Rinascimento Basco: quando Bilbao e Real Sociedad dominarono la Spagna post-franchista - Zona Cesarini

Rinascimento Basco: quando Bilbao e Real Sociedad dominarono la Spagna post-franchista

Spesso e volentieri l’inflazionato latinismo panem et circenses viene applicato al calcio: un accostamento non certo peregrino in alcuni casi (anche se il “panem” non sempre è presente, e si rimane soltanto con i “circenses”) ma, in rare occasioni, la locuzione perde qualsiasi significato, in quanto lo sport, più che come simbolo di assoggettamento e lobotomizzazione di un popolo, è una delle rappresentazioni del suo riscatto nei confronti di un potere malvisto.

Una delle sue più grandi esemplificazioni le abbiamo quando una squadra rappresentante una zona o un’etnia politicamente ribelle riesce a spuntarla sulle formazioni tanto amate dal potere centrale: e in Spagna, sia durante che dopo la dittatura franchista, le aree “a rischio” sono soprattutto due: la Catalogna e i Paesi Baschi.

Questi ultimi hanno una selezione che li identifica in ogni posto al mondo: è l’Athletic Bilbao, che ha sempre schierato – e probabilente sempre lo farà – solamente giocatori baschi o di origine Euskera, o, al massimo, chi è stato cresciuto nella sua cantera o sia chiaramente un tifoso della squadra.

La curva biancorossa del Bilbaocredits: AP/Juan Manuel Serrano Arce

Questa attitudine regionalista ottenne naturalmente un fortissimo significato politico durante il quarantennio trascorso sotto il dominio di Francisco Franco, in quanto il popolo basco, sempre fiero della propria “diversità” rispetto al resto della Spagna, affrontò la dittatura del Caudillo con tutti i mezzi possibili, e non intendo solamente le azioni armate dell’E.T.A: le vittorie dell’Athletic rappresentavano infatti uno dei tanti modi di fare uno sgarbo ad un potere oppressivo.

Con la morte di Franco nel novembre del 1975, si iniziarono ad intravedere i primi spiragli di rinascita della cultura e della lingua basca, fortemente censurate durante il precedente regime: per riaffermare questo “rinascimento” intervenne, quasi come manna dal cielo, una strepitosa generazione calcistica, che portò Euskadi all’attenzione nazionale non soltanto in occasione di scioperi, attentati e scontri come era stato in precedenza, e che anzi favorì ancora di più lo sviluppo dell’identità culturale basca; è per questo che il periodo d’oro di Athletic Bilbao e Real Sociedad negli anni della “transizione democratica” è una storia che merita di essere raccontata.

I baschi hanno sempre avuto la tendenza ad essere controcorrente: parlare una lingua che non si capisce ancora oggi da dove venga fuori è l’esempio più limpido, ma anche nella guerra civile spagnola dimostrarono questa loro attitudine, essendo l’unica comunità cattolica a schierarsi con il governo repubblicano invece di seguire le sirene della “crociata” lanciate dai nazionalisti di Francisco Franco.

Una scelta che sarà pagata col sangue dal popolo di Euskadi, i quali soffriranno prima del bombardamento di Guernica, e che poi, quando il 19 giugno 1937 avverrà la caduta di Bilbao, vedranno i falangisti operare una devastante repressione contro gli indipendentisti, che durerà per 40 anni. Nemmeno nel calcio, purtroppo, i baschi riuscivano a raccogliere molte gioie: al 1973 erano arrivati appena due titoli spagnoli nella bacheca dei biancorossi, mentre alla Real Sociedad capitava anche di finire, ogni tanto, in Segunda.

Il 1973 fu un anno decisivo per la storia di Spagna: il regime di Franco risultava ormai anacronistico, e scosso dal forte dissenso interno tentava comunque di sopravvivere: il Caudillo nominò nel giugno del 1973 l’ammiraglio Carrero Blanco nuovo capo del governo; una settimana prima l’Athletic Bilbao aveva vinto la Copa del Generalìsimo, oggi Coppa del Re.

Sei mesi dopo, le sorti dei baschi e del nuovo primo ministro spagnolo si incontrarono: l’ETA fece letteralmente saltare in aria Carrero Blanco, ispirando anni dopo uno splendido film di Gillo Pontecorvo con Gianmaria Volontè.

Nel 1976 Franco è morto da troppo poco perché le ferite del popolo di Euskadi siano remarginate, e non mancano i calciatori che, in quegli anni, sono politicamente attivi. Uno su tutti è Josean de la Hoz Uranga, della Real Sociedad: i suoi compagni di squadra lo chiamavano semplicemente “Trockij”, ed era molto amico del leggendario Inaxio Kortabarria, il capitano della grande Real Sociedad dei primi anni ’80.

Trockij, in un giorno imprecisato di quell’anno, con un gesto insuperabile per antidivismo e semplicità, partecipa ad un volantinaggio per le vie di San Sebastiàn per sensibilizzare la causa dell’amnistia degli etarras ancora in carcere per reati politici; arrestato, viene condotto nella caserma della Guardia Civil e riempito di botte. Un episodio che, oggi, appare come pura fantascienza.

Intanto, a Bilbao, stava finalmente nascendo un’altra grande generazione di calciatori, che mancava ormai dagli anni ’50: il campionato 1976-77 i baschi se lo ricorderanno per sempre. In quella stagione i Leones raggiunsero un ottimo 3° posto nella Liga, dietro ad Atletico Madrid e Barcellona, e per il 13° turno del campionato è in calendario, allo stadio Atocha di San Sebastiàn, il derby basco tra la Sociedad e l’Athletic.

L’idea di “Trockij” de la Hoz per rendere storico quell’incontro è rischiosissima: i due capitani – Kortabarria per la Real, Iribar per il Bilbao – sarebbero entrati in campo tenendo in mano l’Ikurriña (la bandiera nazionale basca), l’unica bandiera regionale ancora illegale in Spagna.

Trockij e l’Ikurrina in campo

Il coraggio, ai calciatori baschi, non è mai mancato: già nel settembre 1975, quando mancavano appena 2 mesi alla morte del Caudillo ed il regime aveva giustiziato – nonostante gli appelli di mezzo mondo – due militanti dell’ETA e tre del FRAP (un’organizzazione armata di estrema sinistra), l’attaccante del Racing Santander Aitor Aguirre ed il valenciano Sergio Manzanera scesero in campo con il lutto al braccio: soltanto la loro popolarità gli eviterà qualcosa di più di una multa, comunque salatissima, mentre il procedimento aperto contro di loro fu solamente una formalità, visto che Franco sarebbe morto di lì a poche settimane.

Con un precedente simile, non c’è da stupirsi che entrambi gli spogliatoi votassero all’unanimità in favore della proposta, e la bandiera basca – cucita dalla sorella di De la Hoz – fu portata in campo dai due capitani e dallo stesso Trockij, quasi invisibile nella foto che ha fatto la storia del calcio basco (è la persona in jeans coperta dalla bandiera); lo stadio semplicemente non solo approvò la mossa, ma esplose di gioia per la scelta delle due squadre: era il preludio alla legalizzazione dell’ Ikurriña, che già poche settimane dopo sventolava sulla piazza centrale di San Sebastiàn (anzi, Donostia).

Per la cronaca, l’incontro fu senza storia: i txuri-urdin della Real Sociedad vinsero 5-0, contro un Athletic concentrato soprattutto dal ritorno degli ottavi di coppa UEFA della settimana successiva, previsto a San Siro contro il Milan: al San Mamés i rossoneri erano stati travolti per 4-1, ma il risultato della gara d’andata rischiò seriamente di essere compromesso al ritorno, quando i rossoneri, trascinati dal mitico Calloni, si portarono sul 3-0 a soli 4′ dalla fine; l’Athletic fu virtualmente eliminato per 120 secondi, per poi tirare un sospiro di sollievo grazie ad un rigore trasformato da Madariaga.

In Uefa per i Leones paradossalmente fu più facile il turno successivo, in cui venne eliminato il Barcellona di Cruijff, Neeskens e Rinus Michels, predecessore dell’altro Barcellona oranje, quello di Kluivert, dei gemelli de Boer e Van Gaal: dopo il 2-1 ottenuto in casa, al ritorno infatti i rojiblancos controllano i catalani con facilità e volano in semifinale, dove elimineranno i belgi del Molenbeek; ad attenderli in finale c’era la Juventus di Trapattoni.

La gara d’andata si gioca al Comunale: la Juventus, incredibilmente, deve ancora vincere un trofeo internazionale nella sua storia e il pubblico di casa spinge i bianconeri a giocare al massimo: finirà 1-0, con un gol di Tardelli e numerose occasioni per il raddoppio fallite: su tutte, l’anticipo all’ultimo di Guisasola su Bettega e il miracolo di Iribar su un colpo di testa di Scirea.

Al San Mamés si gioca in un’atmosfera carica di tristezza: nei giorni precedenti 5 operai baschi erano rimasti uccisi durante scontri con la polizia, e il minuto di silenzio in loro memoria è commovente – ovviamente non mancano i numerosissimi striscioni che reclamano l’amnistia per i prigionieri politici baschi – mentre allo stesso tempo la Juventus è accolta con grande rispetto.

Iniziato l’incontro, già al 7′ Bettega beffa di testa Iribar e costringe i zurigorriak a dover segnare ben 3 reti per sollevare il trofeo, e la prima arriva appena 5 minuti dopo, quando Churruca segna al volo da breve distanza; da quel momento i baschi iniziano un vero e proprio assedio, che non frutta però altre reti nel primo tempo, anche se Dani sfiora il 2-1 su colpo di testa.

Soltanto nel primo tempo l’Athletic ha tirato ben 8 calci d’angolo, ed il secondo tempo è sulla falsariga del primo per quanto riguarda l’impegno dei biancorossi, che però trovano una Juve molto più ordinata, mentre il gioco diventa più violento: quando al minuto 78, Carlos su colpo di testa porta finalmente in vantaggio i padroni di casa, gli ospiti si sentono, per usare le parole di Zoff, “come a Fort Apache”, ma il risultato non cambierà più, dando ai bianconeri la loro prima Coppa UEFA.

C’è però ancora la Coppa del Re: con il 5-0 sul Siviglia ed il 6-0 sul Salamanca ottenuti nella bolgia del San Mamés, l’Athletic vola in finale contro il Betis; ma anche qui se registrerà una sconfitta, quando in vantaggio a 4′ dalla fine dei supplementari subisce il pari dei biancoverdi, che poi la spuntano ai rigori.

In quell’Athletic, oltre al “macellaio di Bilbao” Andoni Goikoetxea, i pilastri della squadra erano il bomber Dani e due simboli del calcio basco: uno è Angel Iribar, vera e propria bandiera del club, con cui militerà in totale per 18 stagioni; l’altro è Javier Iruretagoyena, detto Irureta, che probabilmente vi dirà qualcosa: è stato, nei primi anni 2000, l’allenatore del leggendario SuperDepor.

Proprio Iribar e Irureta, nel 1978, parteciparono alla fondazione dell’associazione pro-amnistia della Biscaglia, finalizzata ad ottenere la libertà per 150 detenuti politici baschi: per questa mossa, Iribar perderà definitivamente il posto nella nazionale delle Furie Rosse. Forse, però, bisogna vederlo come un favore, visto che per un basco in quegli anni militare nella nazionale spagnola era affrontata come una forte battaglia interiore: Kortabarria, dopo appena 4 presenze tra il 1976 ed il 1977, ci rinunciò: non se la sentiva, così come Sindelar non se la sentiva di giocare con la nazionale tedesca.

Andoni Goikoetxea

Anche la stagione seguente, per il calcio basco, fu una stagione di grandi incompiute, ma allo stesso tempo servì per gettare le basi per la grande epopea della prima metà degli anni ’80: l’Athletic raggiunse per la seconda volta di fila il 3° posto, mentre i txuri-urdin in coppa del Re fanno fuori il Real Madrid agli ottavi di finale e, nel turno seguente, rifilano 4 reti al Valencia; uscirà solo in semifinale contro il Barcellona, dopo una sfida tiratissima (0-0 e 1-2).

Il campionato 1979/80 diede ai tifosi della Real Sociedad la più grande delusione vissuta fino ad allora: nell’anno in cui l’ETA colpiva senza pietà, arrivando ad uccidere 91 vittime in 12 mesi – un “record” per il movimento – e contribuendo ad alzare a livelli preoccupanti la tensione politica in tutta la Spagna, la selezione biancoazzurra sembrava poter regalare ai baschi una distrazione ed, al contempo, un riscatto che non reclamasse necessariamente l’uso della violenza.

Al termine della terzultima giornata della Liga, la Real Sociedad aveva ancora un punto di vantaggio sul Real Madrid, che aveva stravinto per 4-0 il derby; la settimana successiva, i txuri-urdin vennero sconfitti 2-1 in casa del Siviglia a 7 minuti dalla fine, mentre le merengues ribaltavano lo svantaggio iniziale espugnando 2-1 il campo del Las Palmas e portandosi in testa a 90′ dalla fine del campionato.

L’ultima giornata vedeva nella lotta-scudetto, curiosamente, una sorta di derby incrociato: Real Sociedad – Atletico Madrid e Real Madrid – Athletic Bilbao. Il Bilbao ce la mette tutta, perché, in fondo, sono baschi, e la vittoria dei blancos guidati da Boskov sarebbe un’altra vittoria del potere centrale madrileno: il Real, però, vince 3-1 e conquista il titolo.

Il campionato seguente rivide la stessa serratissima lotta fra i blanquiazules baschi e la squadra di Camacho, Stielike, Del Bosque e Santillana, con il terzo incomodo dell’Atletico Madrid, che rimase in testa fino alla quartultima giornata, quando venne agganciato dai txapledun; all’ultimo atto del torneo, i baschi erano con un punto di vantaggio sul Real, che aveva peraltro tolto definitivamente dalla corsa per il titolo i cugini sconfiggendoli 2-0 nel derby.

Il Real Madrid gioca a Valladolid, e fatica più del dovuto: il risultato è ancora sull’1-1, e soltanto le reti di Santillana e Stielike a meno di 20′ dalla fine regalano il 3-1 ai madrileni. Per la Real Sociedad l’appuntamento con la storia è lo stadio El Molinòn di Gijòn, dove gioca lo Sporting: passano appena 6 minuti e la Real è in vantaggio con un gol del leggendario Kortabarria, uno che praticamente segnava solo su rigore.

La rete del vantaggio sembra spalancare le porte al primo titolo dei baschi, ma alla fine del primo tempo lo Sporting Gijòn raggiunge il pari: un gol che gela i txuri-urdin, i quali rientrano in campo demoralizzati e dopo neppure un minuto subiscono il gol del 2-1.

Il titolo è ormai andato, quando al minuto 89 un cross di Alonso viene respinto di pugno da Castro, il portiere dello Sporting; la palla viene raccolta da Gorriz, che con un tiraccio la rimette in mezzo, dove si trova Zamora, che controlla e tira: la sua conclusione, dall’altezza del dischetto del rigore, finisce in rete.

Quel gol, il gol che regala alla Real Sociedad il suo primo titolo all’ultimo minuto, a scapito dell’odiato Real Madrid, è il più bel risarcimento per la squadra biancoazzurra, e per tutti i baschi, che proprio nel 1981 erano ripiombati nell’incubo di una dittatura militare di destra. La notte del 23 febbraio di quell’anno il colonnello Tejero Molina, mentre il i deputati votavano la fiducia al governo centrista di Leopoldo Calvo Sotelo, fece irruzione con una decina di uomini della Guardia Civil nel palazzo del Congresso dei Deputati, annunciando il colpo di Stato.

Solamente l’intervento di re Juan Carlos I – che probabilmente aveva capito che in caso di sostegno al golpe la monarchia non sarebbe sopravvissuta – evitò lo svilupparsi della deriva autoritaria.

Il golpe del Colonnello Tejero (1981)

La stagione del 1981/82 rivide la Real Sociedad trionfare in campionato dopo una serratissima lotta contro Real Madrid e Barcellona, che alla penultima giornata regalano praticamente il titolo ai baschi: il Barça e la Sociedad sono in testa con due punti sul Real, ma le merengues vincono lo scontro diretto con i catalani, permettendo così ai txuri-urdin di portarsi solitari in vetta, per poi vincere all’ultima giornata la Liga battendo l’Athletic Bilbao per 2-1.

Quella Real era strapiena di campioni come il portiere Arconada, il capitano Kortabarria, il match-winner del primo titolo Zamora, il giovanissimo Josè Maria Bakero – che approderà al Barcellona di Cruijff qualche anno più tardi – i difensori Gòrriz e Olaizola, e in attacco, il temibilissimo tandem Lopez Ufarte-Satrùstegui; da segnalare inoltre, a metà campo, Periko Alonso, padre di Xabi.

Il campionato 1982/83 fu forse l’apice del calcio basco, mentre la situazione politica iniziava a tranquillizzarsi dopo gli scossoni degli anni precedenti: l’Athletic era riuscito ad assorbire il ricambio generazionale, facendo crescere insieme a Dani e Goikoetxea nuove leve come Salinas in attacco e Urquiaga in difesa.

Jesùs Maria Zamora

In porta Iribar non c’era più, avendo lasciato al termine della stagione 1979/80 dopo un’amichevole con la Real Sociedad, il cui incasso era stato devoluto a favore della promozione della lingua basca nelle scuole, insegnata soltanto dopo l’approvazione dello statuto di autonomia nel 1979; a rimpiazzare Iribar fu trovato un degnissimo sostituto, ovvero un certo Andoni Zubizzarreta.

La stagione vide la Real Sociedad concentratissima sulle coppe: vista la deludente eliminazione al primo turno di Coppa dei Campioni contro il CSKA Sofia l’anno prima, i txuri-urdin puntarono soprattutto a far bene in Europa, e ci riuscirono: agli ottavi fu eliminata una squadra assai temibile come il Celtic, e ai quarti fu il turno dello Sporting Lisbona: dopo l’1-0 dell’andata, a Donostia furono i baschi a vincere e a raggiungere una storica semifinale con il punteggio di 2-0.

Nel frattempo, era stata aggiunto un’altro trofeo nella bacheca dei biancoazzurri: a dicembre si era giocata la Supercoppa di Spagna con il Real, vincitore al Bernabeu per 1-0; al ritorno si va ai supplementari, ma si trasforma in un’autentica disfatta per i madrileni: i baschi trionfano per 4-0, approfittando anche del nervosismo degli ospiti, che li porta a giocare in nove dal 70°.

Andoni Zubizzarreta

Si arriva a metà aprile con le squadre basche che hanno retto straordinariamente la stagione: la Sociedad ha raggiunto le semifinali di Coppa del Re per la seconda volta di fila, e ha pareggiato in casa per 1-1 con l’Amburgo la semifinale d’andata in Coppa dei Campioni, mentre l’Athletic è alle battute finali della lotta-scudetto con il Madrid: a una giornata dalla fine, le merengues guidano però con 1 punto di vantaggio.

Prima dell’ultima giornata della Liga c’è la gara di ritorno tra Amburgo e Real Sociedad: i tedeschi hanno una squadra fisicamente formidabile (Magath, Hrubesch…), e, per di più, sono guidati da un mago della panchina come Ernest Happel.

La Real è meno forte dell’Amburgo, che avendo dalla sua pure il gol segnato in trasferta è favoritissimo; i baschi, inoltre, puntano molto sulla difesa, e il castello di carte sembra crollare alla mezz’ora della ripresa, quando un colpo di testa di Jakobs elimina gli ospiti, che raggiungono il pari all’80’ con una rete di Diego Alvarez: in quel momento ci sarebbero degli inattesi supplementari, se non fosse che appena 4 minuti dopo von Heesen raccoglie una respinta dal limite dell’area piccola e, segnando, infrange definitivamente i sogni della Real Sociedad, autrice comunque di un’avventura eccezionale.

A regalare comunque un’altra stagione vincente al calcio basco ci pensa l’Athletic Bilbao, che all’ultima giornata vince facilmente sul campo del Las Palmas (5-1), mentre il Real Madrid cadrà incredibilmente a Valencia per 1-0, permettendo così ai leones di tornare campioni di Spagna dopo quasi 30 anni di attesa, nella maniera più inaspettata e per questo più bella.

I festeggiamenti del Bilbao sul fiume Nerviòn

Il campionato seguente ebbe un finale forse ancora più al cardiopalma: all’ultima giornata, il Bilbao ed il Real Madrid sono in testa – con i baschi davanti di pochissimo grazie alla differenza reti – e appena un punto più sotto si trova il Barcellona. Il destino volle che il titolo si decidesse con il derby basco Athletic-Real Sociedad e due stracittadine “incrociate”: Barcellona a casa dell’Atletico Madrid, e Real al Sarrià contro l’Espanyol.

Fino a una decina di minuti dal termine sarebbe campione il Barça, in vantaggio 2-1 sull’Atletico mentre sia Athletic che Real erano ferme sull’1-1: con tutte e tre le squadre in parità sarebbero infatti i culés a spuntarla per la migliore differenza reti; i cugini baschi della Real Sociedad, in piena lotta per un posto in UEFA, non giocavano sicuramente come vittime sacrificali, ma cedettero comunque al 79°, quando su un calcio d’angolo, Liceranzu (difensore) segnò il suo secondo gol personale, facendo esplodere il San Mamés per la rete che consegnò il secondo titolo di fila ai leones biancorossi.

La settimana successiva il Barcellona poteva prendersi la sua rivincita, sfidando al Bernabeu proprio l’Athletic nella finale della Coppa del Re: ma quello per i bilbaini era l’anno perfetto, visto che negli ottavi e in semifinale erano già cadute, per mano della squadra di Clemente, la Real Sociedad ed il Real Madrid.

La finale era carica di significati, uno su tutti quello della caccia all’uomo che si sarebbe prospettata nei confronti di Goikoetxea da parte di tutto il Barcellona: nel 1981 il “macellaio di Bilbao”, che i tifosi dell’Athletic chiamavano più affettuosamente il “gigante di Alonsotegui”, aveva devastato con un intervento il ginocchio di Schuster, e due anni dopo, ricoperto di insulti dal Camp Nou, pensò bene di replicare, spezzando in tre diversi punti la caviglia a Maradona, come “vendetta” per un fallaccio commesso da Schuster poco prima.

Verrà incredibilmente ammonito(!), per poi ricevere in seguito la squalifica dal giudice sportivo: diciotto giornate. Ora le due squadre si incontrano di nuovo e Goikoetxea, se c’è da stendere Maradona, lo fa: la cronaca della partita è abbastanza aleatoria, finisce 1-0 per i baschi, che dovrebbero festeggiare – davanti al Re Juan Carlos – la loro epica stagione, conclusa con uno strepitoso doblete, ma il post-partita si trasforma in una delle risse più epiche del calcio europeo, seconda per celebrità forse solo a quella del Maksimir tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado.

Quella sera si consumò, rissa esclusa, il canto del cigno del calcio basco: grazie all’1-0 siglato da Endika, il Bilbao conquistò ben due trofei, visto che in Spagna chi vinceva sia la Liga che la Coppa del Re otteneva automaticamente anche la Supercoppa. Quasi contemporaneamente alla fine della “transizione spagnola” finì anche il periodo d’oro di Athletic Bilbao e Real Sociedad, in cui il calcio aiutò moltissimo i baschi a uscire dall’isolamento in cui si erano ritrovati durante il quarantennio di dominio franchista, dimostrando agli spagnoli che Euskadi non era solo ETA, così come in Italia lo scudetto del Cagliari tolse alla Sardegna l’etichetta di essere terra di pecorai e banditi.

Negli ultimi anni, entrambe le squadre sono tornate a far tremare la Spagna: questa volta, però, non hanno come contraltare dittature militari e formazioni armate, ma soltanto il sostegno festoso della loro gente, che ha goduto negli ultimi 15 anni anche dei miracoli di squadre semisconosciute, come l’Alavés e l’Eibar.