Guerra e pace: lo strano caso di Luca Toni - Zona Cesarini

Guerra e pace: lo strano caso di Luca Toni

Luca Toni si ritira. Contro la Juventus al Bentegodi domenica 8 maggio 2016 giocherà la sua ultima partita in carriera.

“Dopo un po’ di riflessioni, dopo tanti anni di calcio, ho pensato che è arrivato il momento di lasciare. Sono state settimane difficili, una decisione sofferta, e da qui al triplice fischio di domenica sarà un misto tra gioia e tristezza”.

Il “Numero 1”, come un tormentone dance tedesco di dubbio gusto lo aveva definito, dice stop al termine di una stagione tribolata a Verona, culminata con la retrocessione e la sua messa fuori rosa, causa alcune dichiarazioni di troppo (“qualcuno di noi non è da Serie A”), per mano del mai amato Del Neri. L’ultimo dei pennelloni d’area del Belpaese dice che può bastare così, che la testa ormai non c’è più mentre il fisico già ha cominciato a cedere.

Toni vanta una carriera invidiabile, specie per uno che è arrivato relativamente tardi: campione del Mondo del 2006, una Bundesliga, una Coppa di Lega tedesca, una Coppa di Germania, 5 titoli di capocannoniere (due in Serie A, uno in Serie B, uno in Bundesliga e uno in Coppa Uefa), una Scarpa d’Oro europea, oltre 300 gol da professionista di cui 156 in Serie A, alla pari di Mancini, Pippo Inzaghi e Gigi Riva.

Niente male, avendo esordito in A a 23 anni con il Vicenza e facendo subito suonare le sirene di mercato di mezza Europa. Faccia pulita da bravo ragazzo, padre di famiglia, atleta e professionista esemplare. Un identikit ideale.

Eppure. Eppure la lunga carriera di Luca Toni (che il 26 maggio compirà 39 anni) ha visto una serie di porte sbattute, crisi personali e dichiarazioni di fine rapporto – e carriera – spesso finite per ritorcersi contro i suoi detrattori e che lo hanno visto svettare vincente, contro tutto e tutti. Almeno fino a quest’ultima malinconica stagione.

Siamo nel 2005 quando la Fiorentina lo acquista dal Palermo per 10 milioni di euro. In Sicilia non gradiscono granché, dopo le 50 reti tra A e B in due anni. Il 30 aprile 2006 c’è Palermo-Fiorentina, terminata 1-0 con gol di Di Michele. Ma la notizia è che fuori dallo stadio gli ambulanti vendono fischietti “anti-Toni”, pesantemente bersagliato come traditore per tutta la gara. Rito che si ripresenta ogni volta che il centravanti torna in quel del Barbera.

Ma la vendetta è un piatto che va servito freddo: nel 2013 Toni, di nuovo in viola, stende al Franchi i rosanero condannandoli alla B. Pochi mesi dopo, con la maglia del Verona, manda ko i rosanero proprio a Palermo, tra una pioggia di fischi, eliminandoli dal terzo turno della Coppa Italia.

Toni nel 2006 è capocannoniere della Serie A con 31 reti, Scarpa d’Oro e campione del mondo (capocannoniere degli azzurri, insieme a Materazzi, al Mondiale), ma nel frattempo la Fiorentina, qualificatasi al preliminare di Champions League, è coinvolta in Calciopoli. Mezza Europa lo vuole: parte, non parte, parte. Non parte: scatta il famigerato “patto tra gentiluomini”; Toni rimarrà per aiutare la squadra a riprendersi dalla penalizzazione di 15 punti e poi potrà accasarsi dove vuole, meglio se all’estero. La viola chiude quinta, al netto della penalizzazione sarebbe terza, e torna nelle coppe europee. Toni segna 16 reti e fa i bagagli, destinazione Monaco di Baviera. Alla Fiorentina vanno 11 milioni e ci si saluta con il sorriso.

In Germania Toni diventa subito un idolo. Segna a raffica, e in coppia con l’amico Ribery è trascinatore assoluto del Bayern, che dopo il quarto posto della stagione precedente torna a vincere il Meisterschäle dominando dalla prima all’ultima giornata. Sono 39 reti le reti per lui tra campionato e coppe. La stagione successiva è più complicata, alcuni infortuni lo fermano e la squadra fallisce tutti gli obiettivi: fuori subito dalla coppa nazionale, chiude seconda in campionato dietro l’outsider Wolfsburg ed esce ai quarti di Champions contro il Barcellona destinato a firmare il triplete.

Anche in azzurro sembra già in parabola discendente: è il capocannoniere nelle qualificazioni di Euro 2008, ma nelle quattro gare in Austria-Svizzera rimane a secco di gol e viene investito dalle critiche di una stampa particolarmente severa verso la gestione Donadoni. Il ritorno di Lippi non lo rilancia: segna un solo gol in amichevole contro la Grecia e poi affonda nella disastrosa spedizione della Confederations Cup 2009, dove l’Italia esce subito cadendo contro Egitto e Brasile. Luca Toni a 32 anni viene epurato dal gruppo azzurro, e almeno si risparmia l’onta di Sudafrica 2010.

Nell’estate 2009 in Baviera investono pesante: arrivano tra gli altri Robben, Olic e Mario Gomez, mentre in panchina si siede Van Gaal. Dell’affollamento del reparto avanzato tedesco (dove inizia ad emergere anche la stella di Thomas Müller) è Toni quello che ne fa le spese: prima fermo per infortunio, finisce poi nella squadra riserve, in Dritte Liga.

Ormai ai ferri corti con Van Gaal – “Sto bene, non è vero che sono infortunato” – la società finisce per liberarlo a gennaio alleggerendosi così di almeno una parte del suo stipendio: si accasa alla Roma di Ranieri, entrato in corso d’opera – concetto difficile da far comprendere a Mario Sconcerti – segna 5 gol, di cui uno pesantissimo nella vittoria contro l’Inter.

Pareva il tassello giusto per beffare i nerazzurri vittime di un marzo osceno (dopo Roma, ko anche a Catania con l’espulsione lampo di Muntari), invece Toni si infortuna, la banda di Mourinho si riprende e la Roma dura in cima alla classifica il tempo di un battito di ciglia. Sarà triplete per l’Inter, i giallorossi sono finalisti perdenti di coppa Italia e secondi in campionato. Toni non viene riscattato dalla Roma e finisce svincolato.

Si accasa al Genoa, dove ha atto una delle solite rivoluzioni d’organico che non portano frutti: il Genoa gioca male e Toni la porta non la vede. A gennaio altro ribaltamento della rosa (con Ballardini al posto di Gasperini già da due mesi) e Toni viene sbolognato alla sgangherata Juve di Del Neri, dove va a far numero al posto del residuato bellico Amauri – che in realtà nei mesi successivi a Parma darà segni di vita – dietro alla coppia Del Piero-Matri.

Eppure Toni, giocando poco, una soddisfazione se la toglie: è lui ad affondare da ex avvelenato il Genoa in data 10 aprile 2011, suo il gol decisivo del 3-2. Ma suo anche il clamoroso errore a porta vuota a tempo già scaduto, sintomo di un giocatore che pare sul viale del tramonto. La Juve finisce settima, Toni non segnerà più e finirà fuori rosa a fine stagione. Dopo 6 mesi passati da separato in casa con Conte, sbarca nel buen retiro dell’Al Nasr, alla corte degli Emiri e di Walter Zenga, dove però gioca poco a causa di altri infortuni.

Pensa al ritiro, non sembra più in grado di incidere da nessuna parte. E viene colpito da un drammatico lutto familiare: il suo primogenito nasce morto. In quel momento per lui conta solo la moglie Marta; il pallone, passione o lavoro che sia, è bene che resti chiuso nello sgabuzzino.

Poi il caso: la Fiorentina vede saltare, in maniera alquanto bislacca, l’arrivo di Berbatov proprio agli sgoccioli del mercato. Allora ecco il gran ritorno, di ripiego, a Firenze, in quel posto simile a casa. Esordisce di nuovo con la maglia viola al Franchi, al 63° minuto di Fiorentina-Catania. E dopo 87 secondi lo stadio esplode: la mano rotea vicino all’orecchio, Luca Toni ha segnato e scatta l’iconica esultanza.

Saranno 8 gol in 27 presenze, 15 da titolare e 12 dalla panchina. Comprimario di gran lusso. Ma Montella e la società non ci credono, preferendo andare a puntare per l’anno successivo sui gol (quali?) di Mario Gomez, e così scaduto l’anno di contratto Toni è di nuovo svincolato.

Riparte ancora, stavolta c’è il Verona neopromosso. E il bomber di Pavullo stupisce tutti, dimostrando che ancora sa timbrare il cartellino come pochi. Una settimana dopo aver abbattuto il Palermo di Gattuso in coppa Italia, c’è l’esordio in campionato contro il Milan: il Verona va sotto e lui lo rialza, con due incornate delle sue. Finisce 2-1, e come già si capisce che per il Milan sarà una stagione disastrosa, già si sa che Toni ha appena iniziato.

Saranno 20 le reti in 34 presenze (vice-capocannoniere della Serie A), che trascinano il Verona al 10° posto a soli 3 punti dal piazzamento valido per le coppe europee. E la stagione successiva si replica: 22 reti in 37 presenze, titolo di capocannoniere insieme ad Icardi, e Verona ancora salvo. Ha quasi 38 anni e diventa così il giocatore più vecchio a laurearsi capocannoniere nella storia della massima serie. Una sorta di Benjamin Button del calcio italiano.

Ora l’epilogo, un po’ malinconico, con la retrocessione, l’ultima messa fuori rosa e l’ultima polemica. Un giocatore ingombrante, Luca Toni. Di quelli poco blasonati, che alle critiche sapeva rispondere soprattutto con i gol. Tantissimi gol. In qualsiasi modo. E se gli allenatori a volte non lo hanno capito, i dirigenti spesso in lui non hanno creduto, i tifosi a volte sono stati inutilmente vendicativi, pazienza.

Luca Toni è stato uno dei più grandi centravanti d’Italia, persino del mondo per un determinato periodo. Carlo Mazzone, uno che alla fine della fiera di campioni ne ha sempre capito parecchio, e che ha potuto schierare l’allora giovane modenese accanto a Roberto Baggio in quel di Brescia, commentò veracemente il suo arrivo a Roma: “Non capisco questo scetticismo. Toni è un campione, mica pizza e fichi”. Con il senno di poi, Carletto ci aveva visto lungo.