C'eravamo tanto amati. Sarri e Mancini: un divorzio all'italiana - Zona Cesarini

C’eravamo tanto amati. Sarri e Mancini: un divorzio all’italiana

Proprio un anno fa Mister Sarri, ancora sulla panchina dell’Empoli, elogiava Mancini e la sua rigenerata Inter, e lo stesso faceva il tecnico di Jesi, fresco di ritorno in Italia.

Proprio ieri è morto un gigante del cinema e della cultura italiana quale Ettore Scola: il titolo dell’articolo è ovviamente dedicato ad uno dei suoi capolavori. Accanto a questo, abbiamo voluto inserire anche il nome di un altro film, “Il divorzio all’italiana” di un caro amico del regista scomparso, Pietro Germi, andatosene oramai molti anni fa.

E proprio oggi si è scatenato il putiferio per quello successo ieri sera al San Paolo, che con cultura, cinema d’autore e dialoghi impegnati tra intellettuali ha poco a che vedere.

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Sarri ha sbagliato, ha fatto una cazzata colossale. Ha dimostrato di essere becero e ingenuo. Dispiace perché è simpatico, ci piace il gioco e la persona: e dispiace ancora di più pensando che le sue idee – rivoluzionarie per il calcio italiano – da oggi saranno meno ascoltate. Questo è il punto di partenza di ogni analisi: nessuna giustificazione all’omofobia.

Il calcio è un mondo reazionario: dove chi è diverso viene costantemente emarginato; dove fin da bambini ci si sente dire “checca” in tono offensivo; dove razzismi e sessismi di ogni tipo sono radicatissimi. Ma provate a immaginare una scena simile in qualche top club europeo: per un Liverpool o per un Bayern Monaco il danno di immagine sarebbe incalcolabile. La Federazione Nazionale convocherebbe una riunione d’urgenza e lo squalificherebbe, senza nessun ricorso della società di appartenenza. Perché chi fa calcio parla a milioni di persone, e l’omofobia non può essere tollerata. Punto.

Chiarito questo, vogliamo dire due parole anche su Mancini, ben più scafato di Sarri e abituato ai palcoscenici sportivi e mediatici della Serie A: come valutare e contestualizzare la sua dichiarazione? Chi ricorda Mancini minimizzare le offese di Mihaijlovic a Vieira (“quel che succede in campo, rimane in campo”) o tollerare gli striscioni contro i napoletani (“solo sfottò”) e trova assurdo vederlo nuovo paladino degli oppressi.

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Forse negli anni il Mancio ha acquisito coscienza dei diritti altrui; o forse non ha fatto altro che approfittare della situazione per ergersi a vittima: ha destabilizzato una concorrente e, cosa ben più importante per il suo ego, ha abbattuto un personaggio che piaceva molto più di lui. Un ipocrita che frega uno zotico: forse “dal letame nascono i fior“, e dalla mania di protagonismo di Mancini nascerà un dibattito serio e laico sull’omofobia. Lo speriamo, ma temiamo di no.

Più probabilmente ci sarà una “mezza condanna” della Figc di Tavecchio – quello che sfotte i neri pensando di essere simpatico – e tutto si risolverà nel classico patteggiamento all’italiana. Nessun protagonista si sentirà tutelato, tutti avranno da recriminare e i giornali avranno di che discutere tra un big match e l’altro. Il rischio è proprio questo: che il vero problema non si affronti mai, e che l’Italia continui ad essere segretamente zotica come Sarri, ma pubblicamente furbetta come Mancini.

Gli allenatori che insegnano ai nostri ragazzi hanno una responsabilità enorme: sono gli educatori dei cittadini di domani.

Ora che ci siamo indignati, non torniamo ad abbrutirci fino a fine campionato: due tweet di indignazione bastano a lavarsi la coscienza, ma non a cambiare il Paese. Pratichiamo quei principi che diciamo di avere a cuore, parliamo di pari diritti, seguiamo il dibattito sulle unioni civili. Altrimenti siamo noi a essere omofobi.

E allora basta lamentarsi: altrimenti ci meritiamo questa classe politica, e questi allenatori.