Ad esempio a me piace il Sud. Anatomia del Crotone in serie A - Zona Cesarini

Ad esempio a me piace il Sud. Anatomia del Crotone in serie A

«’Kill ’em All’ dei Metallica mi ha cambiato la vita. Ho notato che gli italiani non hanno sangue metallaro, sono più per cose tipo Eros Ramazzotti. Sicuramente c’è gente che ascolta metal, ma per la strada non la noti come a Spalato o Londra.» (Ivan Juric a Rolling Stone)

Potrebbe essere l’incipit di un’intervista a un vecchio e nostalgico discografico della scena metal dei primissimi anni Novanta, invece sono pensieri e parole di un allenatore fuori dalle convenzioni, artefice del miracolo-Crotone in Serie A: Ivan Juric. Perché un ruolo pivotale, in questa stagione oltre ogni previsione, lo ricopre l’ex centrocampista croato. Epigono di Gasperini, cultore morboso del 3-4-3 e delle sue sfumature, Juric ha rovesciato ogni gerarchia e pure il peso della storia dalle parti dello Scida.

Fermarsi e analizzare a fondo la parabola del Crotone 2015/16 non è operazione semplice, c’è il rischio di scivolare nell’enfatizzazione generale o nel desiderio di ingigantire singoli meriti, sia sul campo che a bordo campo. Probabilmente, è corretto partire da un protagonista semi-sconosciuto ai più: Peppe Ursino.

Direttore sportivo del Football Club Crotone dal 1995, ventuno anni di gestione e dominio dell’area tecnica dei Pitagorici. Un laborioso professionista di provincia, che ha messo in fila negli ultimi sette anni una formazione tecnicamente vicina a una Nazionale: Florenzi, Bernardeschi, Pellè, Nicola Sansone, Cataldi e Nocerino.

È la personalissima shortlist di Ursino, il materiale tecnico e umano passato dalle parti dell’Ezio Scida per consacrarsi poi nei club di appartenenza in serie A. Ma questa lista necessita un aggiornamento con altri protagonisti, quelli del campionato in corso: Budimir, Capezzi, Ferrari, Ricci e Yao, per ragioni tecnico-anagrafiche, sembrano destinati al grande salto. È la academy di Ursino. Una sorta di colonia satellite di big o aspiranti tali della Serie A, che esegue con efficacia e metodo un lavoro di formazione e consacrazione di giovanissimi talenti, soffocati dalla scarsa propensione al rischio dei propri club madre.

Il ds Giuseppe Ursino, a destra

Una forma di progettualità basata sul logoro ma quanto mai attuale refrain di “investire sui giovani, preferibilmente italiani”. Da queste parti si è creata un’officina artigiana della tattica e della crescita tecnica di giovani italiani, persi in prestiti più o meno anonimi lungo varie realtà del Belpaese. Il modello-Crotone non può essere scisso da questa peculiare impostazione formativa.

Ursino, agendo come un esperto broker di Wall Street, scandaglia e analizza al setaccio i settori giovanili dei club di A, dedicandosi alla scoperta e al successivo lancio di Under 21 dalle prospettive promettenti e rispondendo al diktat dell’adattabilità tecnica al calcio messo in scena dal Crotone.

In questa seconda fase, è determinante l’apporto della guida tecnica. E Ivan Juric è l’uomo della provvidenza, il profeta in patria. Perché proprio da queste parti ha calcato il campo per 5 anni – dal 2001 al 2006 – diventando una figura di riferimento col suo carisma, sia sul terreno di gioco che fuori. Un mister che, sbarcato la scorsa estate sullo Ionio, aveva già delineate le coordinate per una stagione memorabile. Seguendo tre principi base: aggressività, ritmo e organizzazione. Tre concetti che potrebbero tranquillamente essere traslati nella stesura di un pezzo metal d’antan dei Metallica: come Seek & Destroy, traccia cult di Kill ‘Em All.

«Sembra sempre tranquillo, ma poi sul campo il mister è un vero martello.» (R. Palladino)

La frase di un veterano come Raffaele Palladino, acquisto di gennaio del Crotone, è emblematica della grande cultura del lavoro profusa sul campo da Ivan Juric. Oltre la patina cool della musica metal sparata a tutto volume nelle cuffie, c’è un allenatore oltremodo scrupoloso e preparato, uno che si è fatto le ossa alla scuola Gasperini, suo mentore e riferimento tattico fin dall’addio al calcio giocato nel 2010 al Genoa.

Ma considerare Juric come semplice epigono del Gasp è operazione riduttiva e miope, perché come tutti gli allievi di talento con una propria visione, il Nostro ha dapprima assorbito e poi rielaborato in maniera personale i dettami del demiurgo Gasperini.

Il 3-4-3, modulo-feticcio del Gasp, è il canovaccio di partenza, lo standard su cui plasmare la propria idea di calcio aggressivo ad alta intensità. Juric ha a disposizione interpreti pressoché perfetti per la sua visione del gioco: gamba, intensità, ritmo forsennato, pressing sistematico e uso delle catene e dei triangoli di fascia come sviluppatori di gioco. Il Crotone, pagato lo shock di un debutto impossibile al Sant’Elia – finito con un rotondo 4-0 per i sardi – ingrana subito la quarta e fa intravedere potenzialità da squadra di vertice. Feroce, rapido, verticale. È un gioco di impronta europea, più che da cadetteria italiana.

Un gioco accelerato, che porta in dote altissimi dividendi. Perché Juric crede in due cose: velocità e organizzazione. Un pensiero radicato nell’animo, che sembra combaciare alla perfezione con l’altra sua grande passione, la musica metal. Dove tecnica e velocità d’esecuzione si fondono per creare un genere a sé stante; un po’ come il gioco del suo Crotone che pare provenire da qualcosa di già visto, ma che non assomiglia davvero a niente. E la sua squadra, assemblata con pazienza e un ossessivo lavoro tattico, lo dimostra.

«Gasperini è stato fondamentale per me. Alcune sue idee le ho prese e poi fatte mie, ma non mi ispiro solo a lui. Ho seguito molto anche Paulo Sousa e Nenad Bjelica.»

Tra i numerosi protagonisti di un’annata da ricordare, alcuni più di altri hanno lasciato il segno e si sono rivelati indispensabili. Il talentino romanista Ricci è perfetto nel ruolo di esterno offensivo mancino di qualità a piede invertito, pronto a tagliare il campo; il viola Capezzi è uno dei migliori prospetti nella posizione associativa di pivote in una linea di centrocampo a due; Martella è la pedina ideale nel gioco d’incastri, sovrapposizioni e ripartenze che surriscalda le fasce; Ferrari è il difensore centrale fondamentale nell’impostare il giropalla da dietro e i tempi di gioco; Stoian, ex meteora del Chievo, è la dimostrazione che il talento di base va incanalato in un contesto di precisi compiti tattici per poter esplodere davvero.

Infine Ante Budimir, il centravanti croato pescato nell’acquitrino dell’anonimato della Zweite Liga, al St. Pauli. È l’ennesima intuizione degna del quinto senso e mezzo di Dylan Dog, a firma Peppe Ursino: 17 gol, una capacità invidiabile di attaccare la profondità, concludere di forza, aprire lo spazio ai compagni di reparto e la palma di miglior outsider della serie B. Con la soddisfazione di un gol con tunnel incorporato a Zapata contro il Milan a San Siro in Coppa Italia. È la seconda vita del Cigno di Zenica, che a 25 anni ha trovato il suo centro di gravità permanente sul litorale ionico.

Insomma, nella provincia italiana più povera secondo i dati dell’Istat, qualcosa si è mosso. Repentinamente. Scuotendo quel diffuso sentimento di depressione economica permanente che attanaglia Capo Colonna e dintorni da oltre un ventennio.

Quella città che ai tempi della Prima Repubblica e dell’IRI era nota come la Stalingrado del Sud, isolato avamposto delle industrie di stato nel Mezzogiorno, ha trovato oggi, nella promozione diretta in Serie A, una parziale forma di riscatto dopo decenni di abbandono sotto forma di massiccia emigrazione giovanile, investimenti fantasma e disimpegno in ogni ramo del settore economico.

E non pare un caso che all’Ezio Scida, lo stadio di Crotone, con quell’allure da impianto sudamericano di provincia senza seggiolini nei distinti, i tifosi abbiano iniziato a credere nell’impresa della promozione fin da subito. Scandendo le vittorie dei Pitagorici al ritmo di A mano a mano, elevato a vero inno della squadra, in un’identificazione viscerale fra tifo e città sulle strofe del cittadino più celebre di Crotone: quel Rino Gaetano che più efficacemente di tutti ha scritto e cantato le storture di una terra problematica, spesso abbandonata, eppure ricca di fascino, storia e umanità.

Il Crotone ha così compiuto una vera impresa. Presentatosi ai nastri di partenza come la tipica squadra che avrebbe dovuto viaggiare senza troppe ambizioni, come un Figlio unico dal destino già segnato, ha invece dominato la serie B, portando in dote il gioco più moderno del campionato, una delle età medie più basse e la consacrazione di alcuni talenti nel torneo più sfiancante e complicato, staccando così il pass diretto per un traguardo storico, mai toccato né pensato prima: la Serie A delle big.

Uno scenario oltremodo complesso, se analizziamo la composizione della rosa e le risorse economiche a disposizione. Certo, ormai l’abbiamo capito, Ursino sa operare brillantemente in condizioni di penuria (la scorsa campagna a budget 0), ma la Serie A è palcoscenico dove poco è concesso e ancor meno perdonato.

Se a questo salto carpiato di nobiltà calcistica associamo un quadro societario turbato da un’inchiesta della DDA di Catanzaro sulle attività imprendioriali di Raffaele Vrenna – patròn del club da 25 anni, dopo averlo acquistato in seguito ad un fallimento in Promozione – l’impresa sportiva del Crotone appare oltremodo titanica.

Senza esagerare o scivolare in facili entusiasmi, se escludiamo l’annata fuori da ogni umana comprensione del Leicester in Premier League, quella dei Pitagorici rimane probabilmente l’impresa più significativa dell’anno. Una rivoluzione di metodo e applicazione in una terra irrequieta. Singolare che a esserne artefici siano stati un gruppo di giovanissimi ragazzi emigrato qua dal Nord, un anziano Ds dal marcato accento calabrese e un tecnico anti-star che sfoggia con nonchalance una barba incolta di 5 giorni e che, quando gli è permesso, cerca d’infilarsi a un concerto dei Napalm Death o degli Anthrax (come dichiarato a Rolling Stone). Un variegato manipolo di antieroi da far invidia a una sceneggiatura dei fratelli Coen.

Ma forse è logico così: per mettere Crotone al centro della scena e accendere entusiasmi sopiti ci voleva un pirata balcanico dall’aria schiva e dal sorriso beffardo, uno che sognava di smettere col calcio per girare l’Europa in lungo e in largo per assistere ai festival metal di suo gradimento.

Ma adesso a Crotone si celebra un traguardo insperato e ignoto. E oggi, nella provincia un tempo più remota della terza isola d’Italia, anche l’Europa non appare più così lontana.