Speranza e desolazione: atlante degli stadi italiani - Zona Cesarini
Una veduta delal curva nord dello stadio Flaminio, Roma, 12 maggio 2016. ANSA/ MARTINO IANNONE

Speranza e desolazione: atlante degli stadi italiani

L’invenzione dello stadio la si deve ai greci, che coniarono anche il termine originale stadion, inizialmente corrispondente ad un’unità di misura di circa 180 metri. Il più antico della sua specie è quello di Olimpia nel Peloponneso, sede dei Giochi olimpici del 776 a.C., ma resti di stadi greci e romani sono stati rinvenuti un po’ in ogni dove. Da sempre l’idea dello stadio è presente nel DNA della società europea ed è fortemente radicata al concetto di “luogo di e per tutti” se non “della cittadinanza intera”.

Lo stadion Panatenaico, Atene.

In Italia attualmente gli stadi di proprietà sono soltanto tre, ma è anche vero che nessuno di questi si può considerare uno stadio assolutamente “nuovo”: tutti sono difatti sorti dalle ceneri o da profonde modifiche di stadi già esistenti e sono costati piuttosto poco (il J-Stadium è costato quasi come la campagna acquisti juventina dell’estate 2016). Analizziamo dunque la situazione attuale degli stadi italiani più importanti, a metà del guado tra sogni di nuove costruzioni, imponenti progetti di riqualifica e classiche ristagnanti situazioni all’italiana, ma sempre all’insegna dell’eccessivamente positivista nuovo motto “stadio di proprietà come unica possibilità per il rilancio del calcio del Belpaese”.

Protagonisti del dramma sono da un lato i Comuni, in cerca di profitti che rilancino i disastrosi bilanci, dall’altro le società, ansiose di rilanciarsi attraverso l’incremento degli introiti risultanti dalla vendita di biglietti, degli abbonamenti e delle attività commerciali collaterali. La realtà è che le cose cambiano da città a città e non è sempre facile trovare un compromesso tra le parti. Anzi, spesso si arriva a situazioni di rottura o stallo che naturalmente non giovano a nessuno, tifosi in primis.

Mapei Stadium, ex Giglio – Reggio Emilia/Sassuolo

Prima di tutto è doveroso sfatare un falso storico: il primo stadio italiano di proprietà, contrariamente al credo comune, non è della Juventus bensì dell’insospettabile Reggiana. Fu costruito in otto mesi e costò solo 25 miliardi di lire, pagati dallo sponsor (il produttore di latticini “il Giglio”, che diede il nome all’impianto) e da circa 1.000 sostenitori granata che sottoscrissero abbonamenti pluriennali.

La curiosa conformazione del Mapei Stadium, priva di tribune negli angoli.

Nonostante fosse molto avanti per l’epoca, nei primi Duemila si è reso necessario un riammodernamento (anche per adeguarsi all’area-centro commerciale che è sorta attorno) con relativa diminuzione della capienza di 5.000 posti. È rimasto pressoché inutilizzato dal 2006 – anno del fallimento della Reggiana – al 2013: è quello l’anno in cui la Mapei, capeggiata dal patron del Sassuolo Squinzi, ha vinto per circa 4 milioni d’euro il bando per la proprietà dello stadio.

Insomma: il Sassuolo e il suo patron Squinzi hanno trovato una furba scorciatoia low-cost per competere con le grandi squadre anche sotto questo punto di vista. Soprattutto considerando che il bacino dei tifosi neroverdi è esiguo – il comune conta 40.000 abitanti -, non si poteva pretendere di meglio per uno stadio per certi aspetti sempre avanguardistico: è stato infatti uno dei primi stadi italiani di Serie A – precursori Novara e Cesena col sintetico integrale – dotato di un impianto a manto erboso ibrido e riscaldato (fatto di zolle naturali alternate a zolle di sintetico) di nuova generazione.

La Dacia Arena, ex Friuli – Udine

La Dacia Arena è di fatto il terzo stadio di proprietà italiano e sino a pochi anni fa era più famoso per i concerti che ospitava che per la qualità dell’impianto: da Sting agli AC/DC, dai Pink Floyd a Springsteen, sono molti gli artisti che hanno fatto furore nell’ormai ex stadio Friuli. E invece, da quando nel giugno del 2012 venne firmato un accordo di concessione per 99 anni dello stadio tra l’Udinese e il Comune di Udine, lo stadio si è lentamente trasformato in un impianto moderno di primo livello.L’opera di riqualificazione prevedeva la ricostruzione delle due curve e dei distinti, la rimozione della pista di atletica, lo spostamento del campo al di sotto della tribuna – rimasta invariata nella sua struttura – e infine la costruzione di una copertura totale. La capienza complessiva del nuovo impianto è di 25.000 posti (i seggiolini sono colorati per “risolvere televisivamente” il problema dei posti vuoti) e la spesa complessiva per il restyling non ha superato i 50 milioni di euro. Adesso capite dove sono finiti parte dei soldi ricavati dalla vendita di Sánchez e co.?

Fatto sta che il “Diamante” – così ribattezzato per via delle 10.000 losanghe romboidali tridimensionali che caratterizzano le tre nuove facciate dello stadio – dal gennaio 2016 è uno dei fiori all’occhiello della città. E non è ancora finita: sono attualmente in atto gli allestimenti dei 22.000 mq destinati alle aree commerciali e ludiche: le nuove tribune ospiteranno al loro interno palestre, sale da bowling, cinema e piscine. Il futuro di Udine pare dunque legato a doppio filo con quello della sua squadra.

Stadio Luigi Ferraris – Genova

La storia di questo stadio è piuttosto particolare, a cominciare dal nome: viene difatti erroneamente chiamato da sempre come il quartiere omonimo, Marassianche se di fatto questo non è scritto da nessuna parte. Il vero nome lo si deve al capitano del Genoa Luigi Ferraris, la cui medaglia al valore militare si trova sotterrata sotto la gradinata Nord. L’impianto originale ospitava il Genoa e sorgeva parallelo all’antico stadio Cajenna, il campo sportivo dei cugini dell’Andrea Doria (poi Sampdoria), da cui era diviso da un misero steccato e che fu inglobato solo nel 1926.

Il Ferraris negli anni ’70.

La moderna conformazione la si deve alla contestata ricostruzione in occasione dei Mondiali del ’90: sotto la guida dell’architetto Vittorio Gregotti, coi lavori che sforarono di gran lunga i tempi costringendo la Sampdoria a imbarazzanti partite europee su terreni da gioco impresentabili, il vecchio stadio fu interamente demolito: il nuovo Ferraris si presentava in teoria come un moderno stadio all’inglese, con spalti a ridosso del campo che potevano ospitare poco più di 40.000 spettatori e un design che ereditava le linee dal Razionalismo italiano puro degli anni ’60, di cui Gregotti era fiero esponente.

Con l’inizio della presidenza Garrone la Samp iniziò a maturare l’idea della costruzione di un nuovo stadio, considerato anche il fatto che l’elevata urbanizzazione del quartiere tuttora costringe il sindaco a emanare settimanalmente una deroga per il suo utilizzo. Nel 2007 fu dunque presentato il progetto per il nuovo stadio da collocare nella zona di Sestri Ponente, ma venne bocciato: l’area era ritenuta dal Comune fondamentale per la futura espansione dell’Aeroporto di Genova. Intuito l’andazzo, ancora nel 2007, il Comune mise in vendita lo stadio ma la cifra di 36 milioni di euro spaventò gli acquirenti.

Nel 2009 la FIGC dichiarò lo stadio insufficiente per una città candidata agli Europei, col preciso obiettivo di aprire gli occhi al sindaco circa la necessità di due impianti, uno privato di proprietà della Sampdoria ed uno momentaneamente comunale (nella speranza che lo scetticismo del Genoa verso l’acquisizione del Marassi venisse meno).

Lo stadio e il quartiere di Marassi.

Negli ultimi anni la vicenda si è fatta ancor più grottesca: nel 2011 è saltato al fotofinish il processo di privatizzazione e gestione condivisa dello stadio tra Genoa e Samp, mentre per tre anni la gestione dello stadio è stata concessa ad un Consorzio che, rifacimento del manto a parte, non ha fatto che deteriorare ulteriormente la struttura.

Di nuovi stadi ormai non si parla più, mentre l’idea di ri-ammodernare il Ferraris secondo parametri odierni (creando un’area per la stampa nella villa d’inizio storia) è stata ripresa nel 2017 quando Massimo Ferrero ha dichiarato che Sampdoria e Genoa metteranno sul piatto 20 milioni di euro con l’obiettivo di fare del Ferraris lo “stadio più bello d’Europa”. Sarà, intanto mancano un Wi-Fi che non salti al primo scroscio di pioggia e persino il terzo spogliatoio per la squadra ospite. Mentre le frizioni tra le società e il Comune continuano, con quest’ultimo che chiede al Genoa 635.000 euro di arretrati e ai cugini una cifra tre volte superiore. Al momento, non pare esserci una reale soluzione all’orizzonte.

San Siro – Milano

«La pri­ma volta che vedi lo stadio Giuseppe Meazza è impossibile non avere un sussulto. Quando è illuminato, sembra un’astronave atterrata nella periferia milanese.» (Rivista “Times”, 2009)

Difficile abbandonare uno stadio dichiarato “il secondo più bello al mondo” dalla prestigiosa rivista Times soltanto nel 2009. E invece, proprio in questi giorni, è emerso il desiderio di Inter e Milan di costruire una nuova struttura – secondo le indiscrezioni simile a livello di design, ma più funzionale e da 60’000 posti – nell’attuale area del parcheggio, per poi demolire l’originale a lavori ultimati (si dice per la stagione 2023). Le due fazioni sorte dopo l’exploit dei dirigenti di Milan e Inter sono ben riconoscibili e hanno entrambe ragioni da vendere: da una parte, c’è chi non vorrebbe rinunciare al fascino d’una struttura che incute timore alla sola visione, dall’altra chi ritiene che sia un passo inevitabile per una moderna società di calcio che, per competere ai massimi livelli europei, non può prescindere da uno stadio di proprietà.

E qui sorgono le prime domande: sarà effettivamente conveniente, per le due società, continuare a condividere lo stadio, quando ogni città europea dotata di due squadre – l’ultimo caso è quello di Monaco di Baviera, col München 1860 che è tornato a giocare allo storico Grünwalder Stadion (certo, va detto che giocano in terza serie) – ha fatto altre scelte? In tal senso, Milan e Inter sono sicure che le vendite dei biglietti per le loro singole partite compenseranno ampiamente gli introiti, logicamente a quel punto divisi 50 e 50, di concerti e attività collaterali infra-settimanali varie che, citando i dati forniti dalla Juventus, in teoria incideranno non più del 5% rispetto agli introiti totali.

L’imponente silhouette, così diversa rispetto al classico modello contemporaneo di stadio “a catino” (o disco volante).

E ancora, come può il comune di Milano rinunciare, così dal nulla, a un business da milioni di euro? A sentire il sindaco Sala, semplicemente, questo non avverrà. Forse, solo lo spauracchio della costruzione dello stesso in un diverso comune, ma ancora non s’è vagliata questa ipotesi, potrebbe far pressione sulla giunta comunale, la cui idea è naturalmente ristrutturare lo stadio e darlo in concessione; la cosa, però, creerebbe problemi, perchè per tre anni le due squadre dovrebbero “giocare tra Parma, Verona o Varese” come annunciato dal presidente del Milan Scaroni. Inoltre, va ammesso che per diverse cose San Siro dimostra tutti i suoi cento anni di storia, e fa intravedere le difficoltà di un potenziale restauro: ad esempio i bar sono troppo piccoli e pericolanti, mentre la maggior parte delle persone tende a evitarli proprio, i bagni, per via del loro stato di degrado.

Comunque, le numerose polemiche sorte sull’abbandonare una struttura che secondo i risultati di un’analisi condotta dalla Camera di commercio rappresenta l’elemento più riconoscibile della città dopo il Duomo cittadino, non sarà per niente facile, considerato anche il fatto che in teoria la festa per l’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 dovrebbe avvenire proprio qui. Intanto, vediamo la storia di questo impianto.

San Siro senza il terzo anello.

L’impianto originale fu voluto nel 1925 dal presidente del Milan Piero Pirelli, che individuò l’area adatta come quella nelle vicinanze dell’Ippodromo in aperta campagna. La struttura era composta da quattro tribune rettilinee, una delle quali parzialmente coperta, e poteva ospitare fino a 35.000 spettatori.

Nel 1935 l’impianto venne acquistato dal Comune di Milano che contestualmente diede inizio ad una prima operazione di ampliamento (sino a 55.000 posti) costruendo quattro curvette di raccordo alle tribune. A partire dal 1948 San Siro divenne l’impianto casalingo anche dell’altra squadra milanese, l’Inter, mentre dal 1955 lo stadio subì una drastica trasformazione con la costruzione del secondo anello di tribune che portò la capienza totale a 100.000 spettatori (poi ridotta a 85.000 con la sostituzione dei seggiolini).

Il design fu ammodernato dalle rampe elicoidali che permettevano l’accesso al secondo anello e la struttura fu dedicata a Giuseppe Meazza, che aveva deliziato con le sue giocate i tifosi di entrambe le squadre. Il terzo anello venne invece costruito nel 1990 in occasione dei Mondiali, anno in cui furono anche coperti tutti i posti a sedere.

San Siro e l’ippodromo.

Attualmente le posizioni sono contrastanti: da un lato il comune che, tramite il sindaco Sala, spinge per il mantenimento del rapporto comune-Inter-Milan al grido di “tutti uniti per San Siro“. Dall’altro però la posizione delle due squadre, divise tra il peso della storia e gli evidenti limiti dell’esiguo rapporto spese-ricavi: la M-I Stadium Srl, società che cura gli interessi di San Siro, si fa pagare dalle squadre un canone di 8 milioni di euro l’anno, che viene così diviso: il 30% deve cederlo al comune, mentre il restante 70% viene per contratto destinato ai lavori di manutenzione, ammodernamento e trasformazione dell’impianto.

La convenzione, evidentemente a vantaggio delle società, è cambiata nel 2016: da quell’anno fino alla scadenza del 2030 le proporzioni torneranno a 50-50. Qui s’inserisce la volontà delle società di fare da sole: che senso ha pagare 4 milioni l’anno per uno stadio che difficilmente migliorerà senza faraonici investimenti, che è costantemente mezzo vuoto e che porta pochissimi ricavi?
Da queste considerazioni nacque la proposta di un nuovo stadio da parte della vecchia proprietà del Milan nel 2015, e quella dell’ex socio di maggioranza dell’Inter Thohir (senza neanche aver definito l’area dove localizzarlo) l’anno seguente. Ed è significativo che anche le nuove proprietà stiano andando verso quella direzione, questa volta apertamente insieme e con maggiore pressione mediatica. Insomma: meglio accontentarsi di uno degli stadi più fascinosi di sempre, con all’orizzonte appunto l’aperta possibilità di riammodernare l’impianto, come vorrebbe il Comune, oppure costruire ex-Novo un impianto (speriamo fedele al design originale) moderno e confortevole per i tifosi, come vogliono le squadre? Come sempre, il dibattito è tanto aperto quanto feroce.

Stadio Olimpico e J-Stadium – Torino

Originariamente intitolato a Benito Mussolini, il Comunale è un mirabile esempio di architettura razionalista italiana: venne costruito nel 1932, per decisione del duce stesso, al fine di ospitare i “Giochi Littoriali” dell’anno XI e, con una capienza di 65.000 posti, era formato da un vasto anello ellissoidale di circa 640 metri e appoggiato su una banchina e uno zoccolo di granito bianco e intonaco rosso. Gli accessi erano invece ricavati da 27 aperture, la principale delle quali conduceva alla tribuna d’onore.

L’Olimpico nel periodo post-bellico.

Lo stadio dal 1935 ospitava pure le partite della Juventus, che però si unì alla sua gestione nel 1964. Nel 1984, quando la FIFA assegnò all’Italia l’organizzazione dei Mondiali, si cominciò però a parlare di un nuovo stadio, vista l’ormai inadeguatezza del Comunale che tuttavia ospitò le gare interne di entrambe le squadre torinesi fino alla stagione 1989/90: l’impianto, ormai vecchio e desueto, venne abbandonato dal calcio cittadino per il Delle Alpi e venne utilizzato sempre di meno, sino a essere destinato unicamente agli allenamenti della prima squadra juventina fino al 2003.

Tuttavia anche il nuovo impianto non si dimostrò particolarmente funzionale: attorno al campo da gioco vi erano infatti la pista di atletica, le fosse per il getto del peso e il lancio del disco, e infine le piste per il salto in lungo e quello in alto. Questo rendeva difficoltoso seguire la partita, almeno per i tifosi non muniti di binocolo: nonostante fosse innovativo da un punto di vista del design, resta un enorme limite non adeguatamente individuato o risolto in fase progettuale, che sostanzialmente ne decretò neanche trent’anni dopo la demolizione.

L’enorme distanza tra tribune e campo da gioco.

Già, perché fortunatamente nel 1999 la città di Torino si è aggiudicata l’organizzazione dei 20° Giochi invernali del 2006. Con l’occasione il vecchio Comunale, da tempo abbandonato, venne ristrutturato e consegnato alla città alla fine del 2005 col nome di “Olimpico”. Vista la ricostruzione dell’antico stadio, ceduto al Torino in cambio del suo impegno nel restaurarlo, il Comune ha preferito privatizzare pure il Delle Alpi, poi demolito per il moderno Juventus Stadium.

Non fosse stato per il fallimento della società granata, che ha rimesso il Comunale nelle mani dell’amministrazione cittadina, Torino avrebbe già decenni fa gettato le basi al moderno trend (intrapreso dalla stessa città) di gestione della salubrità cittadina: affidare le migliorie a privati, localizzandole in zone da riqualificare o comunque poco funzionali e previa accettazione della giunta comunale, ha portato vantaggi alla città.

Tornando agli stadi, va detto che il progetto di ristrutturazione del Comunale è andato comunque avanti: seppur conservando le strutture esistenti, sottoposte manco a dirlo al vincolo della Soprintendenza, è costato 30 milioni d’euro e ha aggiunto nuove strutture verticali per reggere la copertura di tutto l’impianto e un terzo anello di gradinate. La capienza complessiva è stata portata a 27.168 posti, tutti al coperto e a sedere in modo da rispettare i moderni standard. Esternamente è infine sorta un’area commerciale di 1.163 mq, contenente anche tutti i servizi, nuovi uffici e i palasport.Nonostante tutto, la distanza tra gli spalti e il terreno di gioco non è cambiata e questo lo rende uno stadio poco adatto al calcio. Per il Torino non si parla tuttavia di nessun progetto per un eventuale nuovo stadio. Anzi, a Torino è in corso una battaglia per l’affitto: al momento il Toro versa 250.000 euro l’anno, cifra accordata nel 2009 quando la Juventus abbandonava l’impianto e il Torino navigava nelle brutte acque della serie B.

La cifra è naturalmente spropositata al ribasso. Cairo, forte del recente restauro dell’antico stadio del grande Torino – il leggendario Filadelfia, che sarà il nuovo centro sportivo per gli allenamenti – gode per la prima volta del sostegno incondizionato dei tifosi e non cede alle pressioni della Giunta comunale. Fra le usuali frizioni tra amministrazione e società, va detto che Torino è dotata di due impianti del tutto sufficienti alle esigenze delle parti sportive coinvolte.

Stadio Renato Dall’Ara – Bologna

Il Dall’Ara, nato come Littoriale, fu il primo vero stadio ad essere costruito in Italia nonché modello per quelli successivi. Fino alla metà degli anni venti, infatti, gli “stadi” erano in realtà dei campi con delle modeste tribune montate su impalcature. Intitolato alla memoria del presidentissimo Renato Dall’Ara, deceduto tre giorni prima dello storico Scudetto del 1964, è molto moderno nella sua collazione a circa 6 km dal centro storico e non troppo distante dall’uscita Bologna/Arcoveggio, e per la straordinaria qualità drenante e compattezza del manto erboso, è considerato dai calciatori il miglior campo su cui giocare.

Lo stadio Littoriale fu ideato e voluto dal Partito Nazionale Fascista come parte di un grande complesso polisportivo comprendente anche due enormi piscine. Fu inaugurato solennemente dal Capo del governo Benito Mussolini, che entrò nello stadio bolognese in sella al suo cavallo e subì un attentato da parte di un anarchico 15enne. La sua capacità era di 50.000 posti e i suoi muri, realizzati con il tipico mattone rosso e le finestre ad arco, lo rendevano un edificio eccezionale per l’epoca. Elemento maggiormente caratterizzante è la torre Maratona, completata nel 1929 nel settore opposto alla tribuna coperta e sul cui pennone fu collocata una statua rappresentante la Vittoria alata.

Lo stadio fu completamente ristrutturato per i Mondiali del ’90: furono introdotte nuove uscite di sicurezza, rifatta la pista di atletica e aggiunte nuove file di seggiolini alzando la vecchia struttura. Infine fu costruito un nuovo tetto per la tribuna, ripulite tutte le facciate, rivisto l’impianto di illuminazione e installato un nuovo tabellone.

Attualmente, oltre al fascino estetico, è rimasto poco: il campo troppo lontano dagli spalti e la fatiscenza degli impianti di servizio hanno fatto si che il nuovo proprietario Joey Saputo abbia spinto per un totale restyling dell’interno. Il progetto è stato presentato nel 2017 ed è molto rispettoso della struttura storica – muro esterno e Torre Maratona – di fine anni Venti (tornerà pure a dominare il rosso mattone della struttura originaria).

Il nuovo Dall’Ara.

Le novità di maggiore impatto sono la nuova copertura totale delle gradinate (dal design aerodinamico e in parte trasparente), il nuovo disegno delle curve, avvicinate al campo previa eliminazione della pista da corsa, e infine l’eliminazione del 75% della sovrastruttura esterna in ferro realizzata per i Mondiali del ’90. Inoltre è prevista una struttura con ampi spazi commerciali da realizzati sotto le curve

All’interno, la Torre Maratona resterà visibile: le gradinate dei distinti sotto la torre saranno coperte soltanto con una tettoia trasparente. I lavori costeranno 60-80 milioni di euro ma porteranno il Bologna al passo coi tempi moderni dotandolo di uno stadio dalla capienza ridotta (23.000 posti), ma dal fascino intatto. Questo, ammesso (e non concesso) che i lavori più importanti abbiano mai inizio: a Gennaio 2019, infatti, ancora non era chiaro se per la squadra fosse più conveniente giocare momentaneamente altrove, oppure dilatare i tempi del restyling. Ai posteri l’ardua sentenza?

Stadio Artemio Franchi – Firenze

La struttura è, manco a dirlo, degli anni ’30 e sorge sull’area che occupava l’aerodromo di Campo di Marte. L’opera venne progettata nel 1929 dall’ingegnere e maestro del Movimento moderno Pier Luigi Nervi, ed è un esempio di architettura razionalista italiana ben progettata ma al contempo obsoleta. Al solito, il restauro per Italia ’90 (con abbassamento del campo da gioco in virtù dell’aumento di capienza e abbattimento della pista d’atletica) ne ha allungato la vita, ma ne ha anche palesato i limiti sia tecnici che estetici.

La celebre copertura delle tribune progettata da Nervi.

La posizione scomoda, a due passi dal centro storico, infine, ha fatto sì che la richiesta dei cittadini per un nuovo impianto fosse sempre più pressante. Nel 2010 l’allora sindaco Matteo Renzi siglò una convenzione di 12 anni con la Fiorentina per l’utilizzo dello Stadio, che costa 950.000 euro l’anno (non pochi per i servizi offerti). Inoltre, secondo l’accordo, il Comune si prende a carico il 49% degli interventi strutturali importanti mentre il resto grava sulla società.

Nel marzo del 2017 è stato presentato ufficialmente il progetto del nuovo stadio, che sorgerà in un ampio quadrante a nord-ovest della città e che sconvolgerà non poco l’assetto attuale. Come spesso accade, sono sorte numerose critiche che sfociano nell’eterno dibattito tra chi vuole “preservare del suolo permeabile evitando che enormi volumi cementizi invadano la città” – scordandosi, forse, del degrado in cui versano le aree stesse e il complessivo aumento del volume d’affari (non solo per la Fiorentina) – e i progressisti per un nuovo impianto.
Logicamente ai tifosi viola quello che interessa è il nuovo stadio, che dovrebbe sorgere in quattro/cinque anni e dovrebbe contenere 40.000 posti (il minimo richiesto per ospitare finali europee).
I costi dell’intera operazione – “cittadella” commerciale compresa – si aggireranno attorno ai 420 milioni di euro, e stavolta anche il Comune è d’accordo col progetto: “È un punto di svolta. Lo stadio non sarà una cattedrale nel deserto: la riqualificazione del quadrante nord-ovest è complessiva, dal nuovo aeroporto, alla linea della tranvia, l’impegno con le ferrovie dello stato per una nuova stazione oltre ad un nuovo vincolo autostradale e la rete delle piste ciclabili”, ha dichiarato il sindaco Nardella.
Se realizzato, sarà un catino maggiormente compatto rispetto ad ogni stadio analogo, costruito con nuove tecnologie ad emissione zero e la cui copertura – totale – sarà realizzata con materiale riciclabile che permette anche il corretto irraggiamento del campo da gioco. Insomma, buona parte del futuro sviluppo della stessa città sembra passare da questo progetto, interessante ed ambizioso sotto ogni punto di vista (sostenibilità, economico e commerciale). Ancora, però, non ci sono le necessarie certezze, che restano legate al reperimento di investitori esterni che possano condividere – almeno parzialmente – l’enorme previsione di spesa composta da stadio e cittadella commerciale.

San Paolo, Napoli

De Laurentiis ha di recente espresso il pensiero di tutti riguardo allo stadio di Napoli: “Fa schifo”. E la sua volontà di non investire nella struttura ormai obsoleta e fatiscente è così radicata che in occasione della sfida di Champions contro il Real ha realizzato veramente il minimo necessario imposto dalla UEFA (nuovi seggiolini in tribuna stampa, nuovi armadietti negli spogliatoi degli ospiti e una verniciata generale) per ottenere il permesso di giocare. Nella testa di Aurelio, si sa, c’è la volontà di trovare un accordo simil Pozzo-Udine – avere per anni i diritti di sfruttamento del suolo dello stadio da ri-ammodernare -, oppure costruirne altrove un altro ex novo.

In quell’ottica vanno le dichiarazioni del Comune di voler investire 25 milioni di euro per delle migliorie: si vuole convincere il Napoli a non abbandonare l’impianto storico. Cosa però difficile: secondo uno studio della Figc il Napoli perde ogni anno circa 13 milioni di euro per le condizioni dello Stadio di Fuorigrotta, nonostante paghi circa un milione di euro di affitto (anche la manutenzione del campo, in teoria a carico del Comune, viene pagata dal Napoli).Poi c’è la questione biglietti: dal botteghino la società la scorsa stagione ha ricavato 15 milioni, ma ne mancano circa 5 all’appello in virtù dell’inagibilità del terzo anello, la mancanza degli Sky Box (altri 4 milioni), un vero parcheggio e un museo che sia aperto più di due giorni al mese. Lo stallo società-Comune viene inoltre ulteriormente inasprito dal fatto che il Napoli non concede al Comune di organizzarvi altri eventi, sostenendo che dare il 4,5% dei ricavi delle partite è già sufficiente.

Sullo sfondo c’è la speranza per i tifosi e De Laurentiis di costruire un nuovo impianto finalmente a livello, che difficilmente arriverà in tempi brevi: “Spero in un nuovo stadio da realizzare a Bagnoli. Devo decidere se trasformare il San Paolo in uno stadio modello, con tutti gli ostacoli burocratici che ne deriverebbero, o se invece costruire un nuovo impianto, per esempio a Bagnoli, una volta effettuata la bonifica. Su Bagnoli c’è solo il problema di procedere alla bonifica. Altrimenti dovremo trovare un altro spazio. Ma una cosa è certa: non è il San Paolo la soluzione finale”. (A. De Laurentiis, Febbraio 2017)

Stadio Olimpico e Stadio Flaminio, Roma

L’Olimpico, una volta detto “dei cipressi”, prese forma nel 1932 nell’ambito del più ampio progetto della Città dello Sport chiamata Foro Mussolini (l’odierno Foro Italico). Lo scoppio del conflitto bellico fece sì che lo stadio venisse aperto integralmente solo nel maggio del 1953 con la partita Italia-Ungheria e l’arrivo della tappa Napoli-Roma del Giro d’Italia. In occasione dei Giochi dell’Olimpiade del 1960 furono eliminati i posti in piedi, con il risultato di portare la capienza effettiva a 65.000 spettatori. Ed è proprio questa la curiosità che accompagnava l’Olimpico: la sua sorprendentemente bassa elevazione da terra a dispetto della sua rilevante capienza. Questo risultato fu ottenuto grazie alla parziale sotto-elevazione del terreno di gioco, sfruttando le pre-esistenze orografiche, e aprì l’infinito dibattito circa l’eccessiva lontananza delle curve dal campo di gioco.

Amministrativamente parlando, la Roma ha firmato con il Coni un accordo con scadenza 2015 dal valore di 2,8 milioni di euro. Come ben noto, l’accordo è stato rinnovato e scadrà quando la Roma ufficialmente si insedierà nel nuovo stadio che sorgerà dalle ceneri dell’Ippodromo di Tor di Valle, colmo di amianto e fatiscente da anni (nonostante la qualità progettuale sia estremamente elevata).

Diverso il discorso dello stadio Flaminio, che sorge esattamente nell’area su cui fino al 1957 si trovava lo stadio Nazionale, la cui struttura stava cominciando a collassare. Il concorso indetto nel 1956 per rimpiazzare lo stadio presentava un requisito stringente e limitante: il nuovo impianto non doveva eccedere il perimetro di quello all’epoca esistente e per questo motivo il progetto disegnato da Antonio Nervi, figlio del Pier Luigi del Franchi, presentava un impianto la cui inclinazione delle tribune era fortemente slanciata.

L’abbandono del Flaminio.

Furono costruite inoltre, sotto le tribune, una piscina coperta per gli allenamenti e cinque palestre per pugilato e ginnastica. Completamente in cemento armato a vista, presenta una copertura solamente nella zona centrale della tribuna. L’inaugurazione avvenne il 19 marzo 1959 in diretta televisiva, quando i 42.000 posti erano tutti interamente presi. Pur essendo meno capiente dell’Olimpico, era comunque il più grande impianto di Roma privo di pista d’atletica, tuttora posizionato in una zona strategica tra Maxxi ed Auditorium.

Dal 2014 è in concessione alla FIGC, che ha partecipato ad un bando internazionale con l’obiettivo di restaurarlo e rilanciarlo come stadio del rugby, ma attualmente è in evidenti condizioni di degrado. Sicuramente la Lazio non è intenzionata a prendersene cura: “Vogliamo un nuovo stadio senza ricorrere allo stratagemma dello Stadio Flaminio, che non ha alcun requisito e condizione oggettiva per essere lo stadio della Lazio”, ha dichiarato recentemente Claudio Lotito.