Leighton Baines e la ricerca dell'invisibilità - Zona Cesarini

Leighton Baines e la ricerca dell’invisibilità

Dopo il declino di Ashley Cole il miglior terzino sinistro inglese è senza dubbio stato Leighton John Baines da Kirkby, borough della Liverpool operaia. Nonostante fosse diligente, veloce, tecnico e dotato di un sinistro educatissimo, chi se n’è accorto? In pochi lo hanno tenuto in considerazione, nonostante i grandi media calcassero i toni sulle qualità di “predestinati” come Nathaniel Clyne, Ryan Shawcross, Ryan Bertrand, Aaron Cresswell, Luke Shaw, Glen Johnson e il pupillo di Wenger, Calum Chambers.

Ecco, ora immaginate di aver riunito tutti i predestinati di cui sopra sotto la classica pioggerellina in un campetto di un quartiere periferico di un’arbitraria città inglese sulla quale l’Housing Market Renewal non ha mai sortito particolari risultati. Immaginate che arrivi un bus per salvarli dal maltempo: alla guida del double-decker bus della mia terrificante metafora non avrebbe potuto che esserci lui, Leighton.

Perché con quella faccia “tagliata con l’accetta”, da scaricatore di porto dei Five Points newyorkesi, e con quel fisico emaciato un po’ da bassista underground e un po’ da character di un film di Ken Loach, Leighton, nella metafora come nella vita, ha fatto questo per anni: li ha portati tutti a scuola.

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Piccoli sociopatici crescono

Baines è nato e cresciuto a Kirkby, cittadina situata nella contea del Merseyside, che ha dato i natali anche al fenomeno reds Steve Mc Manaman. Padre e madre sono i tipici inglesi della middle-lower class, da pinta di Guinness post-fabbrica lui e spesa al Pall Mall Tesco ogni sabato lei. La casa in cui cresce Leighton è altresì ordinaria, provvista della caratteristica facciata in laterizio che – oltre a ricordare sinistramente l’architettura delle quaranta case che la circondano e colpire per l’inesistente creatività del design – dà l’impressione di trovarsi sul set di casa-Dudley di Harry Potter.

Ma Leighton non è ordinario né banale come l’ambiente che lo circonda: ha una mente acuta, tanto che già a 14 anni è in grado di compilare la dichiarazione dei redditi al posto del padre John; ma, soprattutto, è evidente come Baines preferisca ascoltare piuttosto che parlareAnzi, è troppo timido per prendere la parola, preferendo un ruolo passivo nei dialoghi con familiari e compagni di scuola tanto che alcuni insegnanti arrivano a pensare che soffra di una forma rara d’autismo.

Come detto, Leighton dimostra di essere agli antipodi rispetto ai coetanei liceali: a 16 anni, anziché pretendere la macchina usata come molti compagni di classe, confessa al padre che preferisce “andare di corsa agli allenamenti: così miglioro il mio scatto” ed utilizzare i soldi previsti per l’auto per un road trip estivo in solitaria nel Galles del Sud, e per incrementare la sua collezione di LP musicali.

Nella sua stessa strada nasce e cresce pure Wayne Rooney, che nel tempo libero tra gli allenamenti ascolta album dei The Offspring, dei Green Day e il britpop dei Verve. Probabile che nella playlist del giovane Wayne non manchino neanche i Red Hot Chili Peppers e i generazionali Blink 182. Ancora una volta Leighton va controcorrente: nel suo stereo infatti girano gli Stone Roses, i Prodigy, i Manic Street Preacher e a volte i Soundgarden. Oltre agli immancabili Oasis.

Già, gli Oasis. Da sempre colonna sonora della sua vita, hanno così tanto permeato la sua mente da influenzarne in qualche modo perfino il ritmo di gioco calcistico, in grado di passare repentinamente da dolcemente ritmato – in perfetto diktat britpop – ad energico e quasi distruttivo, sulla falsa riga dei Rolling Stones, tra i riferimenti primari della band di Manchester. Per allargare la metafora, le celebri punizioni di Leighton ricordavano i riff taglienti della chitarra di Tony Iommi, mentre la sua corsa così elegante e priva di battute d’arresto riportava alla mente l’armonia retrò di George Harrison.

Esilio ed oblio

Come per qualunque altro prospetto di Liverpool le alternative non sono molte: “It’s Liverpool or Everton – you don’t do both”dirà in età adulta Leighton. Eppure, per la prima volta il destino gli gioca un brutto scherzo, visto che né i Reds e né i Toffees rimangono particolarmente impressionati dai provini di quel sedicenne che va a scuola correndo, che non riesce ad integrarsi con i compagni e che è costretto a decidere di lasciare Liverpool per inseguire i suoi sogni.

In lui crede il Wigan, città situata a metà strada fra Liverpool, Preston e Manchester. Immaginate cosa significasse sbarcare ad inizio millennio in una città la cui squadra militava alternativamente in seconda e terza serie e che il celeberrimo libro autobiografico di George Orwell – “The Road to Wigan Pier” – ha elevato a simbolo dei fallimenti della moderna società inglese.

Nell’atmosfera dimessa di Wigan, Leighton trova la sua dimensione ideale: in fin dei conti un locale di musica underground è ciò che non manca in qualsiasi porto inglese; senza aggiungere che la scarsa attitudine al dialogo degli abitanti lo trova in perfetta sintonia. Se la passione per la musica rimane un hobby, diverso è il discorso calcistico. Dove l’ascesa è continua quanto inevitabile: l’esordio in prima squadra nel 2002 è il preludio di un idillio tecnico che lo avrebbe reso una pedina decisiva nella squadra che centrerà la promozione in Premier l’anno seguente.

A soli 20 anni sarebbe pronto per imporsi su grandi palcoscenici, eppure continua a non godere di particolare considerazione, se non da parte di compagni di squadra e tifosi. Va aggiunto che ci ha messo parecchio impegno nel diventare un anti-personaggio e nel passare inosservato ad occhi esterni. E come per ogni fenomeno cult che si rispetti – il cui successo arriva postumo e in maniera spontanea – l’affermazione di Leighton avviene in un contesto del tutto a-mediatico.

Non avendo mai partecipato ad eventi pubblici o esibito sui social tagli di tendenza e conquiste femminili, e non avendo giocato per top club, la fama di Baines è sempre stata relegata ad una dimensione prettamente domestica. Ritroso verso qualsiasi forma d’intervista, non è ancora chiaro cosa combinasse nel tempo libero: non fosse stato per gli occasionali avvistamenti nei jazz club cittadini, sarebbe venuto da pensare che avessimo a che fare con un ectoplasma che si palesa nella sua forma materica terrena esclusivamente nel giorno della partita.

La sua voglia di oblio, perseguita anche dopo il ritiro, non deve altresì sorprendere, visto che in adolescenza gli era stata diagnosticata una lieve forma di “fobia sociale, che ha perfino rischiato di minarne la carriera sportiva.

“A scuola giocavo tanto e con piacere, conoscendo tutti. Ma quando arrivava la domenica mi bloccavo: non riuscivo a legare con tutti quei bambini sconosciuti, e il più delle volte costringevo mio padre a riportarmi a casa senza neanche essermi cambiato”.

L’eccessiva timidezza e l’insicurezza nei propri mezzi se le trascina fino all’età adulta: l’esordio in Premiership, quello con l’Under 21 e infine in Premier, rappresentano dei veri e propri incubi che lo tormenteranno per lunghi periodi. Perfino la sua prima chitarra, acquistata a ridosso dei 20 anni, gli crea imbarazzo: temendo di apparire “ridicolo a studiare con ragazzini 10 anni più giovani”, Leighton preferisce apprendere la nobile arte delle sei corde da autodidatta, perdendosi tra libri e CD infarciti di tutorial.

“When I look at other players and the confidence they have, I wish I had a bit of that”.

L’ascesa di un terzino atipico

Se nella vita di tutti i giorni prevale il Leighton versione Dr. Jekill, opposto è il versante calcistico: sulla fascia sinistra, infatti, si materializza sempre più spesso un Mr. Hyde tutto tecnica e corsa, che racchiude in sé le migliori skills dei terzini inglesi d’inizio millennio (corsa, carica agonistica e cross a rientrare tagliato e preciso) ma ne rappresenta al tempo stesso un’evoluzione della specie in termini di comprensione dello sviluppo del gioco e lettura degli spazi da attaccare. Insomma, in poco tempo si trasforma in una sorta di Philip Lahm di provincia, nonostante un background calcistico assolutamente sui generis.

Un ulteriore elemento stabilizzante per Baines è rappresentato dalla sua famiglia, composta dalla storica fidanzata Rachel e dal figlio quindicenne Reiss. Se fate bene i calcoli, capirete che quando quest’ultimo è nato suo padre non era ancora maggiorenne.

“Prima che Reiss nascesse ero spaventatissimo. Ero appena passato in prima squadra e avevo il contratto standard da ragazzo neanche troppo promettente delle giovanili (200 sterline a settimana, ndr). Ma soprattutto non avevamo dove stare: mi trasferii da casa dei miei alla casa dei genitori di Rachel, in attesa di capire cosa avremmo fatto delle nostre vite”.

Paradossalmente, la pressione dettata dall’imminente nascita del figlio muta in feroce voglia di affermazione: Baines affila i denti e opta per la competizione selvaggia tra i professionisti. Nella stagione di esordio in Premier non è raro vederlo arrivare agli allenamenti prima di tutti, o richiedere esercizi extra al preparatore atletico al fine di migliorare la propria struttura fisica, elemento basilare per un giocatore di Premier.

Fondamentale per la sua crescita professionale è la figura di Rachel, che capisce immediatamente l’importanza che il calcio riveste per il futuro della famiglia e accetta di crescere praticamente da sola il primogenito. Per evitare favoritismi, la coppia aveva deciso di non informare della nascita del figlio il manager della Primavera Paul Jewell, non sapendo, però, che ne era già a conoscenza:

“In una cittadina come Wigan le voci si spargono velocemente… Ma Paul non mi ha mai detto niente per evitarmi l’imbarazzo”.

Ma quando arriva l’agognato debutto in Premier contro il Chelsea, nell’agosto del 2005, ogni sacrificio viene ripagato. Sulla fascia Leighton si ritrova ad affrontare alternativamente Damien Duff e un giovane Arjen Robben. Baines, per una volta concentrato solo su compiti difensivi, li cancella entrambi dal campo, e quando il campione olandese viene sostituito dall’impalpabile Shaun Wright-Phillips si concede pure qualche rapida uscita palla al piede nella metà campo avversaria.

Quella contro il Chelsea è soltanto la prima di una lunga serie di prestazioni di assoluto livello, spesso condite da splendidi gol da fuori area. Sul campo Baines sembra la persona più spavalda e serena del mondo, ma brucia dentro: si sente insicuro, incapace e soprattutto non al livello dei compagni. Per gli addetti ai lavori, lui, John Terry e lo sfortunatissimo Ledley King sono gli unici giovani difensori inglesi in grado di poter acquisire uno spessore internazionale.

Nonostante l’esordio in Under 21 mentre militava in Championship gli avesse regalato una buona visibilità, erano pochi gli endorsement per il ragazzo dai capelli lunghi che a malapena raggiungeva i 170 centimetri e che trascendeva il modello di terzino brit “tutto corsa, cuore e poca lucidità”. Ma a 22 anni, appena diventa titolare e mette a segno 4 reti in 30 apparizioni mostrando a tutti cosa sa fare col sinistro, qualcosa comincia a cambiare.

Ma il cielo è sempre più blue

Di lui si innamora perdutamente Sir Alex Ferguson, che prima di chiunque altro capisce che ha davanti agli occhi l’evoluzione naturale di Gary Neville ma, soprattutto, rivede in lui i tratti caratteriali che quindici anni prima lo avevano fatto impazzire per Paul Scholes. Come the shy genius of Manchester, Baines è timido, eccessivamente cauto nelle dichiarazioni ma al contempo perfetto da un punto di vista agonistico, tattico e di leadership. Infine ha una caratteristica per la quale Sir Alex ha sempre perso la testa: è un incompreso, che lui ha il dovere di far uscire dal guscio e lanciare nel mondo dei grandi.

Stavolta, però, Ferguson ha un dubbio atroce: “Prendo il ragazzino di Liverpool che mi ha mandato in analisi Gary e David nella finale di Coppa di Lega, o punto sul ragazzo francese – Patrice Evra – che ha giocato nelle minors italiane fino all’altro ieri, costa meno e mi ha impressionato con il Monaco in Champions?”. Come da copione, la scelta ricade sul francese.

A Luglio 2007 arriva una vantaggiosa offerta del Sunderland: la Premier è ormai in forte ascesa e Leighton vedrebbe triplicarsi l’ingaggio all’interno di una crescita globale che sembra toccare tutti i livelli del calcio inglese. Nonostante l’offerta venga accettata dal club, Baines rifiuta il trasferimento: i rumors raccontano di una concreta occasione per ritornare a casa. Il mese seguente, infatti, Baines chiude idealmente il cerchio e firma per l’Everton: il club si accontenta di 5 milioni di sterline più bonus e il pensiero dei tifosi del Wigan viene sintetizzato con humour british da coach Whelan, che dichiara: “Mi sembra un furto legalizzato”.

Tuttavia, l’euforia derivata dal ritorno a casa risulta oltremodo effimera perché la prima stagione si rivela un mezzo calvario: un serio infortunio prima e l’esplosione della linea difensiva Jagielka-Yobo-Lescott-Irving poi, fermano le sue presenze complessive a 29, di cui solo il 40% da titolare.

La svolta che permetterà a Baines di diventare una bandiera dell’Everton avviene nel 2009, quando l’infortunio di Yobo costringe il tecnico a spostare Lescott come centrale, liberando così una casella sulla fascia sinistra. A 25 anni si fa trovare pronto: viene votato 10 volte su 12 come miglior giocatore del mese dell’Everton, alternando reti magistrali – osservare la micidiale doppietta su punizione ad Upton Park – a prestazioni tatticamente perfette nella gestione di corsa, tempi di sganciamento in avanti e possesso del pallone.

Progressivamente si trasforma in uno dei migliori esterni bassi d’Europa per una linea schierata a 4, rimanendo, però, un fenomeno brit poco conosciuto al di fuori dei confini nazionali dato che la vetrina dei Toffees – nonostante alcune partecipazioni all’Europa League – lo relega ad una fama autarchica.

Arriva il 2010, l’anno della prima di 30 convocazioni con la Nazionale: Baines ha 28 anni, ma chi non segue assiduamente il calcio inglese non ha idea di chi sia. Al contrario c’era chi non era sorpreso nel vederlo fra i titolari in Nazionale: nonno Dixie, scomparso poche ore prima del suo esordio con i Tre Leoni, aveva profetizzato il tutto venti anni prima. È naturale che Leighton a fine partita prenda coraggio e, per la prima volta, insista per essere intervistato in modo da ricordare degnamente il nonno:

“Tutto quello che mi sta accadendo di bello lo dedico a mio nonno. Mi ha insegnato a giocare, e adesso se mi vedesse sarebbe l’uomo più felice al mondo. A differenza dei miei, spesso e volentieri scettici verso quello che faccio (ride, ndr), lui in me ci ha sempre creduto. Anche troppo”.

Come prevedibile, però, non è riuscito a partecipare alla prima conferenza stampa da giocatore della Nazionale per “eccesso di ansia” e si vocifera che pure questo abbia contribuito alla mancata partecipazione agli Europei del 2012: Fabio Capello, si sa, non fa prigionieri.

Il fantasma di Liverpool

Le soddisfazioni sportive non sono comunque mancate: dopo la conclusione della stagione 2019-2020, con l’Everton che chiude 12º in Premier League, Baines ha annunciato il suo ritiro dal calcio professionistico chiudendo la carriera dopo aver disputato 583 partite e segnato 43 goal a livello di club, viaggiando con numeri come l’81,7% di pass accuracy, 1,1 key passes e 2,5 clearance a partita; tra l’altro è diventato il primatista per numero di assist nella storia della Premier League (53). Inoltre la partecipazione ai Mondiali del 2014 non gliela toglierà nessuno, nonostante lo scetticismo diffuso dei connazionali. E proprio il rapporto con la Nazionale, con la quale ha comunque disputato 30 match ufficiali, meriterebbe un approfondimento a parte: come confermatomi da un amico italo-inglese, Leighton è ” stato apprezzatissimo per quello che ha fatto con l’Everton: tutti conoscevano il suo valore. Ma è anche vero che in Nazionale sembrava un altro giocatore”. Insomma: fuori dalla comfort zone di Liverpool i vecchi fantasmi tornavano a materializzarsi.

Un demotivational dedicato a Leighton.

A Baines è legato pure un curioso aneddoto: pare che sia stato, assieme a Januzaj, l’ultimo giocatore trattato personalmente dal sopracitato Alex Ferguson, che, però, ha dovuto abdicare di fronte alla richiesta di 20 milioni di euro per un ultra-trentenne troppo timido per aspirare a diventare il miglior terzino sinistro della storia moderna della Premier, decidendo malauguratamente di ripiegare sul freak Fellaini.

Baines potrebbe controbattere che già si trovava in un grande club: una società che gli ha concesso la possibilità di giocare nella città in cui è nato e per i colori che ha sempre amato (nonostante abbia ammesso che fino ai 13 anni simpatizzasse per i Reds). In fondo basta qualche sterlina per vivere senza preoccupazioni, mettere su il vinile di (What’s the Story) Morning Glory? e godersi una vita che, forse, è iniziata davvero nel giorno dell’agognato ritiro. È la sottile poesia di possedere un talento senza che nessuno ne abbia piena coscienza.

“And all the roads that lead you there were winding,
and all the lights that light the way are blinding.”