Luka Modrić: la perla di Zara - Zona Cesarini

Luka Modrić: la perla di Zara

Luka Modric nasce nel settembre del 1985 a Zaton, sperduto paesino dalmata di appena 100 anime situato sulle pendici dei Monti Velèbiti.

La famiglia Modric viveva in una casa cantoniera, dato che il padre Stipe di lavoro faceva lo stradino, mantenendo in ordine il tratto di statale che tuttora funge da collegamento tra la Dalmazia e la regione della Lika. Mamma Jasminka era invece al contempo sindacalista ed operaia, e spesso per motivi lavorativi era costretta a soggiornare a Obrovački, vicina città nota per la produzione tessile. La vita a Zaton era talmente dura in periodo invernale che ad Obrovački girava un detto:

“A Zaton possono sopravvivere solo i Modrići e il luppolo”.

L’adolescenza di Luka è, come si può intuire, piuttosto drammatica. Anche perché ai morsi del rigido inverno si uniscono i traumi della Guerra d’indipendenza croata, che inizia nel 1991 e che ha proprio nella Dalmazia uno dei suoi epicentri di conflitto. Uno degli orrori cui il giovane croato è costretto ad assistere è l’assassinio – da parte dell’esercito della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia – di nonno Luka, scambiato assieme ad altri 6 civili anziani per un partigiano croato.

“In realtà, il nonno stava solo cacciando. Mio padre si era arruolato, e quindi per lo più era lui che provvedeva alla nostra sopravvivenza”.

Il cartello che tutt’ora indica dove sorgeva la casa dei Modrići.

La famiglia Modric, allarmata dagli spari e accorsa per vedere cosa stesse accadendo, assiste dunque impotente all’assassinio del patriarca e allo choc, appena qualche giorno dopo, di vedere i propri possedimenti bombardati e dati alle fiamme in quanto “probabili” nascondigli di armi partigiane. Questo rende Luka, 6 anni non ancora compiuti, un profugo di guerra. Senza casa, sostentamento e con una costante sensanzione di privazione intorno.

Come in un dramma bellico à la No Man’s Land, dove identità e patria non hanno più senso, inizia una sfiancante marcia con mezzi di fortuna verso Zara, meravigliosa città affacciata sull’Adriatico, roccaforte degli indipendentisti nonché città natale dei Modric (lì si trovava l’unico ospedale nel raggio di decine di kilometri). Se nella marcia non sono morti uno a uno, questo lo si deve alla tempra dei Modric, ma anche e soprattutto alla creazione dei numerosi ostelli preparati per gli sfollati durante la guerra dei Balcani.

Anche oggi non mancano i campi non del tutto privati dalle mine.

Più o meno lo stesso destino è capitato, questa volta dalla Bosnia verso Zagabria, agli attuali difensori della nazionale Dejan Lovren e Vedran Corluka, e alle stelle europee Ivan Rakitic e Xhaka: la famiglia del giocatore del Barcellona si è rifugiata in Svizzera, ha giocato con le nazionali giovanili elvetiche prima di scegliere la Croazia, dove qualche anno dopo sarebbe giunta pure la famiglia del giocatore, e lui sì nazionale rossocrociato, dell’Arsenal.

Ai Modric tocca in sorte l’hotel Kolovare che, negli anni immediatamente prima della guerra, era rinomato per la qualità della vista sull’Adriatico e del servizio in camera, largamente sfruttato dai turisti italiani in cerca del famoso lusso “low cost”. Neanche a dirlo, quando ci finiscono dentro i Modrići l’edificio era stato reso in larga parte inagibile dai bombardamenti, e dell’antico servizio in camera non vi era più l’ombra.

Anche se oggigiorno è tornato agli antichi splendori, l’hotel Kolovare conosciuto da Luka sembrava, all’epoca, più un bunker sovietico che un resort.

A Zara, papà Stipec trova un impiego come meccanico per l’esercito croato e riesce a sistemare la famiglia in uno spartano alberghetto. Qui la vita famigliare dei Modric comincia a normalizzarsi: la guerra incomberà ancora per diversi annni, ma tutto in quella città resa splendente dal sole del Mediterraneo affascina il biondo ed emaciato ragazzino originario delle Alpi Bebie. Allo choc culturale dell’ “avere l’ortolano sotto casa, invece che a domicilio ogni 15 giorni” s’aggiunge una nuova, intrigante passione: Stipec lavora accanto allo stadio del NK Zadar, e questo gli permette di accompagnare facilmente il figlio agli allenamenti.

Fortuna vuole che Slavko Pernar, proprietario dell’hotel Kolovare, sia anche il presidente dell’NK Zadar. E’ lui che convince il primo allenatore della vita di Modric, la vecchia volpe Davorin Matosevic, a fare un provino a quel ragazzetto iperattivo che gioca a calcio, nella hall dell’hotel, pure durante i bombardamenti. Sarà Matosevic a scolarizzare Luka, dandogli quelle basi tecnico-tattiche che ne avrebbero fatto un giorno uno dei migliori centrocampisti al mondo della sua generazione:

“Luka fu iscritto dal padre nel 1992 alla nostra scuola calcio. Era un bambino spaventatissimo, un profugo, ma presto ho notato che il tocco di palla era morbido, vellutatissimo e inspiegabilmente preciso, visto che non sapeva cosa fosse il calcio o quasi. Ma era anche piccolo e debole, e sembrava non crescere mai. Non ero pertanto in grado di dire se quel fisico lo avrebbe sorretto nel diventare un grande calciatore: Stipe era il miglior giocatore dell’FK Jasenica, era a sua volta piccolino, ma rispetto al figlio era ben piazzato: spalle larghe e cosce possenti”.

2Dopo Matosevic, l’allenatore chiave nella carriera di Luka è indubbiamente Miodrag Paunovic, ex giocatore dello Zadar e del Partizan Belgrado, che ne completa lo svezzamento. Sotto la sua guida alla fine del millennio vince un torneo giovanile in Italia, ricevendo le pressanti attenzioni di Juventus, Parma e Inter. Purtroppo per il calcio italiano, le avances vengono prontamente respinte ai mittenti: Luka deve ancora crescere e maturare, e il neonato calcio croato sembra ricco di opportunità per un giovane. C’è però il solito problema, come ricorda Paunovic:

“Per me era evidente che fosse destinato a diventare un grandissimo. Era palese. Però ci credevano in pochi, poiché era magrissimo e sembrava più delicato di una foglia. A quei tempi, nei Balcani ancora c’era l’idea che un calciatore dovesse necessariamente essere possente per avere successo”.

Nel 1999 Luka finisce pure al centro di un curioso contenzioso, quando accetta di partecipare ad una tournée italiana con l’Hajduk di Spalato, capoluogo della Dalmazia. Peccato che Modric decida di prendere parte al torneo ad insaputa dello Zadar, terrorizzato così dall’idea di perdere a costo zero il proprio gioiello.

4Regista occulto dell’operazione è il potente agente Zdravko Mamic, inquietante faccendiere d’origine bosniaca ed ex militante dei Bad Blue Boys (ultras della Dinamo Zagabria); che di fatto lo aveva preso sotto la sua ala protettrice in modo casuale, fidandosi di alcune segnalazioni e senza averlo mai visto giocare dal vivo. Attualmente, Mamic è sotto processo per riciclaggio di denaro, evasione fiscale ed estorsione, accuse inerenti ai 10 anni come direttore esecutivo della Dinamo Zagabria, ma è rimasto in contatto con la famiglia Modric.

“Me lo ricordo bene. Era un profugo, e il padre non aveva neanche i soldi per i parastinchi. Glieli fabbricava intagliando dei pezzi di legno. Ma si vedeva che sarebbe diventato un gran calciatore. È evidente come abbia preso la povertà della sua famiglia come uno stimolo per emergere dalle difficoltà”.

Torneo a parte, Mamic tuttavia non riesce nel diabolico intento di soffiare il talentino allo Zadar, che si oppone fermamente alla cessione e si compatta dietro la rassicurante figura di Joseph Bajlo – tuttora direttore tecnico dell’NK – nonché guru di almeno tre generazioni calcistiche croate. È Bajlo che resiste alla pressione dei genitori di Luka e convince il proprietario del club, Jurjevic, ad attendere un paio di stagioni per ottenere dalla cessione un consistente profitto. 5Se nel 2000 il vecchio Joseph viene accontentato, è nel 2001 che si compie il tradimento del figliol prodigo, che parte alla volta di Zagabria per la miseria di 20.000 euro su pressione di Mamic (circa 3.000 euro per ogni stagione come “premio di formazione”). Peccato che già allora il valore di mercato di quel 17enne profugo dai capelli biondi si aggirasse attorno ai 350.000 euro. Cifra che fa desistere pure Sir Alex Ferguson, benché ne fosse rimasto incantato vedendolo giocare con la Croazia Under 17.

“Sono comunque contento di averlo formato: quando gioca sembra che abbia gli occhi anche dietro alla testa e, anche volendo, nessuno riesce a buttarlo giù. A vederlo, è già un miracolo che stia in piedi. Eppure non lo prende mai nessuno”. (J. Bajlo)

Modric sbarca dunque nella Zagabria d’inizio millennio con pochi soldi in tasca e la nomea del predestinato. L’appartamento e gli studi sono offerti dalla Dinamo. Ma di fatto non percepisce uno stipendio; anche se sembra non curarsene, lui che non possiede neanche un conto corrente bancario. Divide l’appartamento con gli amici Davor Landeka e Ivica Dzidic, poi divenuti buoni calciatori professionisti in patria.

In sostanza, la Junior Dinamo del 2002/03 è una macchina da guerra: oltre ai sopracitati e Luka, nella squadra di coach Deveric ci sono ben 14 giocatori che poi avrebbero giocato almeno una partita nella massima serie croata (tra cui anche i nazionali Corluka, Sokota ed Eduardo). Arrivano così i primi premi personali e lo scudetto a livello giovanile. A neanche 18 anni Modric è pronto per il grande salto tra i pro, anche perché il calcio croato, storicamente e culturalmente, non perde tempo con i giovani di talento.

Nel 2003, Dzidic, Landeka e Modric vengono dunque prestati al Mostar (Erzegovina) prima e all’Inter di Zapresic (un sobborgo di Zagabria) poi; club modesti ma pur sempre militanti nelle massime serie, bosniaca e croata. Qui Modric trova una discreta continuità, sia riguardo le presenze (45 in due stagioni) che la media realizzativa. Infatti gioca spesso dietro le punte, da numero 10, posizione in cui la sua visione di gioco panoramica, il dribbling secco, la propensione all’assist e il tiro preciso hanno modo di esaltarsi.

L’annata maggiormente positiva è la prima, quando Modric diventa il leader silenzioso di una squadra ricca di talento ma che si salva soltanto all’ultima giornata; complice la dissennata gestione di un club dove nessuno percepisce lo stipendio da inizio stagione. Una bazzecola, per uno che è cresciuto tra stenti e senza mai una kuna in tasca:

“Rimane uno dei più grandi successi della mia carriera. Giocare in Erzegovina è difficile, nel senso che ovunque vieni visto con sospetto. Le trasferte erano durissime: sputi e insulti in ogni dove e soprattutto minor tutela dagli arbitri. Ogni tanto prendevo una pedata a palla lontana e – se mi lamentavo con l’arbitro – spesso mi sentivo rispondere ‘Taci, feccia d’un croato!’. Ad ogni modo, Mostar è bellissima e sarò sempre legato ai magnifici tifosi del club”.

Luka in breve tempo trova una continuità di prestazioni eccezionale: è sempre umile ma deciso, rapidissimo ma riflessivo. In campo non sbaglia mai un passaggio, non si dà mai per vinto e non batte ciglio quando gli avversari sembrano scambiarlo per un punchball.

9Nel 2005 Modric rientra dal prestito. A 20 anni, viene messo al centro del progetto tecnico-tattico della Dinamo firmando un lunghissimo contratto. Dopo una buona stagione d’assestamento, Luka esplode definitivamente: schierato dietro Mario Mandzukic, va in doppia cifra sia nei gol che negli assist, conducendo la squadra alla vittoria finale e venendo pure eletto miglior giocatore del campionato. A fine stagione per lui si muovono Arsenal e Barcellona, ma Luka non si sente ancora pronto e declina gentilmente le offerte. Nel frattempo, arriva pure l’inaspettata ma graditissima investitura dal connazionale Zvonimir Boban, che in diretta Sky lo definisce così:

“Un predestinato. Vede calcio come nessun altro in Europa. Diventerà un grandissimo”.

A strapparlo alla Dinamo, nel 2008, è il Tottenham, che per il faro della nazionale croata sborsa la bellezza di 21 milioni di euro. Ancora una volta, però, il nome di Modric balza agli onori della cronaca per un fatto extra-calcistico che lo coinvolge indirettamente. E ancora una volta uno dei protagonisti è Zdravko Mamic (sempre quel Mamic), nel frattempo divenuto dt della Dinamo, che viene citato in causa per essersi intascato dal trasferimento circa 7 milioni di euro. La causa è tutt’oggi aperta, a dimostrazione che quello italiano non è l’unico sistema giudiziario che necessiti di tempi biblici.

Il resto è, come si suol dire, storia: a quasi 34 anni Modric conta più di 300 presenze tra Premier e Liga, ed è entrato nell’élite dei giocatori croati con almeno 100 presenze in nazionale. Nel mezzo, quattro Champions col Real Madrid (sempre nella Top 11 del torneo), una finale del Mondiale, un (discusso, ma meritato) Pallone d’oro e, last but not least, il matrimonio con la bellissima Vanja Bosnić (con due figli) e in generale la stima ed il riconoscimento trasversali da parte del mondo calcistico. Tanto allegro con i compagni quanto schivo e riservato coi media, Modric dopo il ritiro anela ad una vita tranquilla: un buen retiro con vista mare. Dove? Naturalmente a Zara, dove tutto ebbe inizio e dove ha appena finito di costruire una splendida villa da 180 metri quadrati. Metratura ridotta, che ha sorpreso tutti, visto che ormai il suo conto in banca è a nove zeri:

“Mi chiedono sempre della “villetta”. Perché così piccola? Noi siamo solo quattro, cosa me ne dovrei fare di 5 o 6 stanze che poi non utilizzo?”.

La famiglia Modric nel 2013.
La famiglia Modric nel 2013

La battuta rende perfettamente l’idea del Modric-personaggio: genio dominante della téchne e del tempo di gioco in campo; umile, sincero e pragmatico fuori dal rettangolo verde. E cosa volete che gliene importi di qualche stanza in più a uno a cui hanno ammazzato il nonno con una raffica di kalashnikov, e che per quattro anni ha giocato con degli scarpini recuperati dalla spazzatura dello stadio del Posavina, o con i parastinchi in legno? Perché dovrebbe ostentare opulenza uno che non ha mai avuto davvero nulla da perdere?