Potrei ma non voglio: Andreas Herzog, la speranza austriaca - Zona Cesarini

Potrei ma non voglio: Andreas Herzog, la speranza austriaca

“Anche la follia merita i suoi applausi”. (Alda Merini)

Andreas Andi Herzog è stato uno dei migliori trequartisti europei degli anni ’90, e quasi nessuno si ricorda di lui. Se la sua testa non fosse stata dura come la roccia che compone il Großglockner, il picco più alto della natia Austria, forse il suo personaggio sarebbe venerato alla stregua di Lampard o Gerrard. Perché Herzog era 10 anni avanti ai pariruolo dell’epoca, ed era in grado di fare di tutto con un pallone tanto quanto lo erano i due fenomeni inglesi. Eppure nessuno o quasi si ricorda di lui, che fino al poco tempi fa svernava come vice di Klinsmann sulla panchina del team USA.

Andi nasce nel 1968 a Vienna, a ridosso della Domgasse, la via che ospita la casa dei soggiorni capitolini di Wolfgang Amadeus Mozart. Il padre Anton Herzog era il regista della gloriosa Admira Vienna, che sarebbe poi collassata sotto una montagna di debiti di lì a soli tre anni, ed era soprannominato der Narr – il matto – per le sue giocate tanto irriverenti quanto inutili con cui era solito allietare il pubblico del Bundesstadion.3Visto che la mamma se n’è andata via di casa senza troppe cerimonie, Andreas cresce seguendo da bordo campo ogni esibizione di papà Anton, alternando ottime prestazioni (ha un QI elevatissimo) sui banchi della scuola del Südstadt ad esaltanti performance calcistiche nelle giovanili dell’Admira Wacker, società nata dalle ceneri dell’Admira cara al padre Anton, con sede nella Bassa Austria.

Ben presto, nel 1983, le sorprendenti giocate gli valgono la chiamata che tutti gli sportivi austriaci sperano di ricevere un giorno: quella del Rapid Vienna.

“Fui segnalato a Ludwig Huyer da un ex compagno di squadra di papà nonché padre di un caro amico. Papà non si oppose al trasferimento, anche se il suo sogno era vedermi in Bundes con l’Admira: sapeva che così avrei guadagnato qualche soldino, e oltretutto mi sarei messo alla prova in una squadra in cui sarei stato solo uno dei tanti e non la stella. Fui subito aggregato ai più grandi: ero spaventatissimo e non mi sentivo certamente all’altezza”.

La prima convocazione coi grandi del Rapid avviene già nel 1985, quando Andreas è considerato un astro nascente dell’arido movimento calcistico austriaco. Se il padre era famoso per la tecnica di base ma anche per la poca mobilità, diverso è il discorso per il figlio: alto, rapido e slanciato, Andreas pare disegnato per giocare a calcio. La tecnica, poi, non tradisce il dna: ha un sinistro morbido che gli permette di trovare soluzioni di ogni genere. L’ascesa è tanto roboante quanto inevitabile, con i media che già incensano il ragazzino delle giovanili, paragonandolo a un altro ventenne sulla cresta dell’onda: Ruud Gullit.

Si, insomma: il tiro di Andy non era troppo preciso o potente…

Il primo a credere in lui è il santone del calcio d’oltralpe Vlatko Markovic, che lo aveva visionato in un match delle giovanili contro l’Innsbruck, decidendo di convocarlo per il ritiro estivo assieme alle altre stelline della squadra Juniores: Funki Feurer, Heri Weber, Hans Krankl e Reinhard Kienast (che presto sarebbero diventati colonne della Nazionale). In vacanza a Jesolo col padre, Andi si vede costretto ad intraprendere uno sfiancante viaggio in auto nella notte alla volta di Vienna per presenziare all’allenamento mattutino di Vlatko.

Dopo un anno fatto di una manciata di partite tra la prima squadra e il First Vienna (squadra cui Andreas viene prestato per 6 mesi), la crisi finanziaria della società agevola il debutto nella mischia del calcio professionistico. E quasi subito arrivano le prime chiamate dai top team europei: per il 18enne del Rapid si muovono Juventus, Fiorentina e Atlético Madrid, speranzosi di aggregarlo per un anno alle giovanili, per poi proporlo in prima squadra.

Contro il parere di tutti, però, Andreas decide di declinare le offerte e rinnovare col Rapid, nella speranza di giocare da subito: “Cazzo, si chiama giocare a calcio, non guardare giocare a calcio”, è il suo lapidario e schietto commento a una tv locale.andreas-herzogwerder-bremen-picture-id52933803Insieme al titolo di miglior giovane dell’anno nel 1988 arriva pure la prima convocazione in Nazionale austriaca. Dopo aver giocato poche partite con l’Under 21, Andreas si ritrova titolare in una nazionale non particolarmente brillante ma in ascesa. Nonostante un infortunio al legamento che lo frena per 5 mesi, per lui si aprono ancora le porte di top team europei come l’Inter e il Real Madrid. E, ancora una volta, le avanches vengono respinte al mittente.

“Risposi loro che mi dovevano come minimo raddoppiare l’ingaggio. Altrimenti, che senso aveva? A Vienna potevo avere qualunque cosa e senza sforzo alcuno. Ernst Dokupil (tecnico del Rapid) mi concedeva di tutto, e forse per questo otteneva così tanto da me”.

Tuttavia, nel 1992 – dopo 174 partite con 37 gol nel Rapid – il Werder Brema di Otto Rehhagel riesce ad acquistarlo. Sono due i motivi per cui Herzog decide per un club tedesco di seconda fascia. Il primo, è indubbiamente l’insistenza di Andreas Huyer, ex compagno di Herzog al Rapid nonché affezionatissimo amico fuori dal campo. Il secondo, il fatto che i top team europei abbiano cominciato a notare come il carattere di Andreas fosse passato dall’esser definito “di temperamento” a “semi-ingestibile”.

Andreas è forte, fortissimo. La tecnica continua a migliorare e il dinamismo non manca mai. È sia un ottimo terminale offensivo che un invidiabile assist-man. Eppure, sono sempre più insistenti le voci che parlano di scoppi d’ira eccessivi, fughe dai ritiri a notte fonda, accesi litigi con lo staff, entrate pericolose in allenamento e limiti di velocità frantumati sulle superstrade che circondano Vienna.endspiel-um-den-dfbpokal-in-berlin-sv-werder-bremen-bayern-mnchen-65-picture-id548153309Timoroso che il figlio si perda a causa di un carattere tanto deciso quanto poco incline alla mediazione, unito ad un lifestyle sregolato, il padre Anton spinge il figlio ad accettare le lusinghe del Werder. In fondo, un cambio d’ambiente può essere salutare per chi si ritiene estraneo ad ogni legge o regola.

E pensare che nell’ultimo anno Andreas aveva vinto il duello in Coppa UEFA contro Lothar Matthaus, affrontato in un doppio confronto tra Rapid Vienna ed Inter. Ed è proprio il fuoriclasse nerazzurro, assieme al capitano Giuseppe Bergomi, a consigliare il suo acquisto alla dirigenza interista, sussurrando all’orecchio di Andreas l’auspicio di vederlo presto in Italia.

“Tornando nello spogliatoio, fui fermato dai dirigenti nerazzurri, capeggiati da Matthaus e Bergomi. Da un lato ero triste per il risultato delle partite, dall’altro euforico per l’interesse dell’Inter. Non se ne fece poi nulla: avevo la fama di bon-viveur, e soprattutto avevano già in rosa 3 stranieri (Matthaus, Brehme e Klinsmann) e avrebbero dovuto prestarmi al Bologna. Ma non avevo voglia di svernare chissà dove. In Austria ero già qualcuno.”

I due allenatori chiave per Andreas sono stati Josef Hickersberger e Otto Rehhagel. Il primo lo ha convocato per i Mondiali del ’90, e il secondo è intervenuto – su consiglio di Hicke – telefonando ad Andi durante la sua ultima stagione al Rapid, quando lo stile di vita del ragazzo ne stava compromettendo le prestazioni. Ed è sempre lui che si ricorda – un anno dopo – di quel ragazzo talentuosissimo che ha solo bisogno di essere riportato sulla retta via, spingendo la titubante dirigenza del Werder ad acquistarlo.1998_11_gTuttavia, va detto che i primi tempi a Brema non sono facili per il giovane austriaco: Andreas pare aver perso lo smalto, nonostante la fiducia di cui gode presso il tecnico. A soli 22 anni, sembra destinato ad una mesta carriera da profeta in patria. Non segna, e pure i dribbling sembrano meno precisi e secchi del solito. In parole povere, il suo gioco senza la consueta irriverenza risulta sterile e fiacco. Sembra quindi scontato il rientro al Rapid. E invece, ancora una volta, Andi soprende tutti:

“Mi ero convinto che fosse tutta colpa delle scarpe. Il Werder mi aveva imposto quelle dello sponsor. Frustrato, mi feci portare dal mio amico Huyer i miei scarpini storici che erano rimasti a Vienna. Ricominciai immediatamente a segnare”.

Ben presto, Andreas s’impone come uno dei migliori trequartisti della Bundes. Il primo anno chiude con 10 gol e 16 assist all’attivo, contribuendo in modo decisivo alla conquista della Bundesliga. Il secondo anno è ancor più prolifico: Herzog non gioca semplicemente, inventa calcio. Tanto che per lui sembra scontato il titolo di giocatore dell’anno. Titolo che invece va ad Andreas Köpke, portiere del Norimberga, suscitando sdegno nei tifosi e nella dirigenza del Werder.

Andreas segue così il consiglio di Rehhagel e non si presenta alla serata di gala della premiazione. Per la stampa diventa “Andi die jähzornig(letteralmente Andi l’irascibile). Per i tifosi è il capro espiatorio di un movimento ormai ritenuto “marcio” anche a causa dei continui scandali che coinvolgono i calciatori. In poche parole, Andi è diventato il Balotelli austriaco, colui che raccoglie in sé tutti i peggiori cliché che accompagnano i calciatori: viziato, arrogante, irriconoscente e dallo scarso intelletto.t05_a_herzog_en,property=originalNonostante la cattiva fama, l’ascesa di Andreas è però inarrestabile: Sir Alex Ferguson lo ribattezza il “Maradona delle Alpi”, mentre per i suoi tifosi diventa il Mozart del calcio, cosa che fa imbestialire il mentore Otto Rehhagel:

“Più che Mozart, preferirei ti chiamassero Wagner: meno sregolatezza, più disciplina!”.

Nel 1995, infine, Rehhagel passa al Bayern Monaco portandosi dietro Herzog. Il club viene presto rinominato Hollywood FC, per la quantità eccessiva di prime donne e maschi alpha presenti in rosa. Oltre ad Herzog, infatti, ci sono Jean-Pierre Papin, Jurgen Klinsmann, Lothar Matthäus, Thomas Helmer, Ciriaco Sforza e il genietto Mehmet Schöll. Se il Bayern in Coppa UEFA vola, in campionato fa fatica e rapidamente lo spogliatoio collassa.

Andreas gioca una trentina di partite da titolare, ma è l’ombra del 10 ammirato. I tifosi del Werder bruciano la sua maglietta sugli spalti durante lo scontro diretto, mentre i compagni progressivamente lo isolano per quel suo atteggiamento a loro dire superficiale e mai coinvolto. La crescente frustrazione dei compagni sfocia infine in un gesto emblematico: il portiere simbolo dei bavaresi, Oliver Kahn, lo spintona platealmente dopo una mancata chiusura difensiva. Le dichiarazioni dei compagni a fine partita – che si schierano unanimamente con Ollie – fanno capire ad Herzog che il suo tempo al Bayern è scaduto.

“L’esplosione di Kahn è stata il culmine. Eravamo molto amici, mi ha ferito e colpito profondamente. Da lì ho capito che dovevo tornare al Werder per sentirmi nuovamente al centro ed importante. Non sono mai riuscito a sopravvivere negli spogliatoi nei quali non fossi io il maschio alpha”.

Arrivano infine i Mondiali di Francia ’98: Herzog è considerato una delle potenziali stelle del torneo, ed è atteso alla definitiva consacrazione. Ha 30 anni, e diverse stagioni da protagonista in Bundesliga. Eppure il suo sogno dura una manciata di partite, complice un infortunio al piede di 9 mesi prima e mai realmente guarito, che gli impedisce di calciare e spingere la corsa come vorrebbe.

Per Andi, ancora una volta la colpa è delle scarpe, e ovviamente dell’allenatore. Dirà infatti in conferenza stampa:

“La colpa è delle mie scarpe: le hanno rivestite in carbonio solo sopra e ai lati, non pensando che gli ottimi giocatori ricevono la maggior parte dei colpi da dietro. Riguardo all’eliminazione posso solo dire che Prohaska è un imbecille per avermi impiegato così poco”.

Nel 1999, arriva la seconda coppa di Germania col Werder. Durante la partita, i giocatori del Bayern entrano talmente duri su di lui che la settimana seguente, al suo matrimonio, Andreas è costretto a presentarsi in stampelle. Un versamento profondo 8 cm gli ha infatti spinto in fuori nervi e legamento, provocandogli dolore ed impedendogli di camminare da solo. I legamenti non guariranno mai definitivamente, saltando nell’estate del 2001, durante un match di beach soccer cui partecipa, ovviamente, senza il placet della società.

Quando nel 2002 attacca al muro durante un’amichevole il nuovo tecnico Klaus Allofs, è chiaro a tutti che c’è un limite di tollerabilità comportamentale anche per le bandiere. Ormai 34enne, il record-man della nazionale austriaca (chiude nel 2002 con 103 presenze) decide di tornare a casa, al suo Rapid. E ancora una volta le polemiche non mancano: ha una clausola ad hoc che a 25 presenze rinnova automaticamente il suo contratto per una stagione.Andreas_Herzog_-_Teamchef_Österreich_U-21_(05)Pressato dalla dirigenza, coach Hickersberger lo relega in panchina dopo 24 incontri. Nonostante l’ottima posizione in campionato del Rapid, Herzog spinge il presidente – nonché vecchio amico – a licenziare in tronco direttore tecnico ed allenatore. E la cosa puntualmente avviene: Andreas gioca 40 partite, ma lo spogliatoio collassa. La squadra giunge ottava (peggior risultato di sempre) e il pubblico lo critica così tanto che a fine campionato Andi decide di non rinnovare e di andare a svernare in America, sponda Los Angeles Galaxy.

Nel 2004 arriva il ritiro del più grande talento austriaco di sempre. Che avrebbe potuto fare molto di più, ma che è sempre stato fedele a se stesso, soprattutto nelle esagerazioni e nelle bizzarrie. Coerente fino in fondo, nonostante quel carattere spigoloso che ha compromesso buona parte del talento. Peccato non averlo visto ad altissimi livelli. Peccato che troppe volte abbia parlato più la sua lingua, che il suo sinistro.

“Herzog avrebbe potuto giocare tranquillamente coi Galacticos.” (Zinedine Zidane dopo il suo ritiro).