Ruud Van Nistelrooij, the Goal Scoring Machine - Zona Cesarini

Ruud Van Nistelrooij, the Goal Scoring Machine

“When I score, it’s happened. It’s not that you think ‘I’m going to do this’. You see the goalkeeper there, the defender there, then bang, that’s it”. (Ruud Van Nistelrooij)

Chi pensate che sia il primatista di reti europee per i gloriosi Diavoli Rossi di Manchester? Cristiano Ronaldo? Law? Rooney? George Best? Tutti sbagliati: il record invidiabile di 38 reti appartiene al “miglior centravanti che abbia mai visto un tifoso dello United”, come sentenziato dal leggendario Sir Alex Ferguson. Lui è Rutgerus Johannes Martinus van Nistelrooij. Per la comodità di tutti, e con buona pace dei genitori letterati: Ruud. The Goal Machine.

Che in effetti è anche il quarto marcatore di sempre in Champions League con 60 reti, alle spalle di Raul, Messi e del sopracitato Cristiano Ronaldo. Ora, il dato sarebbe relativamente sorprendente, se non teneste in considerazione il fatto che quei gol l’arrogante olandese li ha segnati in circa la metà delle partite dei colleghi.

Già, perché Ruud ha segnato – se considerate il periodo di massimo splendore della carriera, quindi tra l’approdo al PSV nel 1998 all’ultima stagione madridista (2010) – più di mezzo goal a partita. Una media folle e fuori da ogni logica calcistica, visto e considerato che Ruud è stato frenato da molteplici infortuni pesanti, e a che livello e contro chi, abbia giocato. Ma facciamo ordine.

Van Nistelrooij, o Van Nistelrooy come gli scrissero i pragmatici magazzinieri anglosassoni sulla maglia il primo giorno al Manchester United, nacque in una calda estate (il primo luglio, stesso giorno e stesso anno del talento inespresso Patrick Kluivert) del 1976 ad Oss, ridente cittadina della Brabante Settentrionale, famosa fino agli anni ’90 per aver dato i natali ai membri dei The Gathering, famoso gruppo rock progressive olandese. Il padre Martin, idraulico, leggenda locale e tifoso dell’Ajax, lo incoraggiò a provare col calcio.

Come molti compaesani, cominciò a muovere i primi passi da giocatore nella squadra della sua città: l’Oss FC, che al tempo militava in Eerste Divisie (la seconda serie del calcio olandese). Si mise da subito in evidenza e per le doti balistiche e per alcuni comportamenti fuori dal campo non propriamente professionali: “litigava, sempre e con chiunque, continuamente. L’impressione è che trovasse stimoli, nel litigare o umiliare l’avversario” commentò laconicamente la mamma.

Un diciannovenne Van Nistelrooij nel Den Bosch

A quel tempo Ruud veniva ancora schierato da centrocampista centrale, per via di quella tecnica piuttosto sorprendente condiderato un fisico già potente e possente, e le occasioni di accapigliarsi con qualcuno non mancavano mai. Litigate a parte, il piccolo Ruud stava crescendo forte e soprattutto determinato: “mai messo in dubbio che sarei stato un giocatore, mai” ha detto recentemente. Crebbe così velocemente che nel 1993 arrivò la chiamata del Den Bosch.

Ruud sbarcò nell’omonima cittadina – tra l’altro capoluogo di provincia della sua regione d’origine – per giocare come centrocampista centrale titolare nelle forti giovanili del club. Di fatto, saltò di netto il passaggio nelle giovanili e passò direttamente nella prima squadra.

Esordendo appena 17enne nella seconda serie olandese, e contestualmente giocando part-time per un club satellite de i draghi biancoblu: il Nooit Gedacht (che piuttosto cripticamente deve il suo nome alla frase inglese ‘Never Thought Of’). Il cui allenatore diede al coach del Den Bosch l’idea di schierare Van Nistelrooij come attaccante centrale.

L’allenatore Jan Gosgens non raccolse immediatamente il suggerimento, e lo schierò per la prima volta come centravanti solo nell’annata 1996/1997. Leggenda vuole che prese la decisione dopo che Ruud l’affrontò a muso duro urlandogli, dopo l’ennesimo riposizionamento e davanti a tutti, “‘What am I, a midfielder or a striker?”.

Al termine d’una stagione da 12 goal in 30 presenze, Ruud venne acquistato per 360’000 euro dall’Heerenveen, clube militante in Euredivisie. In realtà il Den Bosch aveva venduto ad un prezzo ancor maggiore le prestazioni del giovane olandese agli inglesi del Tottenham, ma tutto fu bloccato dal neo-manager di Ruud, Linse:

“Gli dissi che non era pronto ad un salto del genere. Prima un club medio, poi il PSV. Poi il resto del Mondo. Ne fu molto choccato ma prese sul serio le mie parole. Per quanto potesse arrabbiarsi, m’ha sempre ascoltato: sono stato il suo manager per tutta la carriera”.

Le parole di Linse sono esemplificative d’un concetto che dev’essere chiaro quando si parla di Van Nistelrooij: per quanto (troppo?) sicuro di se, per quanto impulsivo o ruvido di carattere, l’olandese di Oss ha sempre avuto l’umiltà d’ascoltare il parere altrui.

Di lavorare, migliorandosi, allenamento dopo allenamento. In fondo la sua conquista dell’Europa è avvenuta a piccoli ma consistenti passi. A segnale che spesso l’umiltà si cela sotto le mentite spoglie dell’arroganza o della sicurezza ostentata.

Ad ogni modo, all’Heereveen Ruud divenne un uomo e un calciatore: potenziò ulteriormente il suo fisico, e si recò più volte a vedere ad Amsterdam l’Ajax per studiare le movenze di Bergkamp. Inoltre, seguì le indicazioni del coach più determinante della carriera di Ruud: fu infatti il tecnico dell’Heereveen De Haan, che disse al giovane ed irruento aspirante centravanti che:

“La palla va aspettata con la calma d’un leone sotto al sole, non cercata”.

(credits: imago/Uwe Kraft)

In Frisia Ruud rimase solo per una stagione. In tempo per mettersi in evidenza – nella prima stagione nella massima serie – con 13 goal in una trentina di partite: a soli 21 anni d’età, l’oramai maturo olandese è pronto al grande salto. Come pronosticato dallo storico manager, Ruud passò nel glorioso PSV d’Eindhoven per una cifra di poco superiore ai 6 milioni d’euro. Non poco, soprattutto per il calcio olandese. Anche se il PSV ancora aveva da reinvestire i soldi guadagnati due estati prima dalla cessione di Ronaldo al Barcellona.

Sulle rive dei fiumi Dommel e Gender, Ruud esplose. Letteralmente: nella prima annata mise a segno 31 goal (tutt’ora record imbattuto di reti in un campionato a 18 squadre), vincendo il titolo di giocatore olandese dell’anno e regalandosi pure la prima tripletta in Champions League della carriera (contro i finlandesi dell’Helsingin).

La seconda stagione non fu da meno: 29 goal e secondo campionato olandese in saccoccia. Fu apprezzato anche per l’umiltà e l’applicazione selvaggia che metteva per migliorarsi ogni giorno in campo. In particolare, era solito chiamare gli allenatore “mister” e non “trainer”: un enorme segno di rispetto non da tutti, in un paese come l’Olanda che tradizionalmente mette gli allenatori in secondo piano rispetto ai giocatori.

Per quanto fosse (e sia) facile segnare in un campionato in cui si segnano circa 4 goal di media a partita, fu da subito chiaro a tutti che il talentino di Oss la porta la vedeva. Eccome, se la vedeva. Fu infatti proprio nel 1999 che Ruud finì nell’orbita reds di Ferguson. Per una volta, parliamo di Darren (allora osservatore per lo United) e non di Alex:

“Chiamai mio fratello, e gli dissi che se voleva un centravanti da 15, 20 goal a stagione doveva preparare immediatamente un bell’assegno. Prima che se ne accorgessero anche le altre big europee”.

Fu così che nel 2000 il Manchester United concluse un accordo col PSV sulla base di 26 milioni di euro. Non venne presentato immediatamente, poichè il giocatore in realtà non metteva i piedi in campo da un mesetto buono. Il che aveva insospettito la dirigenza dello United, indispettita pure dall’atteggiamento della dirigenti dei Boeren che rifiutavano di far effettuare al giocatore test specifici richiesti dalla situazione.

Situazione che precipitò proprio in quei giorni: durante un banale scontro in allenamento, Ruud si ruppe di netto il legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Risultato: 12 mesi fuori dai campi. “Non ho mai, e dico mai, avuto dubbi sul mio pieno recupero fisico” disse Ruud anni dopo. Dubbi che invece ebbero i dirigenti dei Reds, che fecero saltare il trasferimento.

“My body changed completely. It’s a different posture. That helped me a lot, if I look back. I became stronger and faster, I did a lot of speed work. I had a year which turned out to be good year for me, although I couldn’t play, which I missed badly. But I had a normal life. Monday to Friday 10 to 4, I worked in the hospital as a patient, doing physio with lung patients.”

La storia ha però un lieto fine: dopo circa un anno d’inattività Van Nistelrooij tornò ad allenarsi con continuità, e venne richiamato dal Manchester. Paradossalmente, una volta che il giocatore diede una serie di garanzie fisiche, fu pagato ancora di più: Sir Alex allentò i cordoni della borsa, sganciando ai biancorossi 28 milioni d’euro.

Dopo aver formato una formidabile coppia d’attacco con Nilis al PSV, Van Nistelrooij finì a giocare in una squadra costruita attorno all’immenso talento balistico di David Beckham. E fatta col sarto – lui che giocava con Scholes e Keane alle spalle – per il suo stile di gioco.

Con il Manchester arrivò per van Nistelrooij la consacrazione a livello mondiale: oramai, era impossibile tenerlo fuori dalla lista dei top player più chiaccherati e pagati. Tra i vari record, ha quello d’essere stato il più veloce calciatore della storia del Manchester a raggiungere quota 100 gol (riuscendoci in 2 stagioni e mezzo, con una media di circa un gol a partita).

RVN tra Solskjaer, Cantona, Yorke, Cole ed Edwin Van der Sar

È stato anche più volte capocannoniere di Champions e nel 2003, la sua annata migliore per distacco, ha siglato 44 reti. Un Cristiano Ronaldo d’antan, col piccolo particolare di non giocare in Liga. Ha inoltre il record – ancora imbattuto – d’aver segnato in 10 partite consecutive. Interrogato sul suo segreto per avere una così alta media realizzativa, Ruud ha sempre risposto con un semplice concetto: “attacking the space”. In parole povere: l’olandese è sempre nel posto giusto al momento giusto.

L’idillio col Manchester finì nell’estate del 2005. Ruud chiese d’essere ceduto per “incompresioni insanabili col tecnico” ma non venne accontentato, diventando un reietto nello spogliatoio dei Diavoli. Ciononostante, continuò a segnare e a strappare applausi al suo pubblico. Che lo idolatrava e se lo coccolava ogni domenica. Impossibile lasciare in panchina quel mix di tecnica, fisico e talento che siglava quasi una rete a partita.

Eppure Ferguson, che in carriera ha sempre fatto pochi prigionieri, in panchina finì per relegarcelo: nonostante fosse in lizza con Titì Henry per il titolo di capocannoniere della Premier, Ruud restò a guardare i compagni nelle ultime 7 partite della stagione 2005/2006. “Ha dei problemi coi compagni di squadra”, disse Sir Alex in conferenza stampa. Lui, che appena un anno e mezzo prima aveva sentenziato che “un giorno Ruud avrà una statua fuori dall’Old Trafford”.

Esclusioni a parte, a detta sua il tecnico scozzese non aveva la minima intenzione di privarsi di quella macchina da reti che era l’olandese. Ma la cessione fu inevitabile a seguito di due episodi: il primo fu la reazione dell’olandese – che rispose al suo coach con un raffinato “fottiti vecchio” – all’esclusione dalla finale di Coppa di Lega.

Il secondo coinvolse l’olandese e la nuova stellina Cristiano Ronaldo, che fu falciato da Van Nistelrooij in allenamento ed apostrofato con un “vai a piangere dal tuo paparino”. Peccato che il padre di Cristiano fosse scomparso poco tempo prima.

Tra litigi, incomprensioni e frecciate tramite la stampa, l’avventura di Ruud a Manchester finì quell’estate: ad accaparrarsi le prestazioni dell’oramai trentenne testa calda furono nientemeno che le merengues di Madrid. Per la miseria di 15 milioni di euro. Un tozzo di pane, per quello che fino a sei mesi prima era forse il miglior centravanti al mondo.

Pronti via, e Van Nistelrooij vince il Campionato ed il titolo di Pichichi, sfiorando la conquista della Scarpa d’Oro (finita nella mani dell’immortale Francesco Totti). La seconda stagione è all’altezza della precedente, con Ruud che eguagliò pure il record di Sanchez, segnando in 7 partite consecutive.

Ma oramai la fine della carriera si stava avvicinando. Probabilmente accelerata dal logorio e dal decadimento di quel fisico potente che sempre l’aveva supportato.

Nell’ultima stagione e mezzo madrilena Ruud ebbe infatti sempre una media stratosferica (sfiorava il goal a partita), ma il fisico lo abbandonò: la caviglia prima (3 mesi) ed il ginocchio poi (sempre crociato, altri 6 mesi fuori) lo costrinsero a fine anno a migrare prima in Germania all’Amburgo e poi  in Spagna al Malaga. Ma oramai non era più lui: complice l’età avanzata, si ritirò all’alba della stagione 2012 a 36 anni appena compiuti.

Benché particolarmente focoso in campo (il vezzo di litigare con gli avversari come da ragazzino non l’ha mai realmente perso) e nello spogliatoio, Ruud fuori s’è sempre mostrato piuttosto calmo e ponderato.

Molto attento alla propria privacy – poco si sa della sua decennale relazione con Leontien Slaats, più volte definita come “il mio goal più bello” e sua fidanzata dai tempi delle medie – e da sempre attivo in opere di beneficenza, fu selezionato personalmente da Terry Gilliam per un celebre spot della Nike: “è il più cinematografico dei calciatori dopo Eric [Cantona]: ha una presenza fisica che incute timore”, disse il famoso regista.

Tra i numeri pazzeschi che ha racimolato, vale la pena di ricordare pure quelli in Nazionale. Con gli oranges, dai quali ha annunciato per incompresioni varie il ritiro per due volte in carriera, ha siglato 35 goal in 70 partite. Ma il rapporto è sempre stato d’amore ed odio, complice anche un tentativo di Ruud di decapitare il CT Advocaat con un lancio di bottiglietta (apostrofandolo “codardo” in diretta Nazionale) dopo una sostituzione non propriamente apprezzata.

Soprattutto per via d’una poco riuscita convivenza tattica col talentino perso Patrick Kluivert (si sono invero sempre difesi a vicenda fuori dal campo, salvo poi non trovare la chimica giusta sul terreno di gioco) o per l’avversa sorte con United e Real, Ruud non è riuscito la dove invece riuscì il talento di Van Basten nel 1988 o nel Milan di Capello: non ha mai vinto niente con la Nazionale, né è riuscito mai a vincere una Champions League. Zlatan, insomma, non sei solo!

Ovviamente, detiene la media realizzativa più alta tra gli attaccanti arancioni mai passati in Nazionale. Nazionale della quale è il quinto marcatore all-time. D’altronde, come ha risposto lui a precisa domanda: “When I score, it’s happened”.

Semplice, no? Ruud Van Nistelrooij: il 9 che giocava col 10. Coniugandone i punti di forza in un concentrato d’energia e talento che finiva per sfidare le leggi dell’aritmetica.

“Cattivo quel gatto che lascia fuggire il topo per correre dietro ad un insetto.” (Proverbio olandese).