Rocco Pagano: l'incubo di Paolo Maldini. Il dimenticato Garrincha di Pescara - Zona Cesarini

Rocco Pagano: l’incubo di Paolo Maldini. Il dimenticato Garrincha di Pescara

Tra le tante ali del passato a cui siamo affezionati, stavamo anche noi per correre il rischio che questa rimanesse sola e dimenticata sulla fascia destra, destino comune a tanti pendolini dei tempi che furono. Rottamata da tempo, vogliamo rispolverare una storia partendo da un aneddoto che molti di voi forse non conosceranno.

Una volta, durante una trasmissione sportiva, chiesero a un famoso terzino italiano chi fosse stata l’ala destra che più l’avesse fatto ammattire, quella più immarcabile. Quel giocatore era Paolo Maldini, non uno qualunque. Il Paolino nazionale, monumento del calcio mondiale e bandiera indimenticabile del Milan. Fenomeno senza tempo e icona pallonara a tiratura limitata.

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Maldini ci pensa un po’ e il pubblico sgrana gli occhi, curioso come non mai. Tutti si aspettavano che alla domanda, Paolo rispondesse con uno dei soliti nomi più famosi, come il tedesco dalle gambe d’acciaio Karl-Heinz Rummenigge  o il virtuoso lusitano Luis Figo. Niente di più sbagliato. Salta fuori il nome di uno spauracchio di campagna, un instancabile stantuffo della provincia foggiana. Quel milite ignoto prende il nome di Rocco Pagano. “Ma chi è sto Rocco Pagano?“, si chiede la gente. All’improvviso uno sconosciuto.

«Non sono uno che va a letto molto tardi. Ho visto che c’era Maldini, facevano vedere i miei gol e sono andato a letto. E mi sono reso conto che la mattina, quando ho acceso il cellulare, mi sono arrivati una trentina di messaggi. Vuoi vedere che ieri sera ha parlato di me? Se l’avessi visto in diretta non avrei sicuramente dormito.»

Rocco Pagano da San Nicandro Garganico, paesino di 10mila anime in provincia di Foggia, oggi ha 52 anni e fa il rappresentante di vini a Pescara. Genitori emigrati a Torino per lavoro, conduce una vita tranquilla in Abruzzo, lontano dai riflettori, nella città che ancora lo acclama per strada. La storia di Rocco, però, comincia da lontano e già da piccolo le sue qualità non si fanno attendere, tanto che la Juventus decide di portarlo a Torino per inserirlo nel settore giovanile bianconero.

«Esordire in prima squadra, a quei tempi, era impossibile. L’unico che ci riuscì fu Galderisi. In quella Juve giocavano Bettega, Tardelli, Scirea, i mostri sacri. O eri un fenomeno o ti conveniva cambiare aria. E io non ero un fenomeno…»

L’uomo della svolta è Angelo Domenghini, fondamentale uomo di fascia destra della leggendaria Inter di Helenio Herrera. È lui il mentore di Pagano, uno dei più famosi numeri 7 del tempo, uno dei protagonisti insieme a Riva, Mazzola e Rivera dei Mondiali giocati in Messico nel 1970. Lo conosce a Tortona, dopo una breve parentesi nelle file dell’Alessandria. Domenghini lo reinventa, indovinando per lui una nuova posizione in campo. Rocco fino ad allora giocava a centrocampo, mezz’ala, ma Domenghini non ha dubbi, forse rivedendosi un po’ in questo baldanzoso giovanotto di provincia:

«Tu mi devi giocare larghissimo, sulla linea».

E da quel momento Rocco non la smette più di correre, una nuova freccia del Sud si affaccia sul calcio che conta. Tanto che l’anno successivo, nel 1985, il “Garrincha de noattri“, arriva a Pescara dove ad aspettarlo c’è un altro monumento del calcio italiano: Giovanni Galeone, il Profeta dell’Adriatico, l’uomo del 4-3-3 ante litteram. Il mister filosofo che andava in estasi leggendo Camus sulla spiaggia di Francavilla e contemplava il dribbling secco con finta alla Garrincha, a saltare sistematicamente l’uomo, del suo Rocco: “Pagano era uno che i difensori li mandava al manicomio”, ricorda il Profeta.

Il Pescara milita in Serie B e le prestazioni di Pagano cominciano a lasciare molti spettatori a bocca aperta. Dopo due anni, con quasi dieci stagioni di astinenza alle spalle, gli abruzzesi sono di nuovo in Serie A, certamente grazie anche alle cavalcate del ragazzo foggiano, orchestrato da Galeone e trascinato dal suo calcio champagne.

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Il 13 Settembre 1987, i giovani pescaresi esordiscono in campionato contro l’Inter. Questi ragazzini “in tutina“, come racconta Pagano, arrivano a San Siro un po’ spaesati e tremolanti contro la corazzata di Mister Trapattoni. La partita si rivela un successo, una giornata memorabile.

Ad accendere la miccia è proprio Pagano, che con la sua finta prediletta provoca il rigore incuneandosi tra Zenga e Passarella. Pescara sull’1-0 e tifosi sugli spalti che inneggiano al giovane pugliese con i cori più disparati. Milano ammutolita e delfini in vantaggio. Galeone ricorda quei momenti così:

«Una volta che aveva la palla al piede partiva con la sua finta diabolica. Una torsione con tutto il busto facendo finta di andare verso l’area, poi riportava il pallone sul destro e si accentrava. Imprendibile.»

Il Pescara porta via due punti al Meazza e soprattutto fa vedere un calcio spumeggiante tutto proiettato in avanti. L’inizio è dei più promettenti e Pagano non si ferma. Il capolavoro lo dipinge contro la Juventus, sconfitta in casa per 2-0.

Un contropiede devastante, partito dalla propria area di rigore e conclusosi con Pagano palla al piede, da solo, davanti alla porta bianconera: “Al limite dell’ area mi sono fermato, ho chiuso gli occhi e ho tirato. Quando li ho riaperti, ho visto che avevo piazzato la palla all’ incrocio dei pali di Tacconi e non ci ho capito più niente!”

Ora gli occhi sono puntati tutti su di lui e tante squadre blasonate di Serie A sembra vogliano accapparrarsi il nuovo Domenghini di fine anni ’80. Purtroppo, però, rimangono solo voci, e quando sembra essere in procinto di fare il salto di qualità, alla fine non se ne fa mai di niente. Lo voleva il Napoli, che in cambio offriva il fratello di Maradona, Húgo. I dirigenti gli dissero: “Ci dispiace Rocco, ma questi ci vogliono ammollare un bidone”. Stava per andare all’Inter di Trapattoni, ma alla fine dal Cesena presero Alessandro Bianchi che anche per colpa di svariati infortuni non si rivelò un grande affare.

Intanto il calcio sta cambiando, portandosi con sé rivoluzioni tattiche, e così uno come Pagano fatica a trovare un posto fisso in squadra. Anche qui, le parole di Galeone, a colloquio con Arrigo Sacchi, sono illuminanti in tal senso. Infatti, l’allenatore di Fusignano è uno tra i protagonisti del cambiamento calcistico a cavallo tra ’80 e ’90 e di cui il Milan è l’espressione massima:

«Con Sacchi eravamo molto amici. Abbiamo fatto anche il supercorso assieme. Parlavamo dopo la cena, su un muretto davanti al mare di Pescara. Lui mi chiedeva di Pagano, se poteva fare il mediano. Io gli dicevo, Arrigo può fare anche il mediano per carità, ma è un’ala destra…»

Fatto sta che il nostro numero 7 comincia la sua traversata nel deserto, che lo porta prima ad Udine: “C’erano Sensini e Balbo, Giuliani in porta, Marronaro, Marchesi: uno squadrone. Io, infatti, da titolare giocavo poco…”. Un’altra parentesi a Pescara, dove segna 10 reti nel campionato cadetto, riportando i delfini in Serie A, prima di passare al Perugia di Gaucci e Castagner, con cui sale in tre stagioni dalla Serie C1 alla A. Poi è tutto un barcamenarsi nelle serie minori: Teramo, Angolana, Francavilla e Ortona.

Il destino non lo ha voluto protagonista nel vestire maglie più importanti con cui vincere scudetti e coppe internazionali. La fortuna non gli ha mai sorriso troppo e l’occasione della vita non gli si è mai presentata davanti. Però quella sera, quando a Controcampo, Maldini ha pronunciato il suo nome, il rammarico per non essere diventato una star del pallone si è addolcito un po’.

«Ogni tanto mi domando…mi avrà preso in giro, però se ha detto veramente che quello che ha detto mi fa solo piacere…»

Dimenticato da tutti, Rocco ha continuato a giocare, e lo fa tuttora. Rappresentante di vini per le Cantine Tollo, famose per un ottimo Montepulciano d’Abruzzo, a 52 anni è ancora la bandiera della Tollese, squadra militante in Prima Categoria. Rocco e i suoi fratelli non molto tempo fa lo hanno festeggiato per le 1000 mille presenze in carriera, come Pelè.

«Così dicono, tra campionato e Coppa Italia siamo sulle mille, ma io non le ho mai contate. So solo che ho giocato e segnato in tutte le categorie, dalla Prima alla serie A.»

Quest’ultimo, è un primato che condividerebbe con Totò Martorella, altro attaccante del Pescara: “Ma lui è un giovane (classe 1970) e l’ultimo gol lo ha fatto su rigore a tempo scaduto. E poi ha smesso”, dice ridendo il guascone Pagano che entra ed esce dalla Cantina Tollo, sui colli teatini.  Oscar Buonamano, voce del calcio pescarese e volto di Rete8 assicura che “sull’uno contro uno è ancora il Pagano dell’era Galeone“.

Non succederà mai, invece, che vedrete Pagano seduto su una panchina, nonostante sia stato uno degli allievi prediletti della “Premiata Ditta Galeone“: “Gasperini, Camplone, Di Cara, Bergodi, Allegri, erano già allenatori quando giocavano con me. Io, appena facevano gruppetto per discutere di tattica mi mettevo a palleggiare a distanza. C’è chi nasce per insegnare calcio e chi come me gioca finché può, solo per divertirsi e per divertire la gente”.

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Nonostante la foto, parla sempre sorridendo Rocco, senza i rimpianti di chi non ha mai avvertito la “solitudine dell’ala destra” del poeta Fernando Acitelli. La gente gli vuole bene e i giovani lo rispettano sempre. Con molti dei suoi vecchi colleghi si incontra ancora e lui ricorda tutti molto volentieri:

«Ho avuto la fortuna di giocare con due considerati “vecchi” ed erano semplicemente dei geni, uno incompreso, Blaz Sliskovic, l’altro, un brasiliano puro come l’eterno Leo Junior che d’estate torna in vacanza a Pescara. Chi non ho più incontrato dopo i fasti del Perugia della seconda era Galeone, è il vulcanico presidente degli umbri, Luciano Gaucci. Nel bene e nel male, Gaucci resta un personaggio, un generoso che ha pagato per aver “pizzicato” i potenti del sistema, che gira che ti rigira poi sono ancora gli stessi. Tipo Tavecchio, che da presidente della Lega Dilettanti avrebbe generosamente disseminato campi in sintetico in tutta Italia. In Abruzzo deve essersi dimenticato di farli.»

L’unica cosa che adesso lo preoccupa sul campo di calcio è che, cambiando girone, quest’anno dovrà giocare su parecchi campetti sterrati e pieni di buche. Ma va bene lo stesso. Finché si diverte lui resterà lì, sulla fascia, a fare quello che gli piace di più: l’uno contro uno.

Perché Pagano è uno di quelli che ti guarda in faccia, ed anche per questo entra dritto nella bacheca di quelli che ci piacciono davvero. Non smettere di correre Rocco, noi saremo sempre lì ad incitarti aggrappati alla rete.