ci vivono.

4. Il St. Pauli FC simboleggia l’autenticità sportiva e questo rende possibile per le persone identificarsi con il club indipendentemente dai successi sul campo.

5. La tolleranza e il rispetto nelle relazioni umane reciproche sono importanti pilastri della filosofia del St. Pauli.

Sotto la presidenza Littmann cominciano anche i lavori per il riammodernamento dello stadio, tuttora in corso di svolgimento. Un nuovo Millernton da 30.000 posti.

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La nuova “gegengerade” del 2013

Ultima in ordine di tempo è un’iniziativa del 2013. Avviene un piccolo miracolo e porta il pittoresco nome di Lampedusa Hamburg Football Club: una squadra che ha permesso a questi sfortunati migranti un momento di integrazione e, perché no, di spensieratezza. La squadra del St. Pauli ha donato loro maglie e coperte, lanciandosi persino in un folkloristico gemellaggio. La vicenda ha poi raggiunto la massima notorietà anche grazie ad un documentario, Lampedusa auf St. Pauli del regista Rasmus Gerlach, presentato al Filmfestival Hamburg 2013.

E il calcio in tutto questo dove è finito? Poche sono le vittorie da ricordare. Sicuramente quella del 2001 i campioni del mondo del Bayern Monaco. Una vittoria dai sapori forti per i tifosi, contrari allo strapotere di squadre elitarie e plurimilionarie come i bavaresi o gli stessi cugini dell’Hsv. Oppure la cavalcata in Coppa di Germania nel 2006, quando il Bayern Monaco si vendica in semifinale dopo che i pirati avevano eliminato squadre come Herta Berlino e Werder Brema.

Infine, la storica vittoria del 16 febbraio 2011, la più bella,  quando il St. Pauli vince la stracittadina fuori casa contro l’Amburgo. E non è un problema se dopo quella partita inanella 7 sconfitte consecutive, il derby è sacro.

Una favola a metà

Il nostro Volker invece che fine ha fatto? Il rientro in società dura appena 4 anni e Ippig comincia ad avere dei diverbi con la tifoseria per aver supportato pubblicamente il portiere Carlster Wehlmann nel suo desiderio di firmare per i nemici dell’HSV.

 «Persino le vacche cambiano pascolo. Perché qualcuno del St Pauli non può giocare con l’Amburgo? Anch’io ero così testardo, ma questi miti dovrebbero dissolversi come bolle di sapone.»

I tifosi ovviamente non gliel’hanno mai perdonato. Dopo essersene andato dal suo club per sempre, ha tirato su una scuola di portieri itinerante con dei metodi di allenamento particolari, che includono originali tecniche di preparazione fisica e trattamenti omeopatici. La parabola di Volker Ippig ci porta così al termine di questa storia che inevitabilmente ci pone delle domande e ci fa trarre altrettante conclusioni.

Esistono cinquecento St Pauli club in tutto il mondo, e solo in Germania la sua base di simpatizzanti si stima intorno agli undici milioni di persone. Abbiamo capito che è un fenomeno globale e un simbolo della sinistra che include nei suoi principi ufficiali il rispetto di tutti i rapporti umani.

Detto ciò, però, questo potente congegno di sinistra nel tempo è stato anche capace di stipulare accordi con una casa automobilistica – la Mini Cooper – per lanciare un modello esclusivo con il nome del club o con una multinazionale dell’abbigliamento sportivo – la Nike – per produrre una linea di scarpette con i suoi colori e il suo stemma. Volker Ippig, il capellone anarchico degli anni ’80, davanti a tutto questo non può non impallidire.

Verrebbe da dire che un tempo il St Pauli è stato veramente un laboratorio in cui il calcio ha potuto ridisegnare relazioni e regole. È stato uno degli ultimi tentativi utopistici di cambiare il mondo del professionismo. Effettivamente non c’è riuscito.

Il St Pauli non è più il club che Ippig & Co. provarono a costruire e il calcio non sarà mai quello sognato da qualche folle utopista. Gli affari hanno travolto anche Millerntor e nel calcio professionistico di oggi bisogna fare i conti con la realtà. Rimane un club di sinistra con una tifoseria di sinistra, impegnato nel sociale e che si batte ancora per un calcio più equo. Tutto questo non è poco. Ma il sogno di “Ippig lo Squatter” rimarrà tale.

Lui continuerà ad andare per la sua strada insieme ai suoi giovani portieri e lo showbusiness farà altrettanto. Ma noi, anche un “St. Pauli a mezzo servizio”, tra averlo o meno, preferiamo tenercelo e credere ancora alle favole e al Jolly Roger che ogni domenica sventola fiero al Millerntor Stadion.