I Ruggenti Anni '80 del Belgio di Scifo, Pfaff e Preud'Homme - Zona Cesarini

I Ruggenti Anni ’80 del Belgio di Scifo, Pfaff e Preud’Homme

Agli ultimi mondiali, tra le outsider più temute e considerate c’era sicuramente il Belgio; la squadra dei diavoli rossi, dopo anni assai opachi (non partecipava ad un Mondiale dal 2002 e ad un Europeo dal 2000) aveva ritrovato una generazione di giocatori forti e giovani: Lukaku, Courtois, Hazard, De Bruyne fanno a malapena 90 anni in quattro, senza contare l’età giusta per esplodere di altri potenziali craque del calibro di Fellaini, Witsel e Mertens.

Non è un caso che qualcuno abbia preso in considerazione l’ipotesi che i rossi avrebbero potuto arrivare in semifinale, come successe a Messico ’86: e come nel 1986, è stata ancora l’Argentina ad infrangere i sogni di gloria dei belgi, sconfiggendoli nei quarti solo ai supplementari. Il quarto posto di 29 anni fa non fu un caso, anzi: si inseriva perfettamente nella decade d’oro del calcio belga, che è proprio il caso di ripercorrere insieme.

Che il Belgio fosse ormai pronto a percorrere un decennio indimenticabile dal punto di vista calcistico lo si era già capito nella seconda metà degli anni ’70: l’Anderlecht di Paul Van Himst aveva raggiunto 3 volte di fila la finale di Coppa delle Coppe (2 vittorie e 1 sconfitta), e sconfiggendo Bayern Monaco e Liverpool nella Supercoppa Europea: quest’ultimi nel 1976 e nel 1978 avevano peraltro tolto al Bruges in finale Coppa UEFA e Coppa dei Campioni.

Ciò che però mancò in quel decennio fu una nazionale competitiva: il terzo posto dell’Europeo casalingo del 1972 è da considerarsi un po’ casuale, come lo dimostrano le mancate partecipazioni ai due mondiali successivi. Il sorteggio degli Europei del 1980 sembrò nuovamente ostacolare la rinascita della nazionale dei Diables Rouges: inserita in un gruppo con l’Italia padrona di casa, l’Inghilterra padrona delle competizioni per club e la Spagna, la selezione allenata da Guy Thys pareva destinata ad un torneo da comparsa.

Il primo incontro, però, fu la prima delle tante sorprese che i belgi avrebbero riservato durante la manifestazione: sotto di 1-0 con gli inglesi grazie ad un gol-capolavoro del futuro milanista Wilkins, raggiunsero il pareggio pochi minuti dopo grazie a Ceulemans, 23enne promessa della nazionale; dopo aver impattato, poi, il Belgio dimostrò una grande preparazione tattica, facendo cadere spesso e volentieri in fuorigioco l’attacco inglese guidato da Kevin Keegan e mettendo al sicuro il risultato grazie ad un’invidiabile compattezza collettiva, costruita da Thys tramite un maniacale lavoro di chiusura degli spazi di gioco in zona centrale, generando densità e muovendosi sempre in funzione dell’avversario tenendo come riferimento la zona.

L’incontro successivo con gli iberici fece registrare una convincente vittoria per 2-1, grazie alle reti di Gerets e Cools; ancora una volta fu il gioco a stupire la stampa: le azioni da gol, che passavano attraverso i piedi di Van Moer prossimo al ritiro, avrebbero infatti potuto portare ad un punteggio ben più pesante, se solo l’inesperto Vanderbergh si fosse dimostrato più freddo davanti ad Arconada. Con quella vittoria i rossi iniziavano davvero a sperare di raggiungere una finale altamente improbabile alla vigilia: vista la differenza reti sarebbe bastato infatti pareggiare contro l’Italia per giocarsi il titolo contro la Germania, che aveva passeggiato sul gruppo formato dalla decadente Olanda, dall’esordiente Grecia e i detentori cecoslovacchi.

Il Belgio pensa a difendersi, e dopo un tiro di Ceulemans bloccato da Zoff, è l’Italia a gettarsi in avanti in maniera confusa; per le rare volte in cui gli azzurri non incappano nell’offside belga, Pfaff è insuperabile: prima un doppio miracolo su Graziani, poi su Causio e Bettega, più un palese fallo di mano in area di Meeuws non visto dall’arbitro regalano al Belgio il clamoroso approdo alla finalissima dell’Olimpico.

La gara con la Germania è impostata in maniera difensiva, vista la potenza del quintetto di centrocampo e attacco dei tedeschi: Schuster-Hansi Müller-Rummenigge-Allofs-Hrubesch, senza contare le qualità di Briegel come tornante. Pfaff, autore di uno straordinario europeo, si supera subito su Hansi Müller e Rummenigge, ma già dopo appena 9 minuti subisce il primo gol: un velenoso diagonale di Hrubesch su cui non è esente da colpe, lo trafigge alla sua sinistra, mettendo la gara in salita.

Il vantaggio ai tedeschi non basta, e solo un volo di Pfaff impedisce il raddoppio su un missile di Allofs: i tiri dalla distanza saranno il leit-motiv tedesco, mentre il Belgio faceva affidamento al contropiede rapido dell’impreciso Ceulemans, per poi sfiorare il pari con Vandereycken. Alla fine, la superiorità territoriale dei belgi verrà premiata dall’arbitro Rainea, che assegna un rigore per un fallo fatto fuori area da Stielike a Van der Elst; Vandereycken realizza così l’ 1-1 al 75′, con Mommens che poi sfiora addirittura il vantaggio con un tiro da fuori deviato da Schumacher.

Jean-Marie Pfaff

Il gol però risveglia la Germania, che mette subito in difficoltà Pfaff, e a due minuti dal 90′ una capocciata di Hrubesch da corner trova il gol, decretando la fine dei sogni per il Belgio; l’età dell’oro è comunque aperta. La maledizione tedesca continuerà però anche l’anno successivo, quando in Coppa UEFA il Colonia volò in semifinale – eliminando lo Standard Liegi – con una rete di Littbarski allo scadere.

Nel 1981-82 sempre lo Standard, trascinato dall’olandese Arie Haan, sfiorò una strepitosa doppietta: oltre a supuntarla sull’Anderlecht in patria, arrivarono infatti in coppa delle Coppe le eliminazioni dei maltesi del Floriana (addirittura 9-0 al ritorno), del Vasas Budapest e di squadre ben più ostiche come il Porto e la Dinamo Tbilisi, raggiungendo così la finale in programma al Camp Nou. Unico problema: la squadra da affrontare in Catalogna è il Barcellona.

Dopo 7 minuti dall’inizio dell’incontro la squadra belga sembrava essersi dimenticata della bolgia del Nou Camp: con uno schema perfetto, Vandersmissen portava in vantaggio la squadra guidata da Goethals; l’illusione rimane fino alla fine del primo tempo, quando Simonsen batte Preud’homme di testa, dopo che quest’ultimo aveva parato di tutto nell’assedio lanciato dai padroni di casa dopo lo 0-1. Nella ripresa, la rete di Quini consegnerà la coppa alla squadra di Udo Lattek.

Nel frattempo, anche i bianco-malva dell’Anderlecht facevano faville in Europa: venivano fatte fuori nell’ordine il Widzew Łòdż di Smolarek e la Juventus, mentre nei quarti la vittima era la Stella Rossa. Al penultimo atto del torneo c’è l’Aston Villa, avversario non impossibile: tuttavia nell’andata di Birmingham – mentre tutti gli inglesi sono alle prese con l’assurda guerra delle Falkland – sono i padroni di casa a spuntarla per 1-0 e a dominare, tanto che Rimmer è costretto a solo una parata degna di questo nome, su un tiro del capitano Ludo Coeck (che morirà appena 3 anni dopo per un incidente stradale).

Al ritorno i belgi ci provano, ma i Villans sono tatticamente perfetti per preoccuparsi dell’Anderlecht; inoltre, le poche occasioni dei padroni di casa sono sprecate malamente, determinando quindi lo 0-0 che porta gli inglesi in finale. Nel frattempo, i primi grandi risultati dei club si riflettevano anche sull’attività della nazionale: qualificatasi tranquillamente ai mondiali di Spagna, la selezione di Thys si trovò davanti un girone abbordabile: esclusa l’Argentina, erano uscite dall’urna El Salvador e l’Ungheria.

Nel match con l’albiceleste rimasto nella storia soprattutto come gara d’esordio di Maradona ai mondiali, il Belgio dimostrò di non avere minimamente paura dell’Argentina, dando vita ad una bellissima partita: ad un’azione offensiva dei sudamericani infatti corrispondeva sempre un contrattacco dei belgi, che prima ebbero con Czerniatynski la più limpida delle occasioni – ma il suo colpo di testa a porta vuota finirà a lato – per poi segnare l’1-0 nella ripresa grazie alla freddezza di Vanderbergh.

L’iconica foto di Maradona contro il Belgio

L’Argentina si getta in avanti, ma è troppo imprecisa per pareggiare: Maradona colpisce una traversa su punizione, e poi sulla ribattuta Pfaff chiude divinamente su Kempes; poco dopo su un’azione di contropiede Vanderbergh sfiora il raddoppio. L’ultima possibilità degli argentini di pareggiare viene da Valdano, ma anche qui Pfaff è bravissimo, respingendo d’istinto il colpo di testa con la spalla e sancendo la sorprendente vittoria del Belgio. L’incontro successivo con El Salvador sembra invece una formalità: la formazione centroamericana aveva perso addirittura 10-1 con l’Ungheria, meritandosi l’inelegante definizione di “vergogna del calcio mondiale” da parte di Thys; invece, nonostante la vittoria, la partita con i salvadoregni fu considerata come un deciso passo indietro rispetto al trionfo con l’Argentina.

La sfida venne impostata con un carattere offensivo, facendone venir fuori un 1-0 – grazie ad un tiro da oltre 30 metri di Coeck con la complicità del portiere Mora – ma niente di più; Ceulemans sbagliò tutto lo sbagliabile, ed in generale l’attacco si dimostrò inadeguato, tanto che il più pericoloso per la difesa salvadoregna fu proprio Coeck, centrocampista.

Pur deludendo, grazie all’1-0 bastava un pari nella gara successiva con l’Ungheria per passare – e vincere – il girone, mentre i magiari avevano l’obbligo di vincere, vista l’improbabilità di una pareggio dell’Argentina con El Salvador. L’Ungheria si schierò con ben 4 punte, mentre il Belgio ritornò alla tattica fuorigioco-contropiede unita alla straripante fisicità dei suoi effettivi: soprattutto grazie a quest’ultima qualità andò vicino al gol due volte, anche se fu l’Ungheria a portarsi in vantaggio: sarà Varga a segnare l’1-0 approfittando dell’indecisione della retroguardia belga. I rossi reagiscono velocemente, colpendo un palo con una gran punizione a giro di Coeck mentre Vandenbergh, di testa, sfiora il pari. Nella ripresa i magiari potrebbero chiudere la partita, ma Nyilasi fallisce una facile palla di testa; nonostante sia alle corde, il Belgio riesce a pareggiare alla mezz’ora: superba azione personale di Ceulemans, che si fa 40 metri di campo per fornire l’assist a Czerniatynski, che sigla l’1-1 che significa seconda fase.

La qualificazione però significa anche la fine dei sogni dei belgi: inseriti in un girone con la Polonia e l’Unione Sovietica, al Nou Camp – dove qualche mese prima Meeuws, Gerets e Vandersmissen avevano terminato la loro cavalcata in coppa delle Coppe con lo Standard – i polacchi fecero subito capire con una tripletta di Boniek che non era ancora il momento per la semifinale. Con l’URSS si deve vincere per sperare, ma il primo tempo finisce con solo due conclusioni pericolose, di Vandenbergh e Vercauteren, mentre nel secondo tempo il Belgio si sgonfia definitivamente: una rete di Oganesjan significa l’addio al torneo, e anche i tentativi di pareggiare non fruttano, complice la cronica imprecisione dei diavoli rossi nel centrare la porta.

L’Anderlecht – guidato dal mitico Van Himst – sarà la squadra che farà più tesoro dell’esperienza internazionale la stagione successiva, in coppa UEFA: raggiunta la finale con il Benfica di Eriksson, dopo aver steso tra le altre Porto e Valencia, la vincerà. L’incontro d’andata a Bruxelles terminò 1-0, con il danese Brylle protagonista in positivo (è sua l’unica rete) ed in negativo (molti errori sottoporta), mentre il portiere belga Jacky Munaron fa una grandissima figura sulle veloci ripartenze portoghesi.

Al ritorno si rivede il Belgio operaio e catenacciaro: il Benfica, costretto a vincere e spinto dal Da Luz, pressa e arriva al tiro continuamente. Carlos Manuel e Coelho sfiorano il gol con due tiri al volo, e arriverà poi la rete di Shéu, che verrà pareggiata dopo appena 5 minuti da Lozano, assegnando praticamente la UEFA all’Anderlecht: ai benfiquistas sarebbero serviti due gol nella ripresa, ma Munaron fa un autentico miracolo su Carlos Manuel, facendo capire che la maledizione di Béla Guttmann era ancora valida.

Nel frattempo, anche nella Coppa delle Coppe le squadre belghe si dimostravano assai combattive; lo sconosciuto undici del Waterschei Thor raggiunse tranquillamente i quarti, complice anche un sorteggio favorevole, che gli aveva permesso di affrontare i lussemburghesi del Red Boys Differdange ed i danesi del B.93: non proprio degli squadroni. Per raggiungere le semifinali invece, gli era toccato il PSG di Rocheteau e Fernandez: sembrava una sfida senza speranza, tantopiù che al Parco dei Principi era terminata 2-0.

Invece, al ritorno l’attacco della squadra di Genk funzionò a meraviglia, schiacciando i francesi per tutto l’incontro: pur colpendo un palo e una traversa, arrivarono le reti di Gudmundsson e Ronald Janssen che mandarono le squadre ai supplementari. I 30 minuti extra furono solo un’ulteriore sofferenza per i tifosi francesi, visto che Paul Janssen firmava il clamoroso 3-0, facendo perdere la bussola alla squadra transalpina, che terminò la gara eliminata e in 9. Il sogno però finiva qui: alle semifinali l’Aberdeen allenato dal giovane Alex Ferguson gli rifilò due reti nei primi 3 minuti, chiudendo poi l’incontro 5-1, e rendendo ininfluente la gara di ritorno.

Alex Ferguson ai tempi di Aberdeen (credits: dailyrecord.co.uk)

La stagione successiva nelle coppe, da tenere sott’occhio visti gli europei francesi, rivide l’Anderlecht assoluto protagonista: vennero fatti fuori senza problemi i norvegesi del Bryne, i cecoslovacchi del Banik Ostrava, mentre agli ottavi il Lens fu sconfitto tra mille difficoltà (1-1 e 1-0) e dopo un lungo assedio. Ai quarti toccò allo Spartak Mosca, che all’andata cederà per 4-2; al ritorno i sovietici tentano di raggiungere il 2-0 che li qualificherebbe, ma un rigore tirato sul palo da Gavrilov spegne le loro speranze: così, la rete segnata all’88’ da Rodionov è inutile e allo stesso tempo beffarda.

In semifinale l’Anderlecht si trovava di fronte il Nottingham Forest di Brian Clough: i Garibaldi Reds la spuntarono all’andata, vincendo per 2-0 in casa; nel ritorno, però, i belgi si dimostranco concentrati e pronti per la rimonta. A segnare il gol dell’1-0 c’è un 18enne di origini italiane, alla sua prima stagione in malva: Vincenzo Scifo, che con un dribbling tra due difensori e rasoiata da fuori area che non dà scampo a Van Breukelen mostra subito le sue capacità.

Vincenzo Scifo con la maglia del Belgio

Nella ripresa Brylle realizza il rigore (dubbio) che si era procurato, pareggiando i conti con gli inglesi: all’ultimo minuto Vercauteren segnerà la rete del 3-0, sancendo la seconda finale consecutiva della squadra di Van Himst. C’è un però: 13 anni dopo Constant Vanden Stock – che aveva da poco lasciato la carica di presidente al figlio – ammise che l’arbitro della partita, lo spagnolo Guruceta Muro, venne ammorbidito con una somma oggi equivalente a circa 40.000 euro; il che spiega perfettamente il rigore assegnato a Brylle e la rete annullata agli ospiti, che se convalidata li avrebbe mandati in finale.

L’incontro d’andata con il Tottenham l’Anderlecht lo gioca in casa, e il match è piuttosto scialbo: gli ospiti si portano in vantaggio nella ripresa grazie a Miller, con la classica incornata da calcio d’angolo, e subiscono il pari a pochi minuti dalla fine con un tocco ravvicinato di Morten Olsen. L’1-1 finale che tiene il discorso UEFA completamente aperto delude gli Spurs, largamente superiori ai malva nella ripresa.

Tuttavia, chi di zona cesarini ferisce, di zona cesarini perisce: nel ritorno infatti il gol di Czerniatynski – tra i più pericolosi già all’andata – viene pareggiato a 5′ dalla fine da Roberts, difensore centrale come Olsen. Nei supplementari la tattica del fuorigioco tanto cara ai belgi è applicata benissimo dall’Anderlecht, che in caso di fallimento può contare sull’eccezionale Munaron: si andrà ai rigori. I tiri dagli undici metri saranno vinti dai lilywhites, i quali dopo aver fallito il match-point nell’ultimo penalty si stavano già preparando ad affrontare i tiri ad oltranza: tuttavia, Parks para il tiro di Arnur Gudjohnsen, regalando la coppa al Tottenham.

Gli europei furono invece la seconda cocente delusione dell’anno. Dopo una convincente prova sulla Jugoslavia di Katanec e del giovane Stojkovic, battuta 2-0 con una gran prova dell’esordiente Scifo, il Belgio subisce infatti un’umiliante 0-5 contro la Francia; per i transalpini è tutto facile, soprattutto grazie ad uno scatenato Platini, autore di una tripletta.

La sconfitta aveva praticamente eliminato il Belgio, visto che per passare alle semifinali gli sarebbe servita una vittoria con 4 reti di scarto sulla Danimarca: alla fine, nonostante il 2-0 iniziale, gli scandinavi ribalteranno il risultato; uno dei gol è opera di Brylle. L’unica nota positiva della rassegna continentale fu la consapevolezza di aver trovato in Scifo un autentico e giovanissimo campione, tanto che Platini lo nominerà più tardi suo unico erede. Nel 1985-86 il calcio belga risalì la china alla grande, ripetendo le imprese del 1982: l’Anderlecht di nuovo in semifinale di Coppa dei Campioni ed una squadretta modesta, il Waregem, in semifinale di UEFA. Per i primi, il cammino iniziale fu tranquillissimo: per la squalifica post-Heysel delle squadre inglesi l’Everton non incontrò neppure i malva, che al secondo turno liquidarono l’Omonia Nicosia.

Il sorteggio dei quarti però riservò il Bayern Monaco di Matthäus e soprattutto di Pfaff: all’Olympiastadion i tedeschi vinsero all’andata per 2-1, con la rete di Andersen che permetteva di sperare per il ritorno. I belgi al ritorno chiudono già 2-0 il primo tempo, con le reti di Scifo e Lozano e il palo di un altro giovane campione, Stephane Demol, appena 20enne. Nella ripresa la gara è tranquillamente controllata e i tedeschi vanno vicini alla rete solo una volta con Dieter Hoeness; l’Anderlecht è in semifinale contro lo Steaua Bucarest.

Pfaff con la maglia del Bayern

La gara d’andata accende gli entusiasmi dei belgi: la partita termina 1-0 con un gol nel secondo tempo del solito Scifo, ormai trascinatore della squadra. Peccato che nel ritorno dopo appena 3 minuti lo Steaua pareggiasse già i conti con un gol di Piturca, e al 24′ Balint avesse già ribaltato il risultato. Nella ripresa l’aggressività romena non cambia, e Piturca trova la doppietta che chiude la partita con un clamoroso 3-0.

Un’impresa ancora più clamorosa fu compiuta dal Waregem in Coppa UEFA: sconfitte l’Aarhus e l’Osasuna, agli ottavi trovava il Milan; già all’andata però i rossoneri furono messi in seria difficoltà, tanto che Virdis raggiunse l’1-1 a solo 2 minuti dallo scadere, per una papera di De Coninck. Al ritorno, al gran gol di Bortolazzi il Waregem rispose con un rigore (discutibile) trasformato da Desmet: a metà ripresa arrivò quindi la rete storica di Veyt che spalanca le porte dei quarti contro l’Hajduk Spalato. La gara contro gli allora jugoslavi sarà durissima: sconfitta per 1-0 rimediata con lo stesso risultato nel ritorno, e giunti ai rigori de Coninck fa la parata della vita portando una città di 30.000 abitanti in semifinale di UEFA.

Il sogno però è destinato a finire: contro il Colonia di Harald Schumacher, Allofs, Littbarski e del teen-ager Hassler perdono 4-0 la gara d’andata, ed il ritorno (3-3) è una formalità. Tutti i tifosi belgi però ricorderanno con gioia quell’anno, perchè con i Mondiali del 1986 il calcio belga toccò l’apice.

Il Belgio ai mondiali di Messico ’86

Dopo aver passato da ripescati un facile girone includente Paraguay e Iraq in cui l’unico avversario temibile erano i messicani padroni di casa, agli ottavi il Belgio si trovò davanti l’URSS del “calcio del 2000” di Lobanovski, che aveva appena trascinato la Dinamo Kiev al trionfo in Coppa delle Coppe. I sovietici erano nettamente favoriti, visto anche il figurone fatto nella fase a gironi, dove vinsero il gruppo precedendo la Francia di Platini: e in effetti il primo tempo sembrava rispettare il copione: bomba di Bjelanov e 1-0.

Scifo, freddissimo come sempre, segna il pari, ma quando al 70′ di nuovo Bjelanov porta in vantaggio l’URSS sembra fatta; e invece dopo 8 minuti Ceulemans segna con grande personalità, ma il guardalinee segnala il fuorigioco. Quindi rete annullata? Assolutamente no, l’arbitro ignora l’assistente e convalida il 2-2, senza sapere che così facendo ha dato il via ad una partita storica.Demol segna il gol del vantaggio belga, grazie anche ad una difesa incerta (ad essere generosi) e molto inefficace sulle palle alte: all’inizio della seconda parte dell’extra-time arriva anche il 4-2 con un bellissimo tiro di Claesen. La gara non è però chiusa: un minuto dopo Bjelanov segna la sua terza rete – su rigore – e nonostante il risultato non cambiasse più nei minuti finali, quella tripletta regalerà al centravanti di Odessa il Pallone d’Oro.

Nei quarti l’avversaria è la Spagna, che quando all’85’ pareggia con Señor il gol di Ceulemans – dopo il mancato raddoppio di Veyt – sembra avviata alla vittoria, vista la superiorità territoriale e di palleggio dimostrata durante l’incontro. Tuttavia, l’assedio dei supplementari non produce risultati, ed i rigori premiano il Belgio: Pfaff para il tiro di Eloy, e Leo Van der Elst segna il match-point della storica semifinale. Contro Maradona al massimo della carriera, le speranze belghe sono al lumicino, e infatti El Diez segnerà una strepitosa doppietta, che non sminuirà comunque il capolavoro dei Diables Rouges in quel mondiale.

Era però vicino il canto del cigno – il Belgio neppure si quaificò ad Euro ’88 – nonostante ci fossero ancora degli scampoli di grande gloria per il calcio belga: nel 1987-88 il Bruges (che due anni prima aveva lanciato un certo Jean-Pierre Papin) sfiorò la finale di UEFA, mentre il Malines ottenne una memorabile vittoria in Coppa delle Coppe. Per i nerazzurri del Bruges, si può tranquillamente parlare di finale buttata via: dopo aver passato i sedicesimi e gli ottavi con due pazzesche rimonte (1-3 e 4-0 con la Stella Rossa Belgrado, 0-3 e 5-0 ai supplementari con il Borussia Dortmund) e sconfitto anche il Panathinaikos, si trovò al penultimo atto l’Espanyol. La partita d’andata terminò 2-0 per il Bruges, ma al ritorno i belgi si autoeliminano, giocando dal 41° in 10, e subendo il gol del 3-0 che gli priva la finale ai supplementari per una papera del portiere.

La vera impresa la compie invece il piccolo Malines di Preud’Homme: i turni iniziali sono facili, e Dinamo Bucarest, St.Mirren e Dinamo Minsk vengono battute con il minimo sforzo. Alle semifinali si fa più dura: avversaria è la sorprendente Atalanta di Strömberg e Mondonico, che pur giocando in B sta facendo benissimo anche in Europa, eliminando ai quarti una squadra blasonata come lo Sporting Lisbona.

Michel Preud’homme con uno strepitoso completo Uhlsport

La partita d’andata in Belgio è equilibratissima, tanto che dopo 7 minuti siamo già 1-1 grazie alle reti di Ohana e Strömberg; nella ripresa den Boer, vero trascinatore dei giallorossi, segna la rete decisiva all’82°. Al ritorno il sogno dei bergamaschi sembra prendere forma, visto il rigore trasformato da Garlini che porta momentaneamente in finale la Dea. Nella ripresa, dopo il palo di Fortunato, arrivano però i gol di Rutjes e di Emmers, che spediscono il Malines a Strasburgo per la finale contro l’emergente Ajax di Blind, Winter e Bergkamp.

Il miracolo sembra assai improbabile, visto che per il calcio oranje è una delle migliori annate della sua storia: invece, il Malines non teme i lancieri, li attacca tanto quanto si difende e a inizio ripresa de Boer segna l’unica rete dell’incontro; i giallorossi vincono la Coppa delle Coppe, e successivamente trionferanno pure in Supercoppa Europea contro un’altra grande olandese, il PSV.

La stagione seguente il Malines si ripete, arrivando fino in semifinale – dopo aver eliminato l’Anderlecht nell’unico derby belga delle coppe europee – contro la fortissima Sampdoria di allora. Alla fine, i blucerchiati vendicheranno l’Atalanta, ribaltando l’1-2 dell’andata con un sofferto ed eccessivo 3-0, tanto che le reti di Cerezo, Dossena e Salsano giungono tutte negli ultimi 20 minuti; i giallorossi si consoleranno in patria con un clamoroso scudetto.

La stagione del 1989-90 sarà l’ultima grande annata del calcio belga. Sempre in Coppa delle Coppe sarà l’Anderlecht a fare la parte del leone, eliminando agli ottavi il Barcellona allenato da Cruijff nei supplementari, dopo aver rischiato un’altra beffa clamorosa: dopo il 2-0 dell’andata perdono il ritorno con lo stesso punteggio, e si salvano solo ai supplementari con una rete di Van der Linden. Alla fine sarà finale con la Sampdoria, ma le speranze svaniranno quando nell’extra-time uno scatenato Vialli infilerà due volte in tre minuti la porta di De Wilde. Il Malines risponderà a tono, con un’impresa che se riuscita sarebbe ricordata ancora oggi: dopo aver eliminato Rosenborg e Malmö, ai quarti costrinse il Milan addirittura ai supplementari, prima che Van Basten e Simone avessero ragione dei giallorossi.

La maledizione dei supplementari – che avrebbe colpito anche ai mondiali italiani agli ottavi contro l’Inghilterra, grazie ad un gol capolavoro di Platt – chiuse così il decennio d’oro del calcio belga; un decennio rappresentato soprattutto da un campionissimo figlio di italiani e da portieri geniali e stravaganti: Pfaff che aveva un orsacchiotto nella porta, e Preud’Homme che voleva disputare i mondiali con gli occhiali da sole.

Un decennio di calcio belga che ci auguriamo torni presto, perché di un calcio così operaio e stravagante, difensivo, applicativo ma fantasioso, imprevedibile nel bene e nel male, ma mai pacchiano o arrogante, ne abbiamo ancora bisogno.