Essere il Kaiser: Franz Beckenbauer, il monumento vivente - Zona Cesarini

Essere il Kaiser: Franz Beckenbauer, il monumento vivente

“Il più forte non vince. Piuttosto chi vince è il più forte”. (Franz Beckenbauer)

La frase sopracitata esemplifica perfettamente quello che è il pensiero calcistico di Franz Beckenbauer. Per il tedeschi, ma non solo, il Kaiser. L’Imperatore. Con buona pace di Guglielmo II, detitolato nel 1919 e per gli storici ultimo vero Imperatore di Prussia e Germania. Soprannome che calza a pennello ad un uomo che per il popolo teutonico continua a rappresentare un modello – e figura di riferimento conseguentemente – per la sua eleganza e per le capacità intellettive decisamente sopra la media.

Tornando alla frase di apertura, cominceremo dicendo che – se il gulliver di Franz è sempre stato al di sopra della media – diverso è il discorso sul fisico dell’atleta: non era il più grosso né il più veloce, nonostante avesse un buonissimo fisico. Non era il più tecnico. Non era il più talentuoso in senso assoluto.

Eppure il cervello sopraffino (clamoroso il suo senso tattico) abbinato ad una durability straordinaria ne hanno fatto uno dei giocatori più vincenti della Storia. L’unico ad aver vinto un Mondiale e da giocatore e da allenatore, almeno fino a Zagallo. Naturale che in patria sia ancora venerato come un idolo. Un monumento.

Ma andiamo al principio della storia: pochi giorni dopo la resa giapponese con la conseguente fine della seconda Guerra Mondiale, e circa un mesetto prima dell’inizio del Processo di Norimberga, in una Monaco di Baviera demolita dal conflitto bellico nasce Franz Anton Beckenbauer. Secondo genito di un postino e di una casalinga, Franz crebbe nel quartiere operaio di Obergiesing, tra i cumoli di macerie e la febbrile ricostruzione di una nazione.

Suo zio Alfons era stato giocatore prima del Bayern Monaco e dell’Arbeiternationalmannschaft (la squadra dei migliori operai tedeschi, poi soppressa dal partito Nazional Socialista) poi, e fu figura di riferimento per il piccolo Franz. Anche perchè Franz Sr. di calcio non voleva sentirne parlare: preferiva vedere il figlio avvocato. Oppure geometra.

Incoraggiato dalla zio e dalla madre, Franz cominciò all’età di 9 anni a giocare per il Monaco 06. La passione scoppiò grazie alle radiocronache che narravano ed incensavano le imprese di Fritz Walter – idolo incontrastato del piccolo Beckenbauer – con la Nazionale ai Mondiali del 1954. Oltre che per Walter, Franz stravede per le gesta del Kaiserslauten (squadra del suo idolo) ma soprattutto del Monaco 1860: all’epoca vera squadra dominatrice a Monaco.

La svolta avvenne nel 1959: ad un torneo cittadino estivo, Franz comincia a far girare qualche testa. È chiaro a tutti che quel magro ragazzino che già esercita un totale controllo mentale e tattico su compagni e allenatore – in grado di aumentare o abbassare i ritmi d’una partita a suo piacimento – ha della stoffa.

Sembra scontato il passaggio di Franz, con altri compagni di squadra, nelle file del Monaco 1860 a fine stagione. Anche perchè il Monaco 06 non ha i soldi – che ancora scarseggiavano in Baviera – per tirar su la squadra l’anno dopo.

Tuttavia il Destino agirà diversamente, furbescamente mettendo il Monaco 1860 e la squadretta di Franz l’uno contro l’altra nella semifinale del torneo. Semifinale durante la quale ci furono durissimi scontri – sia fisici che verbali – e polemiche tra tifosi, dirigenti e soprattutto giocatori. In particolare Franz ebbe da ridire – avendo già allora un discreto caratterino – col mediano suo dirimpettaio. Morale? Franz e compagni firmarono – più o meno per spregio – con gli avversari cittadini del Bayern.

Beckenbauer nel 1964

La storia un po’ alla Holly & Benji ebbe il pregio di dar vita ad un sodalizio che durerà – ben oltre il ritiro dal calcio giocato – per circa 18 stagioni (con 427 partite ufficiali giocate in prima squadra). E che porterà nella bacheca del bavarese 5 Campionati, 4 Coppe Nazionali e 3 Coppe dei Campioni.

Nel frattempo il giovane figlio della Baviera è costretto a dividersi tra il lavoro di praticante assicuratore e quello di giovane promessa. Quest’ultimo però un “lavoro” che nulla rende a livello economico, visto che il calcio di allora non era rettitizio come quello di oggi. Ecco che quindi Franz, dopo le canoniche 8 ore lavorative, parte praticamente ogni giorno per il “Das Trainingsgelande” del Bayern.

Col successo a livello giovanile, arriva anche la chiamata nell’Under tedesca. Dal quale viene in un primo momento escluso in quanto, all’alba del 1963, si scopre che l’allora ragazza del futuro Kaiser è rimasta incinta. E che – cosa all’epoca ancor più grave – quest’ultimo non ha la minima intenzione di sposarla. Lo scandalo scuote la Germania a livello Nazionale, e verrà risolto (positivamente per Franz) solo dopo l’intervento del coach dei giovani tedeschi: Dettmar Cramer.

Se la vita extra-calcistica è tormentata, quella all’interno del rettangolo di gioco comincia invece a decollare: nel Giugno del 1964 quel campione di precocità che è Franz Jr. scrive un altro dei suoi record, esordendo non ancora 19enne nella Regionalliga Sud, la seconda serie del calcio tedesco. Incredibilmente, s’impone subito come titolare. Schierato come centrocampista centrale, Beckenbauer non salta neanche una partita, trascinando il Bayern ad un’esaltante promozione in Bundesliga.

Nonostante il Bayern si stia trasformando, proprio in quel biennio, in una superpotenza europea, c’è anche un lato economico da tenere in considerazione. Ecco che quindi il Bayern è costretto a vendere il suo gioiellino, cedendo alle lusinghe dei miliardi stranieri: l’Inter di Milano, forte del boom economico italiano, si presenta con un assegno che non si può rimandare indietro.

Ecco quindi che Beckenbauer, nel giugno 1966 e dopo aver vinto la prima Coppa di Germania della storia dei Bavaresi, viene di fatto spedito a Milano.

Ma ancora una volta il destino si schiera col Bayern, sotto le insolite spoglie del caporale Pak Doo-Ik. Che, in un fosco (per i colori azzurri) Mondiale inglese, segna la rete che elimina l’Italia dal torneo. Eliminazione che in Italia viene presa talmente male che si decide di chiudere ai calciatori stranieri le frontiere. Per l’ennesima volta (a quanto pare la storia si ripeterà spesso), nel Belpaese si cerca negli stranieri un capro espiatorio per i propri problemi.

Fatto sta che Franz rimane in Germania, cominciando ad accumulare trofei. E diventando il capitano della squadra – appena 23enne – nel 1968. È proprio in quell’anno che arrivò la prima vittoria in Campionato ed il suo personalissimo spostamento nel ruolo di libero. Ruolo che nessuno ha mai intepretato nella storia meglio di lui: Franz è infatti sempre al centro del gioco, sia in fase d’attacco che di difesa.

Non sbaglia mai un passaggio, non perde mai un contrasto e non si fa mai trovare fuori posizione. Mai. Inoltre ha quella classe innata, quel portamento – schiena dritta e testa sempre alta – che saranno i suoi tratti distintivi per antonomasia. Nel frattempo, il gioco offensivo del Bayern, reso possibile proprio da quel genietto che gioca “dietro” e detta i tempi, comincia a diventare iconico in Europa. Dimostrandosi soprattutto un modello vincente e redditizio.

È del 1968 anche il soprannome “Kaiser”, la cui origine tutt’ora divide i tedeschi: c’è chi dice che gli venne affibbiato dopo che scattò per la Nazionale un paio di foto – in un hotel berlinese – accanto al busto di Francesco I d’Austria. Un giornale titolò Der Fußball-Kaiser e così fu fatto il misfatto. Per altri, questo deriva da uno scontro con Reinhard Libuda, stopper dello Shalke 04 e nemico di mille battaglie, che era soprannominato “il Re della Wesfalia”. Naturale che, dopo parecchie sconfitte contro il Bayern, il dirimpettaio ottenesse un soprannome ancor più nobile.

Ovviamente nel 1965, non ancora 20enne, era diventato anche pilastro della Nazionale tedesca. Vi rimarrà 12 anni, in Nazionale, per un totale di 103 partite ufficiali (con 14 goal all’attivo). Vincendo un europeo (1972) e un Mondiale (1974), e andando vicino ad analoghe imprese in almeno altre 2 occasioni.

Giunse infatti terzo ai Mondiali del 1970 dopo l’epica semifinale vinta per 4-3 dalla nazionale italiana durante la quale, a seguito di un infortunio che gli causò la lussazione di una spalla, restò stoicamente in campo, giocando con un braccio fasciato lungo il corpo e fino alla fine dei supplementari ai 2000 metri dell’Azteca.

Il tutto ovviamente da capitano e da indiscusso leader tecnico ed emotivo. In parole povere: un vincente nato. Vincente che nel 1972 si aggiudicò, oltre agli Europei, pure il Pallone d’Oro. Bisserà il trofeo personale anche nel 1976, nonostante una sconfitta ai Rigori proprio nella finale degli Europei, dove fece scandalo anche per una fuga dal ritiro tedesco per incontrare una non meglio precisata attrice di soap.

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Beckenbauer col Pallone d’Oro.

Distrazioni extracalcistiche che però non l’hanno mai distolto troppo da quella che era la sua passione primaria: è tutt’ora infatti l’unico difensore ad aver alzato per 2 volte il pallone d’Oro.Nel 1977, oramai 32enne e sazio di successi, il Kaiser accetta un’offerta milionaria dei Cosmos di New York. Di fianco al redivivo Pelè (anche se per una sola stagione) ed al bomber Chinaglia, Franz vincerà 3 campionati in 3 stagioni. In pratica, il Kaiser non sa perdere. Tornerà in Germania, oramai a fine carriera e per sole due stagioni, per giocare con l’Amburgo: manco a dirlo, vincerà coi sassoni uno storico Scudetto prima di ritirarsi dal calcio giocato.beckenbauerDopo il ritiro, intraprese – con successo, manco a dirlo – la carriera di allenatore (vinse i Mondiali del 1990 con la Germania, e l’accoppiata Scudetto e Coppa UEFA col Bayern nel 1996) prima e di dirigente poi. Con una comparsata, dal 2007 al 2011, come vice-presidente della FIFA. È tutt’ora parte della famiglia Bayern, col quale riveste il ruolo di Presidente Onorario.

Con un piccolo scandalo alle spalle – si rifiutò nel 2014 di cooperare alle indagini sulla presunta illecita assegnazione a Russia e Qatar dei due prossimi Mondiali – attualmente è il riferimento tecnico ed emotivo di Pep Guardiola. Tecnico fortemente voluto dal Kaiser, che trova assonanze tra il calcio proposto dal catalano con quello giocato 40 anni fa dal suo miracoloso Bayern.

Du Allein, il singolo di Franz Beckenbauer (1966)

Tra i record più curiosi del Kaiser ricordiamo anche quello d’esser l’unico vero giocatore esistente schierato nel celebre match dei Monty Python “Filosofi greci vs filosofi tedeschi”. Donnaiolo incallito (si contano 3 matrimoni ufficiali, valsi 5 figli e almeno 3 storie ufficiali fuori dal matrimonio), con una parentesi pure da cantante; personaggio debordante e affascinante, negli anni non ha visto svanire il proprio peso a livello nazionale né il suo lustro.

Anzi, la sua figura è sempre molto ascoltata. Quasi adorata ed idolatrata. Qualsiasi cosa faccia e qualsiasi cosa dica, può venir criticato, ma sempre con quel rispetto e timore che si prova nei confronti di un’icona – o d’un mito – più che d’un essere umano. Quasi fosse di un’altra dimensione.

Nel 1998 Franz Beckenbauer viene infine nominato “giocatore tedesco del secolo” e contemporaneamente boccia l’idea del regista Tony Wiegand di un film sulla sua vita. “Non è che mi dispiaccia l’idea, intendiamoci. È che voglio vivere nel presente ed essere ascoltato per ciò che sono ora, non per ciò che ero. Probabilmente ho dato il meglio di me come essere umano dopo il ritiro”, il suo commento in merito, sminuendo il concetto di fama postuma.

Beckenbauer ai giorni d'oggi.
Beckenbauer ai giorni d’oggi.

Fama che in fondo l’apparentemente riservato Kaiser ha sempre accettato, coccolato e soprattutto piegato alla propria volontà, nonostante la sua allergia al gossip: basti pensare che ha preteso, nel contratto di sponsorizzazione tra T-Mobile ed il suo Bayern Monaco, che gli fosse garantito il numero di telefono 0176/666666.

Il motivo non si sa, ma anche questo è il Kaiser: costanza, classe, magnetismo, carisma, lucidità e lucida follia. Il tutto in un’unica persona.

D’altronde, anche se non l’avete mai visto giocare e sicuramente non si è mai distinto per la sua simpatia, provate a snoccialare un 11 ideale della storia del calcio e vedrete chi apparirà – come per magia – nel ruolo di difensore centrale.