Mario Götze, il ritorno del bambino - Zona Cesarini

Mario Götze, il ritorno del bambino

Mario Götze ha solo ventiquattro anni, ma per quello che è successo nella sua carriera potrebbe averne il doppio: solo due anni fa era sul tetto del mondo, mentre ora la gloria sembra essere stata risucchiata nel passato. Passato verso il quale si sta voltando in questi giorni con il ritorno al Borussia Dortmund che lo ha lanciato e con cui ha iniziato a giocare quando aveva soltanto otto anni.

Nel passato c’è soprattutto la vittoria mondiale contro l’Argentina grazie al suo gol, uno status da star che era sembrato così vicino da pensare che bastasse allungare una mano per afferrarlo. E invece no, ecco arrivare due anni di difficoltà e un Europeo che poteva essere l’occasione per risalire e invece è stata un’altra delusione.

Amarezza bavarese

Sembrava che la telefonata di maggio con il suo nuovo allenatore, Carlo Ancelotti, avesse dato fiducia al ragazzo con la faccia da bambino. Mario si era detto convinto di potere trovare lo spazio in squadra che con Guardiola ormai era diventato un’utopia. Il catalano lo aveva voluto e poi dimenticato in fondo alla panchina, nonostante l’immenso talento e il fatto che fosse un giocatore perfetto per lo stile di Pep.

Giocatore associativo, baricentro basso, tecnica sopraffina, Götze però ha trascorso i tre anni al Bayern in una situazione di instabilità, senza mai trovare un posto come titolare fisso anche a causa della talentuosissima concorrenza.

Per un giocatore con le sue caratteristiche ha passato troppo tempo seduto in panchina, a causa degli infortuni, dei dubbi sulla sua adattabilità al gioco del Bayern e dell’enorme pressione. Il suo miglior pregio è anche la sua più grande debolezza: la capacità di giocare sia come falso centravanti che in diversi ruoli come centrocampista offensivo significa che è un’opzione per posizioni differenti ma non è disegnato su misura per nessuna di esse, cosa che gli ha impedito di ritagliarsi uno spazio importante nella squadra di Monaco.

Le speranze di Mario potevano risvegliarsi con l’avvicendamento in panchina tra Guardiola e Ancelotti, ma come riportano in tono ironico le pagine dello Spiegel, forse la telefonata in inglese tra Mario e l’ex allenatore del Real ha portato solo a un’incomprensione linguistica, risolta in fretta da Karl Heinz Rummenigge. Il dirigente del Bayern, leggenda del calcio tedesco, in passato non aveva risparmiato critiche dovute alla mancanza di determinazione e all’atteggiamento di Mario in campo e non ha esitato a ufficializzare la trattativa: il talento inespresso del bambino torna al Borussia Dortmund, il club che lo aveva cresciuto, con cui ha vinto tanto e che aveva abbandonato soltanto tre anni fa.

Tornano adesso alla mente le polemiche dei primi giorni, che ora sembrano presagi di sventura. La falsa partenza, causata da una gaffe di un’ingenuità imbarazzante, con la maglietta della Nike indossata alla presentazione della maglia di un club sponsorizzato Adidas, non era stato certo il migliore degli inizi.

Gotze al Bayern. Partire col piede giusto

Il Mario di oggi non è cambiato ed è rimasto affezionato alle gaffe, basti ricordare il post su Twitter con le congratulazioni all’amico Marco Reus per la convocazione in Nazionale per Euro 2016, poi mai arrivata causa infortunio. Ci si augura che il vizio gli passi e che nella sua nuova avventura con il Borussia possa gestirsi meglio anche in queste sfumature.

Nel calcio veloce e ipertrofico di oggi i trionfi di Dortmund e l’incredibile Champions League 2012/13 giocata a tutta birra con l’amico Reus sono ormai storia vecchia, ma il nome di Mario Götze resterà per sempre nella memoria del popolo tedesco, insieme a quelli di eroi del calibro di Helmut Rahn e Gerd Müller.

L’apoteosi mondiale

Il ventiduenne Götze perde presto il posto da titolare nel torneo brasiliano, dopo le prime incoraggianti prestazioni contro Portogallo e Ghana, squadra contro cui mette a segno il suo primo gol mondiale. Il punto più basso viene raggiunto il giorno della storica semifinale con il Brasile finita 7-1, a cui assiste senza nemmeno alzarsi dalla panchina. Una vera beffa per lui, che della sua prima sfida contro i verdeoro conserva un ricordo stupendo, quello del suo esordio da titolare in Nazionale, con gol, in un’amichevole datata 2011.

Nella partita più importante, però, ecco l’occasione di mettersi in mostra. L’allenatore della Nazionale, Joachim Löw, lo fa entrare a dodici minuti dal termine dei regolamentari, con la partita bloccata sullo 0-0. Al Maracanà fa un caldo impossibile, il veterano Miroslav Klose boccheggia, deve fare spazio al bambino. Mario Götze da Memmingen si sente sussurrare la frase “Fai vedere al mondo che sei migliore di Messi” al termine del primo tempo supplementare.

Di sicuro Götze percepisce la sconfinata fiducia che Löw nutre in lui, mentre Joachim gli stringe il mento con la mano per incoraggiarlo, come farebbe ad un nipotino impaurito che teme la severità della maestra. Löw sa che l’arroganza di cui viene spesso accusato Mario è solamente la maschera esteriore che il giovane indossa per nascondere la sua timidezza, e sa anche che per esprimersi al meglio ha bisogno di sentire la fiducia di coloro che lo circondano.

“Ho sempre una buona sensazione riguardo a Mario. Götze è un ragazzo miracoloso, un ragazzo prodigio. Può giocare in qualsiasi posizione davanti. Io so che lui è sempre in grado di decidere una partita, e ha segnato un grande gol”.

L’incontro con la storia avviene al centotredicesimo minuto. L’azione decisiva parte da Schürrle, il migliore amico di Mario tra i colleghi insieme a Reus, anche lui arrivato al Borussia in questa sessione di mercato. Schürrle scatta sulla sinistra, palla al piede, imprendibile per chiunque. Mario ha addomesticato il cross che gli è piovuto addosso con uno stop di petto imperioso, poi, mentre la palla scende, l’ha colpita di collo sinistro, sorprendendo Romero e incontrando la rete dietro al palo più lontano.

Si sarà certo ricordato dei suoi inizi, di quando giocava con i suoi fratelli in ogni momento della giornata, allenandosi con entrambi i piedi, pensando sempre a creare qualcosa dal nulla negli ultimi metri del campo, con un assist oppure un gol.

Le immagini di Götze dopo il fischio finale sono stupende: si sistema i calzettoni, guarda lo schermo che trasmette il replay della sua esultanza, si guarda intorno spaesato come se stesse aspettando qualcuno. Chiaramente non i suoi compagni, che a turno si congratulano con lui tra abbracci e schiaffetti affettuosi. A tratti sembra gasarsi, ma sono solo attimi, poi lo sguardo torna a perdersi nel vuoto. Un siparietto con Klose, gli scappa un sorriso.

Eccolo, si è svegliato, ha realizzato. Come non detto. Si sistema i capelli, si asciuga il sudore dalla fronte. Neanche l’abbraccio della fidanzata a bordocampo lo scuote dal torpore. Si avvicina per un attimo ai tifosi, ci si aspetta che vada a stringere qualche mano, che vada a buttarsi tra quelli in prima fila. Niente di tutto questo. Torna in campo, la mano sul fianco, immobile come alla fermata del tram. Gli occhi tornano in alto, verso lo schermo.

Tra poco salirà le scale per andare a toccare la coppa del Mondo che ha appena conquistato, ma ancora la consapevolezza di quello che è successo non è arrivata. Dopo aver stretto la mano a Blatter si guarda intorno, un po’ annoiato, come se fosse in fila per la mensa. Poi capisce che la coppa è lì, da qualche parte vicino a lui, e sbircia in quella direzione.

La gioia e la consapevolezza stanno per arrivare, ma ci vogliamo fermare qui, a un passo dalla gloria assaporata fino in fondo, prima dei festeggiamenti con la maglietta dell’amico Reus (infortunato anche stavolta) da sventolare, prima delle foto con Rihanna. Gli avvenimenti degli ultimi due anni sembrano essere scivolati via proprio come quegli attimi sul prato del Maracanà, in attesa di qualcosa, mentre Mario si guarda intorno smarrito, aspettando che qualcuno gli spieghi cosa sta succedendo.

Euro 2016, il riscatto mancato

Alla vigilia degli Europei è ancora uno dei giocatori preferiti di Joachim Löw ed è il falso nueve che serve alla Germania orfana di un certo Klose. Löw ha continuato a sostenerlo, sa che le sue qualità tecniche sono notevoli così come la capacità di decidere le partite creando situazioni dal nulla, spostandosi velocemente in un fazzoletto di terra. Sa anche che per quanto concerne la rapidità Mario ha perso qualcosa a causa dell’ultimo infortunio, e che purtroppo per il bambino la Germania è piena di giocatori offensivi che possono proporsi come alternative.

Götze con Löw spesso esce dalla panchina e non si può fare a meno di pensare che – sia il giocatore che l’allenatore – si aspettassero una conquista di un ruolo imprescindibile dopo il trionfo di due anni fa. Con Reus non convocato per problemi fisici, le possibilità di Götze di giocare spesso aumentano improvvisamente, sembra essere arrivato il momento di essere decisivo con continuità.

Il ventiquattrenne Mario ha iniziato il torneo come falso centravanti, giocando davanti ai tre centrocampisti offensivi contro l’Ucraina, non ha lasciato però traccia di sé, eccezion fatta per un tiro in porta addomesticato da Pyatov. Bastian Schweinsteiger, subentrato al bambino nel finale, è riuscito a segnare nei tre minuti trascorsi in campo.

Nella seconda partita, contro la Polonia, Götze è stato schierato ancora come centravanti, ha deluso di nuovo ed è stato sostituito nel secondo tempo. Alla fine, contro l’Irlanda del Nord è stato messo a sinistra nell’attacco, fra i tre davanti. Tristemente, non è riuscito a produrre niente di significativo.

Ha tirato un paio di volte addosso al portiere in uscita bassa e nel primo tempo dalla linea di fondo è riuscito a mettere in mezzo un buon pallone per Müller che ha colpito la traversa. Poco prima si era trovato tra i piedi un pallone da calciare al volo vicino alla porta, ma il suo tentativo era finito in tribuna. Nel secondo tempo ecco arrivare un’altra occasione sprecata, finita con una deviazione nell’area piccola sbagliata clamorosamente.

Peter Hyballa, allenatore di Mario nelle giovanili del Borussia, dice che le sue capacità in dribbling sono peggiorate, e guardando ai palloni persi contro l’Irlanda del Nord non gli si può dar torto. Götze sembra avere una potenza maggiore che coincide però con una minore velocità, conseguenze dell’ultimo infortunio all’adduttore. Nelle prime due partite a eliminazione diretta, contro Slovacchia e Italia, non ha neanche visto il campo.

Poi, nella semifinale contro la Francia, in una squadra orfana di Gomez è entrato nel corso del secondo tempo, quando più contava. Non sappiamo se Löw gli ha ricordato il suo ingresso decisivo di due anni prima, ma se lo ha fatto non è servito a molto. Il bambino è parso l’ombra di se stesso, ha vagato per il campo senza incidere, e la Germania è tornata a casa a testa bassa.

Il ritorno del figliol prodigo

Adesso Mario tornerà a Dortmund dove cercherà di ripetere le prestazioni che qualche anno fa avevano fatto impazzire i tifosi del Borussia. I ricordi più dolci sono legati alla Champions 2012/13, conclusasi con la finale contro il Bayern saltata per infortunio. Qualche mese prima era arrivato il suo primo gol in Champions, messo a segno in una partita indimenticabile contro l’Ajax nel girone. Il bambino aveva incantato nella serata di Amsterdam, mettendo lo zampino in tutti i gol della sua squadra.

Il Götze visto all’opera agli ultimi Europei sembra il lontano parente del fenomeno ammirato con i gialloneri, ma forse ora si è stancato di guardare gli altri giocare e di aspettare una consacrazione che non arriva mai, e insieme a Reus tornerà a dominare come un tempo. Solo così potrà far dimenticare il bellissimo gol dell’ex messo a segno nello stadio che lo aveva tanto amato, che negli ultimi anni lo ha disprezzato e adesso, come spesso accade, è pronto a ricominciare a sognare insieme a lui.

Sa bene che il distacco è stato brutale, con l’annuncio del suo passaggio ai rivali del Bayern arrivato in un momento delicato della stagione, prima della semifinale di Champions contro il Real Madrid e della finale persa proprio contro i bavaresi. Non mi nascondo, quando tre anni fa sono andato via la mia era una decisione consapevole. Ora, a tre anni di distanza, guardo quella scelta con occhi diversi e capisco perché tanti tifosi allora non riuscirono a comprendermi. Sono tornato a casa e voglio provare a riconquistare tutti con le mie prestazioni”.

Non sarà un ritorno alla Lebron James, ma insieme a Reus e Schürrle il bambino in eterna attesa potrebbe davvero ritrovarsi e far pentire chi non ha voluto credere in lui.