L'Uomo di Ghiaccio. 5 gol folli di Dennis Bergkamp - Zona Cesarini

L’Uomo di Ghiaccio. 5 gol folli di Dennis Bergkamp

“Dietro ogni calcio al pallone deve sempre esserci un pensiero.” (D. Bergkamp)

Quando penso a Dennis Bergkamp che pronuncia questa frase, me lo immagino come una sorta di monaco shintoista che ha tutto da insegnare ai giovani discepoli di oggi e che, con calma zen e sguardo glaciale, elargisce perle di saggezza calcistica condensate nello spazio di 30 battute. Insomma, se in un mondo parallelo esistesse una Divina scuola del pallone, sulla scia di uno dei più famosi manga degli ultimi 30 anni, Dennis Bergkamp ne entrerebbe a far parte di diritto in qualità di Gran Maestro.

In aiuto di quest’assurda teoria arrivano i cinque colpi speciali di Iceman, come ribattezzato in Inghilterra. Cinque gol che hanno contribuito in maniera decisiva ad elevare lo status dell’imperscrutabile fantasista olandese a bizzarra icona di culto pagano.

Leicester – Arsenal 3-3 (1997/98)

Anzitutto, una doverosa premessa: questo gol arriva a coronare una tripletta spettacolare per forma e contenuto contro un Leicester nel ruolo di sparring partner. Chiudere un hat-trick così e portarsi a casa il romanticissimo pallone Mitre credo sia il sogno di tutti, o quasi. È una prodezza che solo Bergkamp poteva concepire, almeno in questo modo. Sul lancio lungo di Platt a cercare la profondità, l’olandese-non-volante taglia esternamente al centrale delle Foxes: è un movimento classico in un sistema come il 4-4-2 che prevede le due punte.

Ma la magia si concretizza proprio grazie al fatto che quel movimento viene letto abbastanza facilmente dal diretto marcatore, che lo segue accompagnandolo verso la linea di fondo col corpo rivolto quasi di spalle alla porta. Bergkamp ha già in mente la giocata per eludere il difensore e riuscire a concludere in quella brevissima frazione di tempo, senza che un secondo centrale o il portiere si frappongano al suo balletto classico da Bolshoi.

Controllo anestetizzante di collo, col piede destro, il meno indicato in quella situazione ma il più “affidabile”, immediato sombrero mancino a scavalcare il centrale, perfetta lettura dello spazio e del tempo nel toccare appena, ancora col sinistro, il pallone sul primo rimbalzo; infine il piattone destro aperto sotto la traversa. Due tocchi volanti con entrambi i piedi, due tocchi da terra con la stessa tecnica: una coreografia, più che un gol. Eseguita con la glacialità e l’agilità di un killer della Yakuza nonostante le sue leve lunghe.

Lo stesso Bergkamp, per una volta, capisce di averla fatta grossa e si lascia andare ad una bizzarra esultanza adrenalinica. Philip K. Dick si chiede “Gli androidi sognano pecore elettriche?” Forse no, ma probabilmente segnerebbero gol come questo.

Arsenal – Newcastle 2-0 (2001/02)

È il gol più celebre di Dennis Bergkamp, sicuramente uno dei gol più cult da quando esistono le classifiche dei gol. In qualunque stato, in qualunque continente o perfino studio dei corpi in movimento spunterà questa rete contro il Newcastle nel 2002. Perché il senso di stupore misto a morbosa curiosità voyeuristica che si prova davanti a quest’opera astratta rimane immutato oggi come 15 anni fa. Se Kandinskij avesse deciso di ritrarre l’atto del gol a modo suo, probabilmente si sarebbe ispirato a questo concentrato di follia, istinto, tecnica e freddezza.

Perché come le opere del padre dell’espressionismo astratto, anche questo gol è quasi impossibile da spiegare. C’è soltanto da sottolineare che nessuno – né prima né dopo – ha mai più partorito o anche solo pensato una giocata del genere per liberarsi dal diretto marcatore incollato alla schiena. Solo un altro artista istintivo come Edmundo si è avvicinato a questo livello di complessità con il gol contro lo United, ma il suo tocco d’esterno destro a liberarsi di Silvestre è qualcosa di spiegabile. Mentre questa giravolta “controsenso” dopo un assurdo interno mancino, no. Non ancora.

Perché la palla non può girare in quella direzione, e soprattutto Iceman non può aver elaborato una mossa così cerebrale pensando di riuscire a chiudere in gol in uno spazio utile di 1 metro quadrato. Forse solo John Woo sarebbe riuscito a mettere in scena un gol del genere, materiale da Shaolin Soccer più che da Premier League.

Insieme al pallonetto di Maradona di mezzo collo-esterno da 40 metri contro il Verona forma una coppia di reti da studiare scientificamente. Una sfida alla fisica, uno smacco al principio di indipendenza dei moti simultanei.

Olanda – Argentina 2-1 (Francia ’98)

Altro gol che ha segnato un’epoca, quella di Francia ’98. Il Mondiale, palcoscenico per eccellenza di prodezze singole che cristallizzano intere carriere in una ridottissima frazione di spazio e tempo. Vetrina in cui Bergkamp non aveva ancora lasciato un segno realmente tangibile. Cosa che avviene a 29 anni e nel momento più complesso di un quarto di finale equilibratissimo, ovviamente.

Nella realizzazione contro l’Argentina di Passarella c’è la stessa sequenza (e lo stesso pensiero) dietro al gol contro il Leicester di pochi mesi prima. Si può affermare che l’una è figlia dell’altra. E che insieme formano una piccola famigliola di gol schizoidi e geniali. Il lancio in diagonale di Frank de Boer, che taglia tutto il campo, assomiglia a un tomahawk sparato su a due minuti dalla fine nella recondita speranza di un’invenzione casuale. E a chi affidarsi, se non ad Iceman?

“Solito” stop metafisico: il pallone muore sul collo del piede destro dell’olandese, come se esistesse un interruttore on/off dei giri e della potenza della sfera; solito difensore a distanza ravvicinata, stavolta uno arcigno e pronto all’intercetto, Ayala; e capovolgimento della lettura rispetto al gol contro le Foxes: tocco maligno a schiacciare il pallone, facendolo passare tra le gambe del centrale argentino e infine solita glacialità sul rimbalzo: un collo esterno destro spedito nell’incrocio più lontano con una precisione chirurgica.

2-1 a due minuti dalla fine, Olanda in semifinale dopo venti anni e Bergkamp nuovo eroe oranje. Mani in faccia e la corsa emozionata e interrotta di chi sa di essersi tolto di dosso un fardello – quello del grande talento ed eterno incompiuto in Nazionale – grazie a un colpo dei suoi. Per intuire cosa significasse quel gol per i Paesi Bassi, basta alzare il volume e ascoltare lo show del telecronista olandese, affettuosamente ribattezzato “beer cum”. La risposta al gol di Archie Gemmill nel ’78.

Sunderland – Arsenal 0-2 (1996/97)

Nel gol contro il Sunderland ai tempi d’oro dei Gunners scivoliamo in una situazione che lambisce la commedia surreale. Un gol da fumetto, uno slapstick animato da gioco in cortile. Balletto sulle punte spalle alle porta, circondato da maglie rosse che gli si avventano addosso in modo piuttosto caotico ma energico, ruleta essenziale ad incenerire ogni intervento e successiva decisione di puntare dritto in area di rigore.

Ed ecco apparire il primo mantra di Dennis “dietro ogni calcio al pallone deve esserci un pensiero”. Appena entrato in area, con il difensore che copre lo spazio di tiro e temporeggia arretrando, Bergkamp decide che si può comunque tirare sul secondo palo. Lo spazio non c’è, il tempo per caricare un tiro d’interno carico d’effetto nemmeno. Dunque? Niente di più bergkampiano: calcio indefinibile al pallone, mezzo interno e mezzo piatto, con la gamba destra che si muove dritta come un martello su un’incudine.

La palla parte dritta, in traiettoria ascensionale, e finisce la corsa proprio sotto l’incrocio opposto ad una stranissima velocità: né veloce, né lenta. Che cos’è? Una mossa da videogame vintage, forse. Sicuramente non è un calcio a cui siamo abituati. Bergkamp rompe di nuovo le regole: sgretola un canovaccio fatto di decenni di scuole calcio, evoluzioni dello stile di tiro e posizionamento del corpo in rapporto alla sfera. Sembra usare un ferro 5 più che la gamba destra: un diabolico colpo da golf, con David Platt nel ruolo di caddie, che insiste per consegnargli definitivamente il pallone e fare ritorno a casa.

Derby County – Arsenal 1-3 (1996/97)

Se Iceman si è costruito un soprannome del genere buona parte lo si deve a quell’attitudine altera e distaccata che caratterizzava ogni sua giocata in campo. Una glacialità di fondo che difficilmente concedeva qualche sprazzo d’emozione, negativa o positiva che fosse. Un blocco marmoreo di puro talento. Un replicante à-la Roy Batty di Blade Runner, che però non ha ancora preso coscienza dei suoi sentimenti. Non è tempo di morire contro il Derby County, anzi, è tempo di sfoderare il colpo segreto.

Tra i cinque gol selezionati questo è il più “classico”, anche perché Bergkamp in Inghilterra si è costruito una fama parallela come creatore di lob perfetti. Come in Italia resiste il mito del gol “alla Del Piero”, in Inghilterra, a cavallo fra i due millenni, aleggiava nell’aria il “lob alla Bergkamp”. Uno spettro che spesso faceva la sua apparizione, improvvisa come una folata di gelido vento atlantico, sui campi della Premier.

In questa confusissima azione, tipica di una Premier League demodé e poco cool, la partita viene sbloccata dall’olandese con un colpo sotto micidiale per rapidità di pensiero, precisione e pulizia d’esecuzione. Nel flipper caotico e sbilenco che si scatena al limite dell’aria, Bergkamp fa capire chi è il Maestro mettendo ordine e cancellando lunghi secondi di calcio imbarazzante con un pallonetto che oggi sarebbe materiale da videotutorial sui lob. È spalle alle porta, col solito difensore attaccato alla schiena, la palla schizza lontana in uno spicchio d’area vuoto ma The Dutchman sa già cosa fare mentre la rincorre.

Si piega leggermente all’indietro, ruota attorno al pallone e scava sotto. Palla morbidissima, esattamente all’incrocio opposto. Portiere che si dispera come se avesse assistito a qualcosa che non si può proprio prevedere su un campo come quello del Derby. È l’ennesimo colpo ad effetto che unisce maestria tecnica e arte del pensiero, calcolata efficacia ed estetica. Se Toki non avesse subito le radiazioni, sarebbe stato il più forte di tutti. Ma se avesse avuto un discepolo, sarebbe stato olandese.