Spallettilandia: guida di sopravvivenza all'AS Roma - Zona Cesarini
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Spallettilandia: guida di sopravvivenza all’AS Roma

Come fare a rimettere in piedi una squadra che, pur ricca di elementi di valore, appare confusa e impaurita? Come fare a lavorare in un ambiente isterico, dove tutti ti chiedono la vittoria come se fosse la cosa più ovvia del mondo? Insomma, come fare a sopravvivere all’AS Roma, evitando l’ultra-tabagismo di Sabatini e al tempo stesso raccogliendo 93 punti in 40 gare di campionato dallo scorso gennaio?

Ci spiace: devi essere Luciano Spalletti. Se non lo sei, prova a seguire questi cinque semplici punti e vedrai che con un po’ di fortuna, se non riuscirai a soffiare lo scudetto a Buffon, almeno riuscirai a fregargli la D’Amico.

Lo sguardo a mezz’asta, di quelli giusti.

Avvertenze: chiunque non seguirà questo semplice manuale d’istruzioni, sunto della prassi di Spalletti alla ricerca del Santo Graal sulla panchina giallorossa, sarà inevitabilmente condannato ad affrontare tennistiche Beresina (“Caporetto” per i francesi, ndr) in Champions, o più tragicomiche umiliazioni in Coppa Italia.

Punto 1: Sono Spalletti, risolvo problemi. Un pohettino alla volta

Spalletti è un bravo allenatore, uno di quelli che dà un’identità e un bel gioco alle sue squadre. Quindi ha bisogno di lavoro e pazienza. L’anno scorso arrivò a Roma a metà gennaio e affrontò Verona e Juventus: 1-1 contro gli scaligeri e sconfitta per 1-0 all’Olimpico contro i bianconeri.

Stava già venendo giù il cielo, ma da lì non perse più una partita fino a fine stagione, realizzando il record di punti in un girone di ritorno di Serie A ed esibendo una Roma decisamente più bella, più organizzata e più combattiva, dove giocatori prematuramente bollati come bidoni tornavano progressivamente a deambulare ed applicarsi.

Anche quest’anno la Roma non è partita bene – fuori dalla Champions nel preliminare, il pareggio a Cagliari, un settembre traballante condito dai ko contro Fiorentina e Torino -, ma da ottobre ha messo in banca 37 punti, 7 in più del Napoli e 4 in più della Juventus (che ha una gara in meno). “Bisogna stare halmi.”

Punto 2: “Se non porto a casa tre punti, tu Daniele* devi venì con me in aeroporto”

*Massaro. Risposta alla domanda sulla necessità di “tutelare” El Shaarawy facendolo giocare di più.

Le vittorie lavano via i problemi, si sa. Non vincere invece può alle volte assumere contorni drammatici. Spalletti ha dato forma e gioco ad un organico di qualità affinché questi drammi non accadano. Ma attenzione, il bel gioco è mezzo, non fine.

Siamo lontani dagli estetismi guardoliani (di cui, in my humble opinion, Lucianino è stato vero precursore ai tempi del suo primo mandato romanista), perché qui c’è una necessità quasi spasmodica di vincere. E se fosse un atteggiamento calcolato per tenere sempre alta la tensione mentale, propria e degli altri?

Allora non avete capito, qui “bisogna vinceee“. Quindi non dovete fare bischerate. Poi se pensare all’accoglienza del giorno dopo vi aiuta, fate pure. Ma si deve vincere perché farlo aiuta a continuare vincere, e perché sostanzialmente si è pagati per quello. È il moto perpetuo spallettiano, panacea di tutti i mali di un ambiente troppo spesso tendente all’autolesionismo.

La reazione di Spalletti quando leggerà la parola “ambiente” in questo articolo, vedasi punto 5.

Punto 3: La grande famiglia

Ovvero: il giocatore – se è proprio necessario – ci penso io a punzecchiarlo, ma se lo attaccano altri lo si difende con le unghie e con i denti. E guai a chi mette zizzania ne “i’ ggruppo”.

Si va dagli sfoghi gender nei confronti di Dzeko (“Me lo bacio e ribacio“) alle sfuriate in diretta tv in difesa di Emerson Palmieri. E se dopo la vittoria corsara di Udine – condita dall’errore dal dischetto del bosniaco – Spalletti si era lasciato paternalmente sfuggire un “a volte è un po’ molle” riferedendosi al suo numero 9, qualsiasi caso viene chiuso da lui stesso sentenziando episcopalmente: “Dzeko è divino“.

Risultato: in Coppa Italia contro la Samp l’ex City timbra il cartellino con gol, assist e pure un palo; la domenica successiva segna il gol partita contro il Cagliari.

Insomma, voi “un rompete i hoglioni“, che ai miei ragazzi ci penso io.

Punto 4: Il regime etrusco

Durante l’età monarchica, l’antica Roma fu governata per 107 anni da re di origine etrusca, i Tarquinii. Dopo il buon regno dei primi due reges, che tra le altre cose donarono alla città le sue più antiche mura (le mura serviane), il primo Circo Massimo e la tuttora funzionante Cloaca Maxima, l’ultimo re Tarquino il Superbo si fece cacciare per i suoi crimini contro il popolo romano e dovette invocare l’aiuto di Porsenna per tentare di ritornare sul trono.

Ma leggenda narra che il re di Chiusi, dopo aver stretto d’assedio la città, rimase colpito dal valore dei romani e desisté dalla riconquista dell’Urbe.

Ora, 2.524 anni dopo, Porsenna è tornato nelle vesti di Luciano Spalletti e governa la città. In barba alle logore diatribe su Totti, De Rossi, i senatori, chi comanda chi, e sul peso politico nello spogliatoio, Spalletti – forte anche di una copertura societaria che gli era mancata nel passato quinquennio – tiene ben saldo il timone della barca romanista con il suo solito pragmatismo.

Muzio Scevola di fronte a Porsenna mentre brucia la mano che fallì. Ora, reincarnato in Spalletti, il re etrusco probabilmente risponderebbe al romano “ma ti levi di ‘ulo, ti levi!”

Si prenda l’eliminazione al preliminare di Champions contro il Porto: De Rossi, autore di una prova disastrosa, è punito con la perdita dei galloni di “capitano in campo” per tre giornate. Questione chiusa, senza lasciar uscire dichiarazioni fuori luogo.

Ma si prenda pure il caso-Totti, con le bordate televisive del capitano seguite persino dalle interviste velenose della moglie Ilary. Spalletti reagisce più che con bastone e carota, con una diplomazia tale da candidarlo alla direzione di un summit israelo-palestinese. E come al solito, anche qui il mantra del “bisogna vinceee” trova applicazione: dopo tre mesi con un’ora complessiva in campo, compresi i 20 minuti con standing ovation al Bernabéu, Totti è richiamato in campo nel finale di stagione portando alla ditta punti pesanti.

Sveglia la squadra contro il Bologna (assist dell’1-1), salva dalla sconfitta la Roma a Bergamo (in vantaggio di due reti e poi rimontata, 3-3 timbrato a cinque minuti dal termine), ancora in zona Cesarini ribalta la partita contro il Torino con una doppietta in quattro minuti, e di nuovo firma la rimonta a Genova contro il Grifone (gol del 2-2, e 2-3 il risultato finale).

Difficile parlare con questa resa di “cattiva gestione”. Anzi, paradossalmente è proprio Spalletti ad aver rimesso a nuovo un giocatore che fino ad allora era stato pressoché nullo nel contesto complessivo della stagione.

Lo sforzo del mister nella normalizzazione (perdonate il termine) dello spogliatoio romanista mira anche all’abbattere i totem per riportarli alla dimensione di calciatori. Voi pensate a giocare e fate quello che vi chiedo, vedrete poi i risultati. Tanto quello che rappresentate non ve lo tolgo certo io.

Nota a margine: benché Luciano affermi di comandare “giusto a casa sua, quei 10 minuti che non c’è la moglie”, con questo capolavoro di trollaggio – vedasi nuovamente il punto 5 – chiude ogni ulteriore margine di discussione sulla questione.

Punto 5: La comunicazione (a.k.a. le galline del Cioni)

Spalletti è al tempo stesso piromane e pompiere: deve prendere di petto i problemi, e insieme impedire eventuali, dannose polemiche. Un’alchimia sottile, che si realizza con una comunicazione verso l’esterno di mourinhiana memoria, ovviamente declinata con la veracità toscana propria del tecnico di Certaldo.


“Lo vede il dito? Vede come stuzzica?”

Dissimulatore per necessità e supercazzolatore per vezzo, Luciano snocciola perle nelle sue interviste al limite della viralità, ottenendo, tra le altre cose, alcuni vantaggi pratici:

a) Manda le folle in delirio.
b) Rende meno fertile il terreno per le polemiche sulla base del punto a), in quanto i fruitori delle polemiche calcistiche sono, dall’alba dei tempi, i tifosi; e quelli giallorossi ora sono troppo impegnati a godersi il vate di Certaldo e la sua Roma per perdersi dietro a questioni futili.
c) Sposta la famigerata “attenzione mediatica”.
d) Detta legge in conferenza stampa, rispondendo (o meno) a quello che vuole con istrionica abilità.

Dal pezzo di Crampi Sportivi linkato sopra, riportiamo come esempio il video sottostante.

Citiamo: “Autoritario e iperbolico, Luciano respinge con vigore inusitato le accuse di chi lo vorrebbe in guerra con Francesco Totti e conclude con un coup de théâtre: lancia la scommessa e poi esce di scena prima che il sipario si chiuda, lasciando il palco drammaticamente vuoto.” E i giornalisti, muti. (semicit.).

Attenzione: l’applicazione di questi punti non è fine a se stessa. Ad esempio, quest’ultimo punto è strumento a sostegno del punto 4, è mezzo per l’attuazione del punto 3, è ammortizzatore in caso di fallimento del punto 2 ed è propiziatorio del punto 1.

Parliamo di un unicum concatenato, o più prosaicamente del fatto che il mobiletto dell’Ikea non si monta leggendo le istruzioni a metà. Se volete fare punti, seguite i punti. Perché senza ognuna di queste cose, e senza i contrasti, “e ‘un si vincano le partite”.

Bene, avete letto tutto con attenzione? Adesso siete pronti per affrontare le più improbe sfide come allenatore, lanciandovi al contempo in una serrata lotta per lo scudetto alla guida della AS Roma. Non è Football Manager signori, da queste parti è tutto reale. Benvenuti a Spallettilandia.