La Grande Fuga: i 700 giorni del Fulham - Zona Cesarini

La Grande Fuga: i 700 giorni del Fulham

I miracoli sono spesso ciò di cui la maggior parte degli appassionati di calcio si nutre: servono per portarci in un universo parallelo in cui il denaro, i diritti tv, i fuoriclasse e gli handicap di partenza non contano, in cui siamo tutti uguali e in campo vince chi riesce a segnare un gol in più dell’avversario.

Londra, District Line, fermata Putney Bridge, bisogna camminare per un po’ all’interno del Bishop Park e dopo poco sulla sinistra vedrete uno stadio piccolo, con l’ingresso in mattoni rossi; intorno spuntano le tipiche case a schiera inglesi, siamo al Craven Cottage, la casa del Fulham, la squadra professionistica più antica di Londra.

La romanticissima tribuna del Craven Cottage

Costruito nel 1896, rapisce subito l’occhio perché presenta un mix micidiale di aspetti nostalgici che oggi definiremmo vintage e doverose innovazioni da calcio moderno. Insomma, il vecchio e il nuovo che si uniscono senza dimenticare la storia che è stata scritta su quel rettangolo verde. Pur nella sua rinnovata comodità, qua dentro si continua a respirare aria di campo da cricket, di ciminiere e architetture post-vittoriane.

Il 21 dicembre 2007 Lawrie Sanchez viene esonerato dalla dirigenza dei Cottagers, così chiamati proprio per via dello stadio, e lascia la squadra al terz’ultimo posto con appena 13 punti in 17 partite, peggio hanno fatto fino a quel momento solo il Derby – che poi segnerà il triste record negativo di punti in Premier League – e il Wigan. Viene nominato allenatore Roy Hodgson, un giramondo che i tifosi interisti preferirebbero dimenticare, a cui però fu chiesto un vero miracolo per risollevare le sorti del club.

Esiste qualcosa di più “british”?

I mesi passano, giunge aprile, mancano pochi match per raggiungere una salvezza ormai lontanissima. Il Fulham batte 2-0 il Reading fuori casa, diretta concorrente in classifica, ma cade sotto i colpi del Liverpool e di Peter Crouch al Craven Cottage la settimana successiva; serve un miracolo contro il Manchester City, non ancora potente come oggi grazie ai dollari degli sceicchi, che intanto sta lottando per la qualificazione alla Coppa UEFA.

La partita inizia malissimo, dopo venti minuti è già 2-0 per i Citizens ma poi ci pensano Kamara con una doppietta e Danny Murphy, che segna su ribattuta dopo aver sbagliato un rigore, a rimontare il match e a portare a casa altri tre punti vitali. Dopo aver vinto anche col Birmingham un altro importante scontro diretto, arriva l’ultima giornata al Fratton Park di Portsmouth, che allora vinceva la FA Cup a Wembley e navigava in alta classifica in Premier League mentre adesso per poco non retrocede in Conference.

Un incontro ostico sulla carta: quando manca un quarto d’ora al fischio finale, il Fulham non ha ancora segnato il gol che gli permetterebbe di rimanere in prima divisione, fino a quando arriva un cross dalla fascia destra per la testa del solito Danny Murphy, che vola in cielo e lascia di stucco “Calamity” David James.

È l’apoteosi: il Fulham si salva per differenza reti a discapito del Reading e l’impresa rimarrà nell’immaginario collettivo come “The Great Escape”, la grande fuga dalla Championship. Riecheggiando le gesta adrenaliniche di Steve McQueen in sella alla sua Triumph nel cult di John Sturges.

Steve McQueen in “La Grande Fuga” (1968)

L’anno dopo, il confermato Hodgson porta i Cottagers al settimo posto che significa Coppa UEFA con tanto di 3-0, impreziosito dal gol in rovesciata dell’ungherese Gera, al Manchester United di Sir Alex che si consolerà con l’ennesimo titolo. In un solo anno si è passati da un’inevitabile retrocessione all’Europa, il miracolo è compiuto. Ma solo a metà.

È la stagione 2009/10, per molti quella del Triplete dell’Inter di Mourinho, dei gol di Milito e delle giocate geniali di Sneijder, per me è l’anno della grande cavalcata del Fulham nella buona e vecchia seconda coppa europea: ai gironi passa il turno come seconda, dietro alla Roma di Luciano Spalletti con 11 punti; ai sedicesimi c’è lo Shakhtar campione in carica della competizione: sembra uno scontro durissimo ma i Cottagers prevalgono con un totale di 3-2, frutto di un estenuante quanto efficace “catenaccio” al ritorno nel gelo dell’Ucraina.

Gli ottavi di finale contro la Juventus passano veramente alla storia, contribuendo in maniera decisiva a formare l’epica di un racconto da mito narrativo di Davide contro Golia: il Fulham perde 3-1 a Torino e il ritorno appare una formalità per i bianconeri, anche perché a Craven Cottage – dopo appena cento secondi – ci pensa una zampata maligna e letale di David Trezeguet ad assicurare la qualificazione. O almeno, così pare.

Rimangono 88 minuti da giocare, perché non provarci? Zamora pareggia poco dopo il conto, Gera porta in vantaggio i padroni di casa, per poi firmare il 3-1 su rigore. Nel mezzo arrivano una traversa e un palo, i Cottagers giocano ad un ritmo vertiginoso, quasi innaturale. Il punteggio dell’andata è ristabilito, adesso è tutto da rifare per la Juventus.

Ma il Fulham acquista ancora più coraggio anche perché la superiorità numerica per l’espulsione di Cannavaro si fa sentire, e il suo asso americano Clint Dempsey caccia dal cilindro un colpo da illusionista: a dieci minuti dalla fine riceve palla fuori area, ci sono troppe gambe davanti a lui e così, vedendo il portiere leggermente fuori dai pali, prova il colpo sotto da posizione defilata: ne esce un cucchiaio strabiliante che sorprende Chimenti, finendo la sua lenta corsa all’incrocio.

Rimangono tutti a bocca aperta. “Un colpo di genio mette al tappeto la Vecchia Signora”, titoleranno il giorno dopo i giornali sportivi inglesi. E, in effetti, una prodezza del genere è materiale epocale dalle parti del Craven Cottage.

I quarti di finale vengono decisi dai due gol di Bobby Zamora al Wolfsburg, segnati nel doppio scontro, tra cui il secondo dopo la più tipica delle giravolte sul pallone che un attaccante possa fare in area. È così che i londinesi arrivano inaspettatamente tra le prime quattro, contro un’altra tedesca: l’Amburgo.

All’andata, all’Imtech Arena in Germania, finisce a reti bianche e si deciderà tutto in Inghilterra: passa in vantaggio l’HSV con una magistrale punizione mancina di Petric. È finita? Conoscendo le vicissitudini delle due precedenti stagioni del Fulham direi proprio di no, e infatti: il pareggio arriva grazie a Simon Davies, che riceve un cross dalla difesa, ridicolizza un difensore tedesco con un sombrero e poi deposita il pallone in rete in mezza sforbiciata.

Quando mancano ormai pochi giri di orologio ecco che arriva la clamorosa svolta: calcio d’angolo di Dempsey, mischia furibonda in area, la spunta il solito Gera che non sa nemmeno lui come riesce a piazzare la zampata che porta il Fulham ad Amburgo. Di nuovo ad Amburgo, ma stavolta contro l’Atlético Madrid del mostruoso duo Kun Agüero-Diego Forlan. L’allievo e il maestro, che hanno fatto razzie nei turni precedenti.

Il lieto fine, come spesso accade nei miracoli calcistici, non c’è. E la grande impresa di quel Fulham viene interrotta al passo finale dal biondo riccioluto uruguagio, che segna due gol. In particolare il secondo, messo dentro ai supplementari su un’evidente deviazione di Hangeland – su assist del compagno di reparto – relega definitivamente i Cottagers al ruolo di splendida incompiuta.

Il Fulham prima della finale di Amburgo

Soltanto il cinismo e il senso del gol di Forlan sono riusciti ad annichilire i sogni di gloria del Fulham. Ma per me i vincitori della Coppa UEFA 2009/10 rimane quella squadra che partiva costantemente svantaggiata e puntualmente sovvertiva le attese, dimostrando uno spirito collettivo e una propensione al sacrificio fuori dal comune; mai prima di quel momento una piccola realtà del calcio londinese si era spinta così avanti al cospetto dei giganti d’Europa. Le insperate rimonte dei Cottagers sono materiale da consegnare ai posteri, o quantomeno meritano un posto nel cuore di tutti gli appassionati di calcio.

La storia gioca spesso strani scherzi: esattamente due anni dopo aver raggiunto un’impossibile salvezza, il Fulham di Roy Hodgson era arrivato ad un passo dal sollevare al cielo della Sassonia la seconda coppa continentale. Dall’inferno al paradiso, con biglietto di sola andata. È l’impronosticabile parabola di quella squadra di outsider che fece sognare Londra nel 2010. Il tutto in 700 giorni esatti.

Quei 700 giorni in cui nacque, morì, resuscitò, visse e infine morì di nuovo il Fulham del vecchio e “bollito” Roy Hodgson. In definitiva, un compendio di tutto ciò per cui valga ancora la pena emozionarsi per il calcio.