Tutti dicono Lapadula - Zona Cesarini

Tutti dicono Lapadula

È il calciatore italiano del momento: alle soglie degli Europei e con il suo Pescara lanciatissimo verso l’approdo in Serie A, Gianluca Lapadula è il nuovo hype di un movimento che ha un disperato bisogno di talenti offensivi. Eppure la sua storia è singolare: ha già compiuto 26 anni e ristagnato in un acquitrino di categorie minori e ritardi prolungati; fino allo sbarco sulle rive dell’Adriatico alla corte di un allenatore giovane e con un’idea di calcio controcorrente.

Se 10 mesi fa un qualsiasi tifoso, appassionato, nerd, opinionista, allenatore o osservatore avesse fatto il nome di Gianluca Lapadula come papabile per la Nazionale di Conte o per prendere parte alla Copa América del centenario con la maglia del Perù, sarebbe stato silenziato in un limbo di imbarazzo e sberleffi diffusi da parte di opinione pubblica e addetti ai lavori. Eppure, appena 10 mesi dopo, il quadro statistico dell’attaccante del Pescara risulta sbalorditivo: 30 gol e 12 assist in stagione. E perfino il banale soprannome di “Higuaín della B” non rende piena giustizia ad un attaccante sui generis.

Perché Sir William, soprannominato così a causa del suo secondo nome, è la rappresentazione plastica del talento dimenticato, sottostimato e infine affannosamente rincorso come nuovo golden boy. Una carriera di secondo e terzo piano, impantanata in un calcio spesso speculativo o miope, e improvvisamente svoltata alle soglie della maturità. Grazie anche ad un cambio di ruolo che l’ha reso attaccante anomalo e completo. E soprattutto affamato. Tenendo fede alle origini andine della madre, la caratteristica che tracima nel vedere all’opera questo 11 che veste il 10 e gioca come un 9, è la garra.

Motivato, umile, feroce. Il calcio di Lapadula è materiale aggressivo. Una scarica elettrica: tagliente come un riff di Jimmy Page. A Pescara è partito come un underdog, per prendersi la scena grazie ad una squadra che pare plasmata sulle sue caratteristiche: possesso palla, dominio dello spazio, costruzione palla a terra e continui smarcamenti, alternativamente ad attaccare la profondità o a venire incontro per la ricezione creando spazi per i tagli alle spalle dei centrali avversari. Massimo Oddo, il campione del mondo che tutti ricordano per un’intervista post-finale in perfetto stile Una Notte da Leoni, è maturato.

Ha modellato una squadra inusuale nell’universo retrivo della serie B. Un collettivo che esalta le caratteristiche di Sir William e che a sua volta viene esaltata dalle giocate dell’italo-peruviano nato e cresciuto a 500 metri dal mitico Filadelfia. Perché quello di Lapadula è stato un percorso di formazione tipico del pattern narrativo del self-made man più che del predestinato.

Nessuno, o quasi, ha davvero creduto nelle qualità di un giocatore di talento ma non troppo. Una parabola à-la Walter White di Breaking Bad, senza cadaveri e meth però, con il plot-twist che coincide con una fuga all’estero dal sapore di ultima spiaggia in un eremo marginale del calcio europeo: Nova Gorica.

Uno di quei luoghi dove il treno delle grandi occasioni somiglia più a un fiacco regionale in perenne ritardo che a un TGV. Ma che dimostra come con applicazione, fame e un allenatore lungimirante anche il più recondito dei club possa comunque valere una chance spendibile ad alto livello. L’ex Parma Luigi Apolloni è l’uomo del (ri)lancio di Gianluca: lo accoglie, gli dà piena fiducia e lo piazza esterno destro in un tridente veloce, all’interno di un campionato che vive di pochissime pressioni e di una cifra tecnica modesta, consegnandogli quell’occasione mai davvero arrivata in patria. Alla ricerca del tempo perduto.

In Slovenia, a 24 anni, Lapadula segna ma non troppo (14 gol tra campionato e coppa). Appare come il classico attaccante di buon livello, adatto a un palcoscenico come la Lega Pro o la B. Eppure è proprio l’esperienza mitteleuropea che fa da detonatore per un talento passato inosservato, uno che ha sempre subordinato se stesso al calcio. Come quando entrò nelle giovanili della Juventus, di cui è tifoso, arrivando a fare il raccattapalle al Delle Alpi all’ombra dei suoi idoli Del Piero e Zidane e perdendo l’occasione a causa di un rendimento scolastico disastroso.

Abbandona gli studi appena conclusa la terza media, lavora come ragazzo delle consegne nel negozio di fiori dei genitori, poi passa alla bancarella di dolciumi dello zio, presentandosi la mattina al mercato centrale di Porta Palazzo. A 15 anni Gianluca rincorre un’affannosa indipendenza, distante anni luce dall’immagine edonista del calciatore pro. Intanto sgomita nella mediocrità calcistica, senza lasciare un segno tangibile di quel suo sinistro affilato come un rasoio.

È il tipico talento di periferia perso per strada, l’ennesimo racconto da bar di quartiere di un calciatore fortissimo che non ha colto l’occasione o l’ha malamente sprecata. E invece, tra prestiti infruttuosi tra Atletico Roma e Ravenna, qualcosa accade cambiando nazione: San Marino. A 22 anni, il mancino tagliente di Lapadula fa a fette le difese di Lega Pro come la katana di Hattori Hanzo gli arti degli 88 Folli.

È da queste parti che fa intravedere, per la prima volta, un potenziale di spessore: gol (24), assist (9), giocate nello stretto e un bagaglio completo di soluzioni: dal tiro da fuori all’acrobazia, fino ad un’innata capacità di coordinarsi e concludere in porta col sinistro in una frazione di secondo. Alcuni gol ricordano da vicino le giocate del Piojo Claudio López.

(credits: LaPresse/Gerardo Cafaro)

Tralasciando i paragoni tecnici col passato, arriveranno però altri due anni in prestito – con zero gol – a sottolineare le difficoltà endemiche di un giocatore che dimostra colpi, ma non continuità e forza mentale. Ma come detto è in Slovenia – via Parma – che Gianluca diventa calciatore e finalmente, a 25 anni, si eleva ad attore protagonista. In Lega Pro, a Teramo, dove con 21 gol trascina il club ad un’insperata promozione in B, poi incenerita sotto le ombre della più classica delle indagini estive italiane: una combine nell’ambito del calcioscommesse.

Il Parma, proprietario del cartellino, sta intanto vivendo il farsesco psicodramma-Manenti, con la società che scompare e riparte dai dilettanti. Lapadula, proprio quando stava per spiccare il volo in serie cadetta, si trova nuovamente in uno scenario caotico a tinte fosche. Si svincola, e il Pescara lo convince immediatamente. Va a giocarsi la serie B, stavolta con consapevolezza perché il percorso formativo è finalmente completato.

Il resto è cronaca: Oddo, dopo un discreto primo mese come seconda punta nel 4-3-1-2, ha l’intuizione tecnica dell’anno e lo piazza centravanti nel suo 4-3-3 dal tridente “piuma”, nonostante un fisico da seconda punta (1,77 per 69 chili), circondandolo di giocatori perfetti per esaltarne le caratteristiche: Caprari, Memushaj, Verre e Pasquato sono, per diverse ragioni, i componenti che formano un motore agile, tecnico e scattante.

E Lapadula ci mette del suo. Segna tantissimo, e soprattutto dà l’impressione di essere una prima punta atipica senza reali limiti tecnici: segna di testa, da fuori, dopo prolungati dribbling a rientrare sul sinistro, in ripartenza, con tagli in profondità ad eludere il fuorigioco, sottomisura, perfino su punizione e in rovesciata. Una maturazione improvvisa, quasi violenta. A Pescara, l’ex garzone dei mercati torinesi diventa una star grazie ad un impianto di gioco coraggioso che rifugge il risultato ad ogni costo per imporre un dominio di gioco e spazio in un campionato dalla qualità media piuttosto limitata, ma oltremodo ostico.

È la tessera finale del puzzle: Lapadula esplode definitivamente mettendo a referto numeri monstre. 11 gol da ottobre a Natale, poi una progressione inarrestabile al ritorno dalla sosta: 17 reti da gennaio a maggio, senza calciare rigori. Per usare un’espressione tipicamente sudamericana che descrive la situazione meglio di tante altre: Lapadula è bárbaro. Infatti l’eco dei suoi gol rimbomba fino alle Ande. E il Perù si mobilita insieme al ct della Blanquirroja, Gareca, che spinge per averlo a disposizione già in Copa América facendo leva sulla nazionalità della madre.

Sir William, però, ha un sogno recondito: la maglia dell’Italia. Perché, come ha spiegato più volte, in Perù non ha mai messo piede e non si sente peruviano per quanto onorato delle chiamate oltreoceano. Lapadula, toccando quota 30 gol e risultando decisivo in ogni partita dei play-off di B, è ormai il nuovo desiderata del calcio italiano: il soldato Ryan da salvare dalle pressanti attenzioni incrociate che arrivano dalla Premier League dei milionari (Tottenham) e dalla nazionale peruviana. Si è mossa la Juve, si muove la Lazio e pure il Milan: è nei pensieri di tutti.

Ancora non ha giocato un minuto in Serie A, eppure è già stato investito dello scomodo ruolo di next big-thing che con un colpo di spugna può risolvere o alleviare le molteplici incognite di una generazione italiana dal talento in buona parte perduto. Eppure, analizzando la sua carriera e l’annata sulle rive dell’Adriatico, pare il ruolo che meno gli si addice. Per motivi sia tecnici che caratteriali.

Lapadula è l’ennesima dimostrazione di come lavoro, idee, tempo e applicazione siano elementi moltiplicativi del talento di base: buona parte del merito, in questo processo, è ricoperto dalla visione tanto anticonformista quanto ambiziosa di Massimo Oddo.

Uno che all’esordio da allenatore in prima squadra ha seminato, aspettato e infine raccolto pazientemente i frutti di un profondo lavoro tattico e mentale a livello collettivo spingendosi oltre le sue stesse speranze; consolidando una visione di calcio personale che fa rima con progettualità e coraggio, mai con contingenza e assillo. La sua filosofia di gioco è celebrazione dei singoli all’interno di un preciso sistema associativo, mai viceversa. Un metodo che affonda le sue radici nel corso della passata stagione, spesa alla guida della Primavera bianco-azzurra.

Oddo ai tempi della Primavera del Pescara (2014/15)

Un ribaltamento dei canoni del sistema-calcio italiano, già pronto a strombazzare il nuovo fenomeno della B come salvatore della patria di un’Italia alla disperata ricerca di talenti offensivi. Quei talenti spesso abbandonati o bruciati in nome di un risultato immediato, che oggi vagabondeggiano tra prestiti più o meno fruttuosi in giro per l’Italia, masticando la polvere di serie minori mai valorizzate e misurandosi in tornei e strutture di scarso livello.

Quelli come Gianluca Lapadula, antieroe dimenticato ai margini dell’impero e nuova figura cristologica dalla missione salvifica. Basterà un sinistro diabolico ad esorcizzare i peccati di un intero sistema?