L'ascesa di Christian Pulisic - Zona Cesarini
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L’ascesa di Christian Pulisic

Le responsabilità che la società ci chiede di sostenere al compimento della maggiore età sono indubbiamente poche. Si tratta di andare a scuola (o di lavorare), non commettere reati, presentarsi alle urne se ne abbiamo voglia, e più o meno basta. Sulle spalle di Christian Pulisic, diciottenne da neanche otto mesi, grava ben altro tipo di fardello. Lo status di next big thing del calcio mondiale lo condivide con altri coetanei ad oggi anche più famosi di lui, ma il fatto che un’intera nazione, per di più non proprio marginale, riponga in lui le speranze per un futuro calcistico più luminoso, quello è esclusivamente roba sua.

Negli Stati Uniti lo considerano the best American men’s soccer prospect since Landon Donovan e deve succedere qualcosa di strano perché non diventi il più grande calciatore americano di tutti i tempi. È difficile solo immaginare la situazione psicologica di un diciottenne che, oltre a convivere con la pressione che un wonderkid deve affrontare nel calcio europeo, deve anche gestire l’incredibile hype che ha generato nei sostenitori del soccer USA.

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Senza paure

Quando è esploso il fenomeno Pulisic in tanti hanno cercato di capire se a livello mentale il ragazzo sarebbe stato in grado di non forzare i tempi e comunque di gestire il fatto di essere un VIP teenager.

Nuri Sahin ad esempio pensa che il ragazzo sia “fearless”, Thomas Tuchel preferisce usare very confident”, Doug Harris – il suo primo allenatore negli USA – pensa che sia absolutley fearless”. Diventa difficile quindi parlare di Pulisic prescindendo dalla sua indole, vera benzina della giovane carriera del ragazzo.

Christian è figlio di Mark e Kelley, entrambi calciatori alla George Mason University. Il padre ha continuato a giocare indoor in una specie di calcio a 6 molto anni ’90 e molto americano, ma è il lavoro della madre che cambia la vita di Christian. Kelley infatti riceve una sorta borsa di studio per insegnare un anno all’università di Oxford. Il figlioletto di sette anni aveva dimostrato una certa predisposizione per la pratica sportiva ma non si era ancora orientato verso uno sport preciso. Un anno in Inghilterra basta per innamorarsi incondizionatamente del football.

A questo punto interviene il padre Mark, il quale ha fatto della creazione di amicizie un punto fermo della sua vita professionale e non. Christian gioca con un piccolo club locale, il Bracley Town, e il padre ogni weekend lo porta in giro per la nazione a vedere le partite di Premier League. Già si intravede che in questo ragazzo c’è qualcosa di diverso e il padre non intende sprecare questa opportunità lasciando che il ritorno in America lo spinga verso sport più popolari oltreoceano.

Nel 2006 la famiglia si trasferisce a Detroit dal momento che Mark diventa allenatore della squadra indoor della città. L’avventura dura un anno prima di tornare in Pennsylvania, e una volta a casa Pulisic jr. viene iscritto alla scuola calcio PA Classic, una delle più importanti accademie calcistiche negli USA (ovviamente l’iscrizione avviene grazie all’intercessione di Mark, grande amico sia del direttore generale sia del coach Doug Harris).

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Proprio Harris appena vede giocare il ragazzo ha qualche dubbio, lo vede gracilino nonostante le indubbie abilità palla al piede. Solo dopo la partitella viene a sapere che Christian stava giocando con ragazzi due anni più grandi.

“Stavo guardando una partita dell’Academy che andò ai rigori. Christian era il più piccolo per distacco, la partita era importante, il momento era importante, ma lui aveva la sicurezza totale che avrebbe segnato… e lo fece”.

Alla testimonianza di coach Harris si aggiunge quella del padre, ormai totalmente assorto a trasformare il figlio in un calciatore.

“Il suo desiderio di concentrarsi unicamente sul calcio a 10, 11, 12 anni è ciò che ha fatto la differenza. Non è mai scappato di fronte a niente, non ha mai cercato scuse. Non era mai spaventato da nuove sfide, voleva uscire dalla sua comfort zone”.

Avere un padre con un network così ampio è sicuramente un vantaggio; ogni estate Mark se lo porta in giro per l’Europa a vedere le migliori squadre al mondo. Addirittura riesce a procuragli una giornata a “La Masia” e Christian si allena con i pari età catalani un paio di volte.

L’idolo giovanile di Christian è Luis Filipe Madeira Caeiro Figo. Mark era tifoso del Real Madrid e a casa si guardavano un sacco di partite dei Galacticos. La prima maglia che Pulisic junior ha ricevuto è stata ovviamente la 10 dei Blancos. Gli piaceva il modo in cui dribblava, il modo in cui si esponeva al brivido dell’1vs1 alla stregua di un torero, e poi gli piaceva come vedeva il gioco. Questo Mark lo dice sempre:

“Già a dodici anni ti sapeva spiegare cosa vedeva in campo e provava a replicarlo quando giocava. Era tatticamente consapevole e questo perché aveva visto parecchio calcio da bambino”.

Il talento del ragazzo ovviamente non sfugge all’occhio dei selezionatori statunitensi che, nonostante avesse solo quindici anni, lo portano per un ciclo di amichevoli con la nazionale Under 17 organizzato dalla Nike. Tecnicamente è di un altro pianeta. Vince il premio di MVP della manifestazione, la squadra si appoggia a lui e la sua consapevolezza cresce esponenzialmente.

“Quello era l’evento più grande al quale avessi mai partecipato in carriera, mi ha veramente modificato la mentalità in campo. Ho realizzato che potevo andare da qualche parte con questo gioco. Ha cambiato tutto”.

Mark probabilmente non ha mai avuto dubbi, ma se si convince anche il figlio allora è il momento di fare il grande salto. Un mese dopo Pulisic è in Turchia sempre con la nazionale Under 17. A vedere le partite c’è un uomo di Michael Zorc, il plenipotenziario direttore sportivo del Borussia Dortmund.

Lo scout era stato inviato lì per osservare da vicino tale Haji Wright, promettente centravanti che attualmente gioca nello Schalke Under 19. L’ignaro luogotenente di Zorc, dopo aver visto una partita della nazionale statunitense, chiama il suo capo e senza troppi giri di parole gli confessa che Wright non è male, ma c’è un ragazzo che è di un altro livello.

In quel momento i Pulisic stanno facendo il giro delle migliori accademie europee: Porto, Chelsea, PSV Eindhoven, Villarreal e nel mucchio ci buttano anche Dortmund. Alla fine Christian viene convinto dall’offerta della squadra tedesca, sedotto dalla comprovata esperienza dei gialloneri nel modellare il talento di un teenager.

Un americano a Dortmund

Esiste una norma FIFA che impedisce i trasferimenti internazionali per giocatori minorenni. Quando Christian si trasferisce in Germania può soltanto allenarsi con la squadra, senza però poter scendere in campo. I primi mesi li racconta come il periodo più duro della sua esperienza professionistica:

“È stato un sacrificio, specialmente i primi sei mesi che non conoscevo la lingua. A scuola andavo bene soltanto in inglese e in arte. Tutti i giorni, anche adesso, mi manca casa. Non penso che la gente comprenda questo aspetto. Non è sempre quella pazza e fantastica vita. Ti manca casa ogni singolo giorno”.

Un pezzo di casa il Borussia lo ha portato a Dortmund, dal momento che il padre di Christian è stato ingaggiato per allenare i pulcini del club tedesco; i due condividevano un appartamento in città e Mark accompagnava il figlio a scuola in attesa che quest’ultimo raggiungesse l’età per prendere la patente europea.

In tutto ciò, Pulisic si allenava la settimana con l’Under 19 ma la domenica doveva rimanere in tribuna essendo un cittadino extraeuropeo. Tuttavia quel cognome non ha granché di americano e se proprio vogliamo dirla tutta il nome completo del ragazzo è Christian Mate Pulisic. Quel Mate è anche il nome del nonno, il quale nacque nell’isola di Ulbo, al largo delle coste della Dalmazia. La cittadinanza croata arriva, ci sarebbe anche il tentativo di convincerlo a vestire la maglia della nazionale ma Pulisic risponde picche: le sue radici sono negli Stati Uniti e giocherà per loro. Il ragazzo disputa la prima partita con l’Under 19 giallonera ad aprile 2015.

Bisognerà aspettare il 30 gennaio 2016 per vederlo esordire con la prima squadra subentrando ad Adrian Ramos in un pronosticabile 2-0 casalingo contro l’Ingolstadt. Passano altri tre mesi e arriva il primo gol in Bundesliga (contro l’Amburgo); un destro secco dopo un dribbling nello stretto che manda in estasi il Muro Giallo. È il più giovane straniero nella storia del campionato tedesco ad andare in gol, ripetendosi poi una settimana dopo contro lo Stoccarda e diventando quindi il più giovane in assoluto a segnare almeno due gol nella stessa stagione. Il sentiero è tracciato.

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Rising Star

La stagione attuale di Pulisic racconta di un giocatore totalmente inserito nell’esperimento freak che è il Borussia Dortmund 2016/17. Il suo è un calcio giocato ad alta velocità, parzialmente ragionato ma figlio comunque di un giocatore che fino a poco tempo fa si faceva accompagnare dal padre agli allenamenti perché non aveva l’età per guidare in Germania.

Pulisic completa 1,8 dribbling a partita, in squadra soltanto Dembélé ed Emre Mor fanno meglio (ma il turco ha giocato poco più di un terzo dei minuti di Pulisic). Nell’uno contro uno è un bel dilemma perché la sua rapidità gli consente spesso di potersi allungare il pallone senza rischiare di perderlo e inoltre ha un ottimo controllo del suo corpo che lo rende un giocatore temibile anche in conduzione.

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Raggi è in una posizione di vantaggio, ma il primo passo dell’americano è micidiale

Nonostante le sue doti palla al piede, si può tranquillamente definire Pulisic come un giocatore associativo. Il gioco posizionale di Tuchel non è facilissimo da interiorizzare, eppure il giovane americano sta dando un grande contributo al tecnico tedesco specialmente in uscita dalla panchina.

Pulisic
Qui perde palla almeno tre volte ma la sua rapidità gli consente di andare in progressione quando ad altri non è consentito

Pulisic viene usato spesso come una sorta di jolly che consente di dare freschezza alla manovra senza perdere in qualità o in preparazione tattica. Una sorta di apprendistato con parecchia esperienza sul campo (è undicesimo per minuti giocati tra i giocatori del Dortmund). Tra campionato e Champions League ha già messo insieme 8 assist e 29 passaggi chiave (dati whoscored), segno che il padre non aveva tutti i torti: il ragazzo capisce il gioco e lo interpreta alla grande quando il palcoscenico è suo.

Pulisic
Prima crea la traccia e poi rifinisce. Chapeau.

Anche senza il pallone tra i piedi ha un set di movimenti che gli permette di essere impiegato sulla trequarti, sia al centro che sulle fasce, non fornendo punti di riferimento e lasciando che l’ampiezza venga garantita da altri. Il primo controllo è ancora grezzo ma la capacità di andare in progressione rende Pulisic un’arma tattica imprescindibile nel sistema di Tuchel. Serve per spezzare le partite quando il juego de posición del Borussia fatica a creare occasioni. È il grimaldello d’emergenza, quello che in un altro contesto chiamano sesto uomo.

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Elettricità allo stato puro. Gli altri sarebbero i campioni d’Europa. Schürrle ringrazia e spacca la porta.

Ovviamente ci sono ancora dei punti di domanda che su un classe ’98 sono più che leciti. In primis la tenuta mentale, aspetto che teoricamente non preoccupa il ragazzo:

“Quest’estate in tanti mi hanno chiesto perché sono rimasto con tutti questi giocatori che hanno comprato? Per me vuol dire soltanto che devi allenarti duramente ogni giorno, guadagnarti il posto e il rispetto della squadra”.

Ragiona da adulto, certo, ma è pur sempre un teenager. Mentre era in ritiro con la nazionale statunitense si è preso un giorno di permesso per andare al ballo scolastico, quello di The O.C. per capirci, rito improrogabile per uno studente americano (poi lui c’è andato con un aereo privato perché non c’erano voli di linea, ma sono dettagli). I diciotto anni li ha voluti festeggiare a Colonia ad un concerto di Justin Bieber, del quale si professa un grande fan. Dal suo profilo Twitter si evince che è appassionato di sport in generale: segue il football americano e il golf, tifa Cavs e venera Lebron James, e oltre allo sport è ossessionato da The Vampire Diaries e dalla sua conturbante attrice Nina Dobrev. Un millennials qualsiasi verrebbe da dire, se non fosse che negli USA lo aspettano al varco.

È la più grande speranza del calcio a stelle e strisce, di un sistema che fatica ancora parecchio a competere per un posto di livello nel calcio mondiale. Pulisic è diventato il più giovane giocatore ad indossare la maglia degli Stati Uniti in una partita di qualificazione ai mondiali e il più giovane a segnare un gol con gli Eagle (contro la Bolivia). Tra un paio d’anni il ragazzo avrà il controllo totale dello spogliatoio, già adesso è tecnicamente il migliore in mezzo al campo ma l’obiettivo non è Russia 2018 (per la quale tra l’altro la nazionale statunitense sta incontrando serie difficoltà).

Il mondiale casalingo sarà il più importante crocevia per il futuro del soccer USA. La federazione ha bisogno di una figura a cui stringersi attorno: un fardello che Christian Pulisic dovrà portare su di sé, perché in America ne nascano altri così, deve anzitutto sbocciare il primo.