Behind blue eyes. Slaven Bilic, il Comandante rock 'n' roll - Zona Cesarini

Behind blue eyes. Slaven Bilic, il Comandante rock ‘n’ roll

“My team is as energic as Iron Maiden.”

Se potessimo aggiungere una colonna sonora alla stagione del West Ham di Slaven Bilic, opteremmo probabilmente per un “gallop” (o cavalcata, se preferite) di basso di Steve Harris. Un suono incalzante ad alto numero di bpm in grado non solo di accompagnare l’ottimo cammino degli Hammers ma di omaggiare anche, ed in egual misura, sia lo storico fondatore degli Iron Maiden, tifoso sfegatato dei Claret and Blue, sia il tecnico croato, fan del gruppo heavy metal inglese da tempi non sospetti.

Alla sua prima stagione sulla panchina degli Irons (solo una coincidenza?), l’ultima tra le storiche mura di Upton Park, il manager croato è andato oltre le più rosee aspettative, con un piazzamento Champions sfiorato e un FA Cup in ballo fino alle semifinali. Non fosse stato per gli exploit di Tottenham e, soprattutto, Leicester gli applausi probabilmente sarebbero stati tutti per Payet e soci.

Perfetti sconosciuti

Una situazione che ricorda a grandi linee quel dialogo surreale tra Massimo Troisi e Lello Arena in Ricomincio da tre. Collocare a questo punto il “miracolo” del West Ham in una delle due tipologie risulta fin troppo semplice.

Ma chi è davvero Slaven Bilic, il Comandante di Spalato? Impossibile tracciarne un ritratto delineato e ben definito, tante sono le sfaccettature della personalità dell’allenatore dei claret and blue da far apparire il quadro generale come un’opera cubista degna del miglior Picasso. Altrettante sono le etichette più o meno scomode che si è visto affibbiare: Bilic il nazista, Bilic il marxista-leninista, Slaven il simulatore, Bilic il metallaro… Proviamo a mettere un po’ di ordine, per quanto possibile.

It’s a long way to the Top

L’11 settembre 1968, mentre l’artista italiano Pino Pascali perde la vita in un incidente in moto, a Spalato nasce Slaven Bilic. Adesso, chi si aspetta la solita storia fatta di indigenza, guerra e riscatto attraverso il pallone potrebbe rimanere deluso. L’infanzia del ragazzino con gli occhi di ghiaccio non ha infatti niente a che vedere con il classico cliché dell’uomo temprato dalla miseria e dalla più sanguinosa guerra intestina del ‘900.

Bilic è a tutti gli effetti un benestante, il padre è il Rettore della facoltà di Giurisprudenza e può anche permettersi il lusso di una seconda casa sull’Adriatico, ad un’ora da Spalato. A cinque anni Slaven si avvicina allo sport giocando a basket con il suo vicino di casa, coetaneo, nato solo qualche giorno prima di lui. Si chiama Toni, Toni Kukoc, ed è uno che qualche anno dopo volerà oltre oceano per fare le fortune dei leggendari Chicago Bulls di Michael Jordan.

Bilic ricorda come l’amore per lo sport gli sia stato inculcato dalla nonna materna, una signora che faceva le ore piccole per seguire le Olimpiadi di Los Angeles, con particolare attenzione per la pallanuoto. Il basket comunque non fa per lui, mentre con i piedi è un’altra storia.

Splendore anni '90
Splendore anni ’90

Dopo la trafila nelle giovanili, esordisce con la maglia dell’Hajduk Spalato dove fa il difensore centrale, vincendo il primo campionato croato post-indipendenza nel ’92. Con l’inasprimento della guerra vola in Germania con la famiglia, accasandosi al Karlsruhe.

La carriera da calciatore di Bilic non è che offra grandi spunti se non un forte legame con tutte le tifoserie con cui viene in contatto, che ne ammirano il temperamento e l’attaccamento alla maglia.

Ha la passione della musica rock, Slaven: si innamora degli U2 e nei ritiri si porta dietro la chitarra come una compagna fedele. Seguendo alla lettera il celebre consiglio di Tony Iommi “Impara due accordi, poi trovati un buon avvocato prima di imparare il terzo“, si laurea in legge “casomai nel calcio non dovesse andare come dovrebbe“. Il tutto fumando 40 sigarette al giorno.

Arriva anche in nazionale, partecipa agli Europei in Inghilterra, dove nel frattempo si è trasferito, ma ci torneremo, e soprattutto ai Mondiali di Francia. Qui Bilic conquista le copertine, ma probabilmente non nel modo in cui avrebbe sperato.

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Prima di approfondire la questione è necessario fare un piccolo passo indietro. Alla vigilia della manifestazione, il Nostro subisce un infortunio all’anca. Secondo i medici il dolore gli impedirà di giocare, ma lui vuole esserci ad ogni costo, vuole servire la causa. Rifiuta di operarsi e si presenta regolarmente in campo, dividendo le gioie sportive con il dolore fisico. Inutile dire che la scelta gli comprometterà la carriera, lasciandogli però un posto speciale nel cuore dei suoi connazionali.

La Croazia, intanto, stupisce tutti, arrivando in semifinale trascinata dai gol di Suker; Bilic è uno dei migliori difensori del torneo. Nella sfida allo Stade de France contro i padroni di casa, Slaven si inimica un intero popolo, cosa che riuscirà benissimo qualche anno dopo anche ad un nostro connazionale, tale Marco Materazzi.

La Francia è avanti 2-1 grazie alla doppietta, assurda come un dialogo dei fratelli Coen, di Lilian Thuram. Sugli sviluppi di una punizione Blanc appoggia la mano sul volto di Bilic che crolla a terra toccandosi la faccia. Rosso diretto. Trattasi in realtà di una simulazione in piena regola, che priva i transalpini del proprio capitano nella finalissima.

“Ero terrorizzato dal fatto che potessi essere ammonito, saltando l’eventuale finale. Non pensavo ad altro, così mi sono gettato a terra, per evitare il cartellino, nonostante Blanc non mi avesse toccato. Comunque poi la Francia ha vinto 3-0 in finale: non avrebbero potuto chiedere di meglio. Probabilmente Chirac dovrebbe darmi una medaglia!”

Bilic viene villipeso dalla stampa, diventa un simulatore, che negli ambienti puritani del calcio equivale all’essere accusato di stregoneria nel ‘600.

Non arriverà nessuna medaglia al merito – due premi come miglior sportivo croato sì però – anzi, tra riabilitazione e scelte tecniche nella stagione successiva racimola solo una manciata di presenze nell’Everton, prima di tornarsene a casa, a Spalato, chiudendo di fatto la carriera, a poco più di trent’anni.

Insieme a Boksic ed Asanovic, altri due illustri concittadini, mette mano al portafogli per risollevare le finanze dell’Hajduk e nelle ultime cinque giornate inizia la propria carriera di allenatore sulla panchina della squadra che lo aveva lanciato poco più di dieci anni prima.

Before you accuse me

Orecchino, sigaretta e un’innata capacità di sapersi vendere bene. Bilic in patria è un vero e proprio idolo, simbolo del patriottismo e dell’attaccamento alle proprie radici che in un Paese come la Croazia non può che essere guardato con ammirazione. Guida prima l’Under 21, poi, nel 2006, a 38 anni diventa ct della nazionale. Nella gara di esordio, contro gli azzurri freschi campioni del mondo, l’accoglienza tributatagli dai supporter croati finisce per gettare qualche pesante ombra sulla personalità del Comandante.

Sulle tribune dell’Armando Picchi, nella rossa Livorno, la coreografia dei tifosi ospiti, schierati a mo’ di svastica, crea sdegno e disappunto non solo tra i presenti ma anche tra le alte sfere, che minacciano l’esclusione dei biancorossi dalle prossime manifestazioni continentali.

“Tutti credono che i croati siano un popolo nazista. In realtà ci sono molti più skin in Inghilterra, ad esempio. Ma credo che tutto possa essere catalogato ad un semplice atteggiamento giovanile, ragazzi in cerca solamente di un po’ di visibilità”.

Le voci che vogliono Bilic vicino a posizioni estremiste e ultra-nazionaliste non si placano, e i sei anni sulla panchina croata saranno un susseguirsi di aneddoti, notizie e mezze verità sempre volte a scovarne il lato oscuro.

In principio sarà un pezzo dei Rawbau – gruppo rock dalle tendenze punk-hardcore di cui Bilic è il chitarrista e che in patria gode di un certo seguito – “Vatreno ludilo” – ardente follia, a diventare un vero e proprio inno dei tifosi croati, che al canto vedono bene di accompagnare il sempreverde saluto romano. Si fa a gara a ricercare nel testo riferimenti filofascisti, con scarsi risultati ad essere sinceri.

Come si dirà “Where the streets have no name” in croato?

A questo bisogna aggiungere come, durante gli Europei in Austria-Svizzera e quelli successivi in Polonia-Ucraina, Bilic carichi i suoi prima delle partite con musica ultra-nazionalista sparata a tutto volume negli spogliatoi. La situazione sembra quindi assumere contorni più definiti. Il brano in questione è “How beautiful you aredi Marko Perkovic, in arte Thompson, cantante croato di chiaro orientamento estremista.

Uno che, per intendersi, come nome d’arte ha scelto la nota marca di fucili utilizzati durante il conflitto jugoslavo, e che ha trasformato i suoi concerti in veri e propri raduni politici, dove si inneggia agli ustascia, miliziani fascisti guidati da Ante Pavelic che si allearono con Hitler macchiandosi di crimini orrendi contro i serbi negli anni Trenta. Personcina garbata e mai sopra le righe, insomma.

Bilic, pur non negando il carattere catartico della musica a palla – “che male c’ è a caricarsi per la partita alzando il volume dello stereo?” – prova a sottrarsi alla gogna indicando nel portiere Stipe Pletikosa il responsabile della scelta del brano incriminato.

Inquadrare Bilic resta comunque impresa ardua, tanto più che dopo essersi reso disponibile per una partita tra vecchie glorie con incasso da devolvere alla Fondazione per la verità sulla Guerra patriottica in Croazia – finanziando di fatto gli avvocati del criminale di guerra Gotovina – salta fuori una mai nascosta simpatia per Ernesto Guevara detto Che, non proprio il paladino del genocidio etnico, oltre al desiderio di conoscere chi con quel mondo impregnato di nero ha ben poco a che fare:

“Ci sono cinque persone che vorrei incontrare: una è Bill Clinton, gli altri quattro sono gli U2.”

Difficile pensare a Bono Vox e a the Edge come al corrispettivo irish dei deliri di Perkovic.

sb 5La situazione è più che mai confusa, e analizzare l’interiorità del croato con categorie dicotomiche tradizionali è esercizio sterile e improduttivo. Bilic non può essere ricondotto ad un minimo comun denominatore, non è bianco o nero. Dietro a quegli occhi blu c’è un melting-pot culturale ampio ed indecifrabile, e per questo ancora più affascinante.

Ha una natura camaleontica, che sfrutta per adattarsi e tirare fuori il meglio da ogni situazione, anche a costo di risultare ambiguo. Per avere un quadro più approfondito del Bilic uomo, in grado di raccontarne il lato umano, discordante rispetto a semplicistiche e fuorvianti fedi politiche, è necessario riportare alla luce due episodi che dicono molto sulla personalità dell’allora giovane ct.

Il primo risale ad un ritiro in Svezia con l’Under 21, quando i due migliori talenti di quella selezione, Corluka e un ragazzino timido, introverso e lui sì, scampato alla guerra, Luka Modric, anziché godersi la giornata libera bevendo un caffè in centro e perché no, approcciandosi a qualche bellezza locale, se ne stavano annoiati nella hall dell’albergo. Preoccupato dal fatto che potesse esserci qualcosa che non andasse Bilic si avvicinò chiedendo spiegazioni, salvo scoprire che i due erano semplicemente senza un soldo.

Come un fratello maggiore, più che un sergente inflessibile, aprì il portafogli e mandò i ragazzi a divertirsi. Un rapporto confidenziale con i propri giocatori è sempre stato alla base dei metodi di Slaven.12928435_10208777226296985_4495609882980186642_nQualche anno dopo, la Croazia doveva giocarsi la qualificazione all’Europeo nel tempio di Wembley, ospite dell’Inghilterra. I tabloid si mostrarono stupiti nel vedere i giocatori slavi passare il pomeriggio prima del match a fare shopping per le note strade del centro – che un nome ce l’hanno eccome, verrebbe da dire – mentre i Leoni di McLaren se ne stavano rintanati in albergo.

Bilic si tolse però la prima soddisfazione nei confronti di quella che era stata e sarà di nuovo la sua seconda patria. Vittoria 3-2 con gli inglesi, che vedono così svanire le speranze di qualificazione. La gestione dello spogliatoio basato sulla reciproca fiducia e sul dialogo sembra dare i suoi frutti, ciò non toglie che Bilic resti un uomo con principi ferrei, intollerante verso la mancanza di disciplina.

Alla vigilia della sua prima gara ufficiale, contro la Russia, Srna, Olic e Balaban decidono di passare la notte al Fortuna, rinomato night-club di Zagabria. Il Nostro, senza alcuna esitazione, li rispedisce a casa. Il pareggio 0-0 con la squadra di Hiddink crea dei malumori nella Federazione che chiede il reintegro dei tre, ma Bilic è inflessibile e soltanto dopo le scuse Srna e Olic rientreranno a far parte dei convocati per gli Europei.

Al di là della letteratura che il personaggio di Bilic crea attorno a sé, la sua avventura sulla panchina croata vive di alti e bassi. In Austria i biancorossi si arrendono solo ai rigori contro la Turchia, nei quarti, dopo aver battuto la Germania nel girone. Nel 2012, dopo la mancata qualificazione in Sudafrica, il girone con Spagna e Italia non semplifica le cose, e sancisce l’addio del Comandante che si accasa al Lokomotiv Mosca.

“Potrei anche essere il ragazzo che in Armageddon deve fermare il meteorite prima che distrugga la Terra. Questo è ciò che significa allenare la Croazia.”

Il più grande merito della sua gestione sta senza dubbio nell’ aver creduto e lanciato due giovani talenti che ad oggi sono tra i migliori interpreti mondiali nel proprio ruolo, Modric e Rakitic. Curioso che furono proprio loro due a fallire dal dischetto, contro i turchi.

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Back in the USSR

“Mi ritengo un socialista, nel vero senso della parola. Adotterò un metodo di lavoro marxista-leninista: nel gruppo non esistono ricchi o poveri. So di non poter salvare il mondo da solo, ma preferisco essere in prima linea a combattere.”

L’anno passato all’ombra del Cremlino, più utile per aggiungere il russo alle lingue parlate – cinque a questo punto, tra cui l’italiano – che non a migliorare il curriculum, deve comunque avergli chiarito le idee. In una conferenza stampa di presentazione della sua nuova avventura ad Istanbul, sponda Besiktas, Bilic veste i panni del rivoluzionario bolscevico, impreziosendo il tutto con una barba in pieno stile ottomano che ne dimostra la piena immedesimazione con il suo nuovo ambiente.

È uomo di mondo Slaven, un po’ paraculo certo, ma abbastanza intelligente da capire come nel calcio talvolta contino più simboli e rituali che non i meri risultati per entrare nelle grazie di chi ti circonda.

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A Mosca raccoglie un record poco invidiabile, traghettando i suoi verso un nono posto che rappresenta il peggior risultato per la Lokomotiv dal ’91. La kalinka evidentemente non è musica da grandi imprese.

Sulla sponda bianconera del Bosforo le cose vanno decisamente meglio. I due terzi posti finali non raccontano il forte legame che viene a crearsi tra il croato e i passionali tifosi turchi. Nonostante uno zero abbastanza impietoso nella casella dei derby vinti, al momento dell’addio in centinaia manifestano la propria gratitudine con cori ad hoc dedicati al Comandante.

C’entra forse la vicinanza di Bilic alla frangia anarchica della curva, i Carsi, i cori intonati insieme ai propri sostenitori a fine partita o le ore passate all’Istanbul Gran Bazar a concedere selfie ed autografi.

“Noi croati viviamo in mezzo alla gente, andiamo a prendere il caffè con gli amici. Non stiamo in alberghi a cinque stelle.”

O c’entra magari il fatto di aver restituito un identità territoriale alla squadra, sulla scia dei grandi club “come Manchester United, Barcellona o Milan, che hanno costruito i propri successi basandosi su uno zoccolo duro di giocatori nazionali”. Tant’è comunque che il Nostro saluta la Turchia portato in trionfo come un valoroso condottiero. Ma Londra chiama, e Bilic non può fare a meno di rispondere.

London Calling

Diciotto mesi. Tanto è durata l’esperienza da giocatore di Bilic con la maglia del West Ham. Eppure, ancora una volta, i tifosi lo considerano tutt’oggi un idolo indiscusso, e quest’estate lo hanno (ri)accolto a braccia aperte.

Nel ’96 Bilic fece da mentore ad un giovane Rio Ferdinand e si dice offrisse qualche sigaretta post-allenamento ad un ragazzino di nome Frank Lampard. A proposito del vizio del fumo, i compagni sembravano turbati dal numero di bionde aspirate dal gigante croato. Bilic per tutta risposta chiese loro come facessero a bere così tanto.

“Fumare in Europa è normale. Ai miei tempi in nazionale, nel ’98, eravamo una decina di fumatori. Cosa ci diceva Blazevic (il Ct)? Niente, ce ne scroccava una perché non ne aveva mai!”

I compagni lo ammiravano oltre che per il carisma anche per una certa indipendenza. Mentre la squadra si ritrovò ad una corsa di cani, in pieno stile british, Bilic prese frettolosamente un aereo per assistere ad un concerto dei Guns n’Roses.

Nonostante l’ottimo ricordo lasciato dalle parti di Londra Est, il curriculum di Bilic lascia comunque più di qualche perplessità, non avendo ancora dato dimostrazione di un avvenuto salto di qualità.

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Gli uomini preferiscono le bionde

Dubbi confermati dalla prematura uscita dai preliminari di Europa League, per mano dei rumeni dell’Astra dopo che nel turno precedente i Claret and Blue avevano avuto la meglio sui maltesi del Birkirkara di Fabrizio Miccoli solo ai rigori. Ben diverso il cammino in Premier League, con gli Hammers che a sei giornate dal termine si ritrovano a soli tre punti dal quarto posto ma chiudono con un settimo posto che sottolinea i limiti di tenuta complessiva del sistema-Bilic.

Il law and disorder tattico di Bilic, fatto di compattezza e fiducia nelle qualità dei singoli, Payet e Lanzini su tutti, ha mietuto vittime eccellenti – Arsenal all’esordio, poi Liverpool, Chelsea, Tottenham e Manchester City – incontrando qualche difficoltà di troppo contro squadre di fascia medio-bassa. La squadra del Comandante si è anche presa la soddisfazione di eliminare il Liverpool di Klopp dall’FA Cup, grazie al secondo gol in carriera di Ogbonna, arrivato nei supplementari, in una sorta di derby “heavy metal” tra i due tecnici più cool della Premier.

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Comunque sia andata la stagione, negli spogliatoi del nuovo impianto – l’Olympic Stadium – dove gli Irons giocheranno dal 2016/17, è già stato allacciato uno stereo con un impianto potente. E anche se Bilic, ormai si è capito, non è solo rock’n’roll: comincia a piacere un po’ a tutti.

 

(Grafica a cura di Pier Luca KUP Cupelli)