Kurban Berdyev, essere senza apparire - Zona Cesarini

Kurban Berdyev, essere senza apparire

La sera del 3 Agosto sarebbe dovuto cambiare tutto. La società è già stata informata che il mancato riconoscimento degli stipendi arretrati a giocatori e staff ha portato Kurban Berdyev a rassegnare le sue dimissioni. In questo clima la squadra scende in campo per giocare il ritorno del terzo turno di qualificazione alla Champions League, diritto arrogatosi grazie al secondo posto ottenuto nell’ultima Prem’er Liga. Ok, ma la squadra in questione è il Rostov Football Club: due anni fa ha chiuso il campionato al quattordicesimo posto salvandosi soltanto allo spareggio. Cosa diavolo ci fa lì?

Per parlare di Rostov, così come per parlare di Rubin Kazan, spesso si inizia e inevitabilmente si finisce tratteggiando i contorni dell’uomo che ha messo queste due realtà sulla mappa del calcio moderno. Il suo nome è Kurban Berdyev e, per chi scrive, è uno dei migliori allenatori al mondo.

Nasce il 25 Agosto 1952 ad Ashgabat, Unione Sovietica. La città non è in Russia, bensì in Turkmenistan, ma l’estrazione familiare è chiaramente russa e i genitori di Kurban sono parte del progetto di “russificazione” che ha coinvolto le province del URSS. Il Turkmenistan non ha un gran rapporto con Mosca, vorrebbe anche tenere l’alfabeto latino (permesso che con l’ascesa di Stalin verrà revocato, per essere poi ripristinato dopo la caduta del regime), si sente molto più vicino alla Turchia che al comunismo sovietico.

Tuttavia il maxi-stato diventa un’opportunità per un giovane centrocampista desideroso di emergere. Inizia a giocare nella sua città ma presto viene portato prima in Kazakhistan, poi in Russia e di nuovo in Kazakhistan dove vive il suo periodo migliore da calciatore. Un pezzo di cuore rimane proprio in uno degli stati più vicini al governo e quando appende gli scarpini al chiodo decide di intraprendere la carriera da allenatore proprio in Kazakhistan.

È lì che inizia a farsi conoscere anche fuori dai confini sovietici, al punto da suscitare l’interesse del Gençlerbirliği in Turchia, dove allena per un anno prima di sentire un incontenibile bisogno di tornare nei suoi luoghi. Verso la fine degli anni ’90 si rivede dalle parti di casa, dove guida il Nisa Aşgabat alla vittoria della Turkmenistan League per la seconda volta nella sua storia. Quest’ultimo risultato lo porta sulla panchina della nazionale turkmena che non è esattamente il sogno di ogni allenatore e dopo un anno riesce a strappare un contratto con il Kristall Smolensk, finalmente in Russia.

Di primo acchito potrebbe sembrare un vagabondare senza senso, un tentativo di migliorare la propria posizione lavorativa cercando anche di accontentare quel pezzo di cuore lasciato tra Turkmenistan e Kazakhistan. La versione di Berdyev è un po’ divergente: Allah ha un piano e lui è soltanto una pedina della grande scacchiera.

Esattamente, Berdyev è un musulmano, un fervente musulmano. Se la telecamera lo inquadra in panchina si può distinguere, intrecciato tra le sue mani, un rosario di legno consumato dal continuo sfregamento che subisce tra le falangi del nostro. “Non si tratta di un rito o di una tradizione. Sento che mentre guardo una partita lo devo tenere con me. Quando non ce l’ho è come se mi mancasse qualcosa, mi sento a disagio. Penso che un musulmano mi capirebbe”. Quelle poche volte che appare in pubblico lo ha sempre con sé.

“Con il rosario sempre nella mano destra…”

Basta una stagione alla guida del Kristall Smolensk (serie B) per convincere Mintimer Shaimiev a puntare le sue fiches sull’allenatore turkmeno. In effetti il signor Shaimiev non è un presidente, o meglio lo è, dal momento che si trova a capo del governo del Tatrstan. Trattasi di uno stato federale russo con capitale Kazan, dove gioca il Rubin, squadra che nel 2001 era invischiata nella seconda divisione russa. Le ingerenze statali nelle vicende sportive sono il pane quotidiano in Russia (il rapporto McLaren ne è l’ennesima prova). Il presidente della squadra è il sindaco di Kazan, mentre il presidente del Consiglio di Fondazione – colui che ha l’ultima parola – è il presidente del Tatrstan.

Berdyev si siede sulla panchina del Rubin Kazan nel 2001 per sostituire a stagione in corso Viktor Antihović. Chiuderà ottavo e la dirigenza decide di investire sul tecnico di Ashgbat concedendogli un’altra stagione. Berdyev lavora attentamente sulla rosa, portando in Tatrstan il georgiano Chaladze per farne il goleador della squadra e l’esperto Sinev per completare la crescita dell’altro centrale Roman Sharonov.

Inizia ad intravedersi quel rapporto romantico, a tratti morboso, che Berdyev condivide con i suoi giocatori. Specialmente con quelli ostracizzati da addetti ai lavori ben poco addentro alle vicende di campo. Poco tempo fa Christian Noboa, intervistato sulla possibilità di lasciare Rostov qualora Berdyev se fosse andato, è stato categorico: “Sono venuto qui per il coach. Qualora se ne andasse me ne andrei anche io”.

Non è soltanto fedeltà, si tratta più di una riconoscenza dovuta al fatto che con lui certi giocatori rendono incredibilmente meglio. Potrebbe essere per le idee tattiche, o per la sua indole da antidivo, o per il suo metodo di allenamento. Fatto sta che nessun allenatore ha tanti seguaci tra i giocatori allenati come Berdyev.

Il Rubin domina il campionato, soltanto il Chernomorets riesce a mettersi in scia, ma quando una squadra subisce 14 gol in 34 partite diventa difficile scalzarla dal gradino più alto del podio. E qui emerge la cifra stilistica che caratterizza il calcio di Berdyev. La maniacale attenzione verso la fase di non possesso.

Da giocatore, Kurban era un centrocampista dai piedi non educatissimi che faceva del recupero palla la sua arma migliore. Allo stesso modo tutte le sue squadre tendono a tenere un baricentro piuttosto basso, magari lasciando agli altri il compito di impostare da lontano. Per Berdyev il modo più semplice di non subire gol è intasare le linee di passaggio cruciali e una volta riconquistata palla non perderla nella propria trequarti.

All’apparenza sembrerebbe che il protagonista della storia sia un catenacciaro che si chiude a riccio e spera in qualche ripartenza vincente. Eppure quando la palla supera la metà campo la giocata deve essere ragionata ed efficace, non frutto di un lancio disperato verso la porta avversaria. L’ottima organizzazione difensiva invita l’avversario a sbilanciarsi lasciando delle falle nelle quali gli incursori di Berdyev sono eccellenti ad inserirsi. A dimostrazione che la fase offensiva è comunque nei pensieri del tecnico, i gol segnati dal Rubin per chiudere in testa il campionato sono 51 (20 portano la firma di Chaladze). Meglio ha fatto soltanto il Chernomorets subendo, però, 15 gol in più.

= giocata collettiva, ragionata ed efficace

La prima stagione in Prem’er Liga rischia di essere uno degli exploit più clamorosi nella storia del calcio russo. Il Rubin Kazan chiude al terzo posto, a -6 dal CSKA campione. Nessuno si aspettava un risultato simile, per di più nessun giocatore ha generato un interesse tale da spiegare almeno in parte il successo di questa cenerentola.

Semplicemente il Rubin andava in campo, sporcava il gioco avversario e faceva male quando si aprivano gli spazi, senza doversi preoccupare di una fase difensiva ormai ai limiti della perfezione. I 29 gol subiti valgono la palma di miglior difesa del campionato e penso bisognerebbe andare molto indietro per trovare nel mondo una neopromossa in grado di subire meno gol di tutti.

Tra le regole auree del calcio televisivo e pesantemente sponsorizzato c’è quella di investire dopo aver generato degli utili. A Kazan arriva Alejandro “el Chori” Dominguez, dimostrando che la capitale del Tatrstan comincia ad avere un certo appeal. Peccato che oltre al trequartista argentino non ci sono altri rinforzi di livello e la stagione si chiude con un anonimo decimo posto e il mancato accesso ai gironi di Coppa Uefa. Che la magia del santone turkmeno sia già esaurita?

Le successive stagioni sono senz’altro migliori con un quarto e un quinto posto che esasperano il concetto di incompiutezza, lasciando ancora un alone di mistero sulla reale caratura della squadra di Berdyev. Fino ad arrivare a quel maledetto 17 Giugno 2007. Lenar Gilmullin è un ragazzo di ventidue anni, ha cominciato ad assaggiare l’aria della prima squadra da poco e in parecchi vedono il futuro della fascia sinistra della nazionale prenotato a questo prodotto del vivaio locale. Berdyev non si espone, odia lo sciacallaggio mediatico verso i suoi giocatori e anche se il ragazzo ha già vestito la maglia della Russia under 21 dimostrando di meritare certi palcoscenici, il tecnico lo utilizza con moderazione.

Lenar Gilmullin
Lenar Gilmullin

Purtroppo però quella notte tutti i giornali si accorsero di Gilmullin, perché dopo la sua festa di compleanno ebbe un incidente con la moto e venne trasportato d’urgenza in ospedale. Le dinamiche dell’accaduto non furono mai chiarite anche se le persone che credono ad un incidente sono poche. Fatto sta che dopo cinque giorni di coma il cuore di Gilmullin smette di battere. È un colpo duro per tutto l’ambiente, ma, per quanto sia spiacevole, vivere certi episodi può dare una carica emotiva e spirituale impossibile da trovare altrove.

Per un musulmano la morte va accettata allo stesso modo della vita: senza sforzarsi di capirla. Si può soltanto ringraziare Allah onorando la propria esistenza. E per un allenatore vuol dire spremere ogni goccia del suo sapere affinché la squadra possa raggiungere gli obiettivi. Spronata dalle richieste di Berdyev la società conduce una campagna acquisti decisamente aggressiva. In Tartstan sbarcano Karadeniz, Ansaldi, Semak, Ryzhikov, Rebrov, e il figliol prodigo Sharonov. Questi vanno a comporre, insieme ai già presenti Noboa e Bukharov, l’ossatura del 4-2-3-1 capace di sbaragliare la concorrenza nazionale. La squadra è più matura, magari subisce qualcosina in più ma non lascia punti per strada e c’è un senso del collettivo che farebbe quasi invidia ai maestri del Barça.

Il Rubin vince il titolo con 4 punti sul CSKA, diventando la terza squadra non moscovita a vincere il campionato russo e allungando il digiuno capitolino che durerà fino al 2013. “Sono un gruppo ambizioso e disposto a lottare fino alla fine”. Le parole di Berdyev non si riferiscono alla conquista del titolo, un campionato è passeggero, resta nella mente fino a quando una squadra più sfavorita ne vincerà un altro. La “fine” rappresenta la storia, un marchio indelebile da lasciare a chi verrà. Con un César Navas in più e un altro ritorno targato Dominguez la squadra non vince: domina il campionato 2009.

Sono superiori, hanno un organizzazione da top team europeo, Dominguez segnerà 8 rigori a testimonianza di quanto il Rubin bazzichi le aree avversarie. Berdyev sa che ormai deve soltanto alzare un dito e il sindaco commissionerà una statua del turkmeno al centro della piazza di Kazan. Se ancora non bastasse, il 20 Ottobre 2009 il Camp Nou è ammutolito quando Karadeniz infila il diagonale del 1-2 finale che sancisce una delle pochissime sconfitte tra le mura amiche di Guardiola da allenatore del Barcellona.

Il gol del turco è un saggio cinetico sul calcio di Berdyev: Noboa sporca un pallone sulla trequarti difensiva e lo gioca immediatamente verso Dominguez. El Chori avanza palla al piede, aspetta, ragiona, attira un paio di avversari su di sé, e imbuca la sfera nel corridoio alle spalle della difesa blaugrana. Karadeniz di prima la mette in porta. È semplice, è il calcio, se non è gioco posizionale è Berdyev-style (magari con qualche ricamo in più, se in panchina ci sono Mourinho o Simeone e nella stanza dei bottoni siedono signori pieni di soldi).

Di squadre disposte a portarlo via da Kazan ce ne sono, non soltanto in Russia. Tuttavia Kurban non cerca la fama, rifugge l’obiettivo delle telecamere e rimane nella tranquilla cittadina del Tartstan per altri quattro anni, senza togliersi più tante soddisfazioni (una coppa di Russia e un quarto di finale in Europa League con scalpi di livello come Inter e Atlético Madrid). Se ne va esattamente com’era arrivato: in silenzio, lasciando ai suoi fedeli un vuoto incolmabile. Almeno fino al 3 Agosto scorso.

Berdyev ha accettato l’incarico al Rostov senza uno straccio di motivo plausibile. Stipendi in arretrato, strutture desuete, squadra al limite del presentabile. Prima la salva, poi riporta alla base i suoi secondi in comando Noboa e Navas, ritrova il moldavo Gatcan alla guida delle truppe e plasma dei giocatori mediocri in veri game changer. Basti pensare al portiere Djanaev, oggetto misterioso prima di Berdyev e adesso vice-Akinfeev nella Russia, o al camaleontico Poloz in grado di fare praticamente tutto (e bene) nella metà campo avversaria. Per non parlare poi di due talenti purissimi come Azmoun e Erokhin, destinati a lasciare un segno importante non necessariamente in Russia.

Il campionato 2016 è un testa a testa estenuante contro la corazzata CSKA. Alla fine la spunta Golia, di solito gli underdog non vincono, ma obiettivamente se quello del Leicester è un miracolo questo è un evento perfino più inspiegabile. Almeno nelle Midlands orientali hanno un proprietario che garantisce stabilità economica e una rete di scout in grado di scovare Mahrez, Kanté e Vardy, rivelatisi poi giocatori di livello mondiale. A Rostov sul-Don hanno dovuto pagare una multa lo scorso anno per insolvenza e gli stipendi arrivano un mese sì e due no. Tra il campionato 2015 e quello 2016 il Rostov ha subito 31 (trentuno!) gol in meno. Qui siamo ben oltre il possibile.

Forse è per questo che alla fine Berdyev ha deciso di restare. Quella notte il Rostov vinse a sorpresa 2-0 in casa dell’Anderlecht. Berdyev ufficialmente è a spasso, lo Spartak Mosca sta limando gli ultimi dettagli per portarlo su una delle panchine più gloriose e decadute di tutta la Russia. Appresa la notizia, Bastos, perno della difesa a 3 dei Selmashi, accetta la corte di Lotito. Novoseltsev e Kanga hanno già cambiato aria, Noboa e Navas sono pronti a fare altrettanto.

Il discepolo di Berdyev in azione contro Higuaín

Forse a quel punto Berdyev ha capito che qualcuno dall’alto lo ha eletto cavaliere delle sorprese, maestro dell’impossibile. Un uomo talmente saggio da non poter inquinare il suo sapere con un assegno, per quanto corposo. Rimane. Non si sa in quale ruolo. L’allenatore della squadra è il suo vice Kirichenko. Su Transfermarkt viene segnalato con il ruolo di advisor, la Uefa nella doppia sfida contro l’Ajax lo ha annoverato tra gli assistenti.

Alla vigilia della gara di ritorno contro gli olandesi lo stesso Kirichenko si è espresso dicendo che Berdyev è rimasto al suo posto, sta facendo quello che faceva prima, non importa quale ruolo gli affibbiano da fuori. Probabilmente no, nemmeno il ruolo gli interessa. Nella notte più importante del club, quel 4-1 a spese dell’Ajax che ha spalancato le porte della Champions League al FK Rostov, lui non era nemmeno in tribuna. Sapeva che sarebbe finita così. A quel punto in troppi lo sarebbero andati a cercare, e a lui la notorietà quasi irrita. Di solito, le squadre con mesi di stipendi in arretrato prima o poi falliscono. Questa sarà ospitata a breve all’Allianz-Arena. E non può essere un caso.