Borriello e il paradosso dell'immagine - Zona Cesarini

Borriello e il paradosso dell’immagine

L’ennesima ripartenza di Marco Borriello inizia con quattro gol in Coppa Italia, il 14 agosto 2016, al Sant’Elia di Cagliari. Lo stadio è in riva al mare, sembra il luogo perfetto per un esperto pirata dell’area di rigore, soprannominato Jack Sparrow da Carlo Zampa ai tempi della Roma, forse per fargli sentire il profumo salmastro dell’aria che lo aveva esaltato ai tempi del Genoa e di Marassi.

L’attaccante ha trascorso meno di una settimana in ritiro con i suoi nuovi compagni, ma gli allenamenti estivi sulla pista di atletica di Ibiza e le partitelle con il pingue Ronaldo sembrano aver funzionato. Spinto dall’incoraggiamento guascone di Bobo Vieri al suo arrivo a Cagliari (“Se quest’anno segni quindici gol ti pago una vacanza”), Marco non si è fatto pregare.

La malcapitata Spal viene travolta al Sant’Elia dalla concretezza del bomber campano: sinistro sotto l’incrocio in contropiede, un bell’assist per il secondo gol sardo firmato da Sau, un preciso colpo di testa che sbatte sul palo lontano e accarezza la rete, un altro colpo di testa, stavolta di potenza, nell’area piccola sul cross perfetto di Di Gennaro. Al 65°, la vera perla del match, ancora con il piede preferito: sinistro al volo a incrociare un cross proveniente da destra, con il pallone che, dopo aver accarezzato i guantoni del portiere avversario, tocca il palo lungo e termina la sua corsa in fondo al sacco.

Nel finale di partita la Spal segnerà il gol della bandiera, ma nella memoria dei tifosi cagliaritani resterà impresso solo il poker di Borriello, la maglia numero 22 zuppa di sudore che caracolla per il campo. Il numero che porta sulla schiena è lo stesso numero civico della sua casa milanese, ma significa tanto anche per un altro motivo: il 22 dicembre 1993 spariva nel nulla il padre Vittorio.

Finito sotto processo per associazione mafiosa, poi assolto, e infine assassinato dal re della cocaina, Pasquale Centore, per un prestito che non voleva restituire. Un passato lontano, che Marco non ha paura di mostrare e portare sulle spalle per tutta la carriera. Oggi, a 34 anni suonati, è il momento di tirare le somme: il pirata evocato da Zampa è diventato un vecchio filibustiere, calcisticamente parlando, ed è evidente che mancano all’appello vittorie e numeri importanti, nonostante il valore del numero 22 sia sotto gli occhi di tutti.

Alti e bassi

Tutte le volte che la consacrazione come grande centravanti sembrava essere dietro l’angolo, per Borriello è sempre arrivata la batosta che non si aspettava, l’infortunio che lo obbligava a fermarsi, l’esclusione che non sentiva di meritare.

Dopo le panchine iniziali al Milan, dovute alla concorrenza di gente come Inzaghi e Shevchenko, e le esperienze foriere di poche soddisfazioni, e soprattutto pochi gol, con Triestina, Treviso, Empoli, Reggina, Sampdoria e ancora Treviso, finalmente l’esplosione al Genoa. Borriello si esalta nella squadra di Gasperini, mette a segno 19 gol e si piazza terzo nella classifica marcatori dietro a Trezeguet e Del Piero.

Alcuni dei gol di quella stagione magica sono stupefacenti, come quello in rovesciata contro l’Inter, la volée dal limite dell’area contro il Cagliari e il capolavoro contro l’Udinese: stop di petto dando le spalle alla porta, palleggio con il sinistro e fiondata di collo al volo a mezza altezza – sempre di sinistro – che viaggia oltre la linea di porta.

A fine stagione arriverà anche l’unica esperienza importante con la Nazionale, gli Europei del 2008 che, però, non lo vedranno mai alzarsi dalla panchina.

Dopo un’annata simile, il ritorno a Milano è una logica conseguenza. Ma gli tocca uno stop lungo una stagione per riprendersi da un grave infortunio: l’intervento chirurgico a un muscolo della gamba destra lacerato e staccato. Borriello si ripresenta sul palcoscenico della Serie A in grande stile, con la fantastica doppietta al Parma che riscalda il pubblico di San Siro in una gelida serata di fine ottobre.

Il primo gol è facile, una palla magistrale servitagli da Ronaldinho che lui deve soltanto spingere in rete; il secondo lo realizza con una semirovesciata al volo, da campione, ancora una volta grazie all’assist di un ispiratissimo Ronaldinho.

Arriva una stagione brillante da 15 gol, quella dell’affermazione definitiva a grandi livelli, con Ronaldinho e Seedorf alle spalle, mezzepunte che con le loro qualità esaltano i movimenti da centravanti dell’attaccante campano. Purtroppo, quando sta per iniziare il campionato 2010/11, l’arrivo di Ibrahimovic negli ultimi giorni di mercato rovina i sogni di gloria sotto la Madonnina.

Borriello non si dà per vinto, decide di non abbassare l’asticella delle ambizioni e passa alla Roma. Dopo un inizio pieno di reti e soddisfazioni, le incomprensioni con Ranieri rovinano tutto: la polemica in mondovisione quando gli tocca la panchina in Champions League è lo spartiacque negativo della stagione. Il labiale di Borriello pescato dalle telecamere all’inizio della ripresa di Roma-Shakhtar è inconfondibile:

“Fa stare in panchina me che ho fatto 25.000 gol…”

La stagione di Borriello prosegue senza squilli, il ritorno degli ottavi con lo Shakhtar conferma il momento difficile, con il grave errore dal dischetto davanti agli occhi del nuovo allenatore Vincenzo Montella. In estate, i piani della nuova proprietà americana e del nuovo allenatore Luis Enrique lo relegano ai margini della squadra senza ragione apparente. Nel gennaio 2012 il tentativo di riscossa con il prestito alla Juventus, dove contro il Cesena segna un gol pesantissimo per la conquista dello scudetto, ma non trova abbastanza spazio nelle rotazioni di Conte. Niente diritto di riscatto, si torna di nuovo a Roma.

“Bel player”

La carriera di Marco diventa quella di un rabdomante del gol, un girovagare senza sosta nei bassifondi della Serie A. La Roma lo presta al Genoa, poi di nuovo Roma, un’infelice parentesi al West Ham dove non vede il campo quasi mai per guai fisici e la cessione a titolo definitivo al Genoa. Difficile trovare continuità mentre giri come una trottola, e il terzo ritorno in Liguria non si rivela all’altezza delle aspettative.

Qualcuno dirà che Borriello è diventato un attaccante da squadra provinciale perché quella è la sua dimensione, perché non ha mai avuto abbastanza talento per affermarsi ad altissimi livelli, perché, come disse lui stesso in occasione del primo ritorno al Genoa, è un “bel player” e non certo un “top player”, perché la sua priorità non è mai stata il calcio, ma le donne e le copertine patinate.

Chi vuole difendere il bomber campano potrebbe obiettare che nei momenti chiave della sua carriera si è sempre trovato davanti una concorrenza agguerrita, che al Milan e alla Roma è stato messo ai margini del progetto tecnico per favorire altri, che le sue prodezze sul campo sono state sempre oscurate dalle vicende extra-campo. Questo è il paradosso che ha inseguito Borriello per gran parte della carriera, che forse in alcuni momenti lo ha ostacolato, che certamente ha messo in dubbio (spesso senza ragione) il suo reale valore calcistico.

Nella società dell’immagine, che di conseguenza è società dell’apparenza, Borriello dovrebbe essere il simbolo perfetto. Gioca al gioco più popolare del mondo, sa fare gol, guadagna tanto, spende molto per macchine e vestiti eleganti, frequenta donne bellissime.

IM_MarcoBorriello-770x470

Non è solo l’invidia per il volto da attore, il fisico statuario, le amicizie VIP, le vacanze a Formentera, i tatuaggi audaci e a volte discutibili. Nell’Italia del pallone esistono delle regole non-scritte che Borriello non ha – involontariamente – rispettato. Il rapporto tra pallone e showbiz, in una società piena di bigottismi e tradizionalismi come la nostra, è colmo di contraddizioni.

Il nome di Borriello lo possiamo collocare al centro di queste: lì dove il mondo del calcio spesso rifiuta la modernità, o dove vengono pronunciati insulti omofobi che devono assolutamente “rimanere in campo” in un clima di omertà. In un mondo del genere, la seppur minima inclinazione ad essere “altro” rispetto alla rassicurante immagine del calciatore tutto casa e campo viene vista, nel migliore dei casi, con incredulità mista a disprezzo. Eppure, proprio la professionalità sul campo mai è mancata al bomber campano.

Non arrendersi mai

Quando Borriello passa all’Atalanta durante la pausa invernale dello scorso campionato e segna due gol pesantissimi alla Roma, la sua prestazione viene accolta con stupore dal pubblico e dagli addetti ai lavori, come se Borriello arrivasse da chissà dove. Per essere precisi, arriva dall’esperienza di Carpi, dove è stato il migliore giocatore della squadra nella prima parte di stagione, e dove il cambio di rotta della società emiliana ha portato a un’epurazione dei giocatori acquistati dal direttore sportivo Sean Sogliano.

Anche stavolta, non sono stati limiti tecnici, professionali o caratteriali a determinare l’addio di Marco, che è stato costretto ad abbandonare una realtà in cui si era inserito bene.

Nell’intervista dopo la partita che sancisce la salvezza della Dea, un allenatore serio e navigato come Edy Reja parla benissimo di Borriello osservando la perdita di peso dell’attaccante, che ha perso 7 chili per ritornare in forma nel più breve tempo possibile. Poi fa una battuta strana, apparentemente senza ragione, sul fatto che il calcio per Borriello è un optional.

Un attimo dopo si rende conto di essersi buttato nel solco delle critiche superficiali che spesso piovono sull’attaccante e fa un immediato dietrofront. L’unica spiegazione che si può dare a questo fugace lapsus, oltre alla volontà di “fare la battuta”, è che per una frazione di secondo Reja abbia pensato a Borriello non come al giocatore che vede sudare in campo in ogni allenamento, ma come al bellimbusto da rotocalco: un’immagine che gli viene costantemente proiettata addosso.

Anche dalla conferenza stampa di presentazione di Borriello al Cagliari emerge la timidezza e l’ironia di un uomo ormai maturo, che si ritrova sempre a rispondere alle stesse domande sul cosiddetto “fallimento” della sua carriera.

borriello_cagliari_lp_750.jpg_982521881

Le qualità da attaccante di razza ci sono sempre state e non sono certo scomparse: ottimo sinistro, potenza muscolare, coordinazione, grande stacco e colpo di testa, capacità di proteggere il pallone e di reggere da solo il peso dell’attacco. Sono caratteristiche che si osservano anche all’inizio di questo campionato, insieme al senso del gol. Marco ne segna uno fuori casa nella sconfitta contro il Genoa e un altro, importantissimo, nel pareggio casalingo contro la Roma.

Genova è una piazza che ha regalato a Borriello grandi soddisfazioni, Roma molto meno, e forse per questa ragione quando vede giallorosso Marco si esalta. La smorfia dopo il gol, la mascella serrata e lo spirito di sacrificio esibito nei 90 minuti dicono più di mille parole: cinque gol nelle ultime quattro partite contro la squadra della capitale sono un ruolino di marcia da far stropicciare gli occhi e che la dice lunga sulla determinazione con cui Borriello affronta il riaffiorare di un passato inglorioso.

A onor di metafora

Torniamo per un attimo alla partita della primavera scorsa contro la Lupa, un match che sembra l’ideale metafora della carriera del bel player: l’Atalanta è sotto di due gol e nessuno pensa che la rimonta sia possibile, ma Borriello non ha nessuna intenzione di arrendersi, non lo ha mai fatto. Lo scetticismo che lo circonda a Bergamo è lo stesso che ha dovuto affrontare ovunque: i tifosi, la società, l’allenatore, c’è sempre qualcuno che non lo ritiene all’altezza.

L’Atalanta dimezza lo svantaggio grazie a un gol di D’Alessandro, innescato da uno stop sbagliato di Borriello. È l’inizio della rimonta. Un colpo di testa magistrale di Borriello riporta il risultato in parità. L’incredibile avviene a inizio ripresa, quando la Dea passa addirittura in vantaggio. Il Papu Gómez mette in mezzo un pallone che Borriello indirizza, con un tocco felpato di sinistro, verso il palo alla sinistra del portiere Szczesny.

Foto LaPresse - Mauro Locatelli 17/04/2016 Bergamo ( Italia) Sport Calcio ATALANTA - ROMA Campionato di Calcio Serie A TIM 2015 2016 - Stadio ATLETI AZZURRI D'ITALIA Nella foto: esultanza di borriello Photo LaPresse - Mauro Locatelli 17 April 2016 Bergamo ( Italy) Sport Soccer ATALANTA - ROMA Italian Football Championship League A TIM 2015 2016 - ATLETI AZZURRI D'ITALIA Stadium In the pic: borriello celebrates

Il momento è propizio, bisogna approfittarne e consolidare quello che di buono è stato fatto fin qui. Ma, come sempre accade a Borriello, raccogliere è impossibile, qualcosa decide di sbarrare la strada ai desideri. Prima, un tiro di Marco finisce di un soffio sopra la traversa, poi, un colpo di tacco in corsa viene deviato da Szczesny in uscita disperata, e il pallone finisce sul fondo, troppo lontano dalla rete che era pronta ad accoglierlo.

Spalletti si passa una mano tra i capelli che non ha più, e decide di giocarsi l’ultima carta. Entra in campo Totti, la personificazione perfetta di tutta la concorrenza che Borriello ha dovuto fronteggiare da sempre. Avrebbero potuto anche giocare insieme nella Roma, ma le scelte dei loro allenatori hanno invece creato un dualismo, ovviamente a discapito dell’attaccante campano.

Anche stavolta, Borriello non può raccogliere il frutto delle sue fatiche. Un bel gol di Totti al 90° mette fine al match e lo riporta alla dura realtà di una sfida impossibile.

Oggi Marco non esita nemmeno a candidarsi scherzosamente per un posto in Nazionale. Sa bene che non succederà, ma si è capito che non conviene mai scommettere contro la voglia di rivincita di un attaccante come lui.

La scommessa con l’amico Vieri, invece, sembra davvero a portata di mano, e Borriello sa anche che stavolta dovrà guadagnarsi il successo col sacrificio, senza farsi grandi illusioni. Ma questa è una cosa che ha imparato sulla sua pelle, tanto tempo fa.