JPP: Monsieur Gol, anatomia del re dei gol impossibili - Zona Cesarini
(credits: goal.com/it)

JPP: Monsieur Gol, anatomia del re dei gol impossibili

Un acronimo è genericamente un nome formato con le lettere o le sillabi iniziali di una serie di parole di una frase o di una definizione, come se fossero un’unica parola. Nel mondo del calcio, l’acronimo per antonomasia è senza dubbio “CR7”, ormai vero e proprio marchio formato dalle iniziali e numero di maglia del campione portoghese. Cristiano Ronaldo non aveva probabilmente ancora nemmeno imparato a camminare quando, per le vie di Marsiglia, si iniziava a venerare “Monsieur Gol”; un altro pallone d’oro, un altro giocatore famoso per le sue iniziali: JPP.

Jean-Pierre Papin; un talento capace di cose talmente uniche da costringere i media francesi a coniare un sostantivo soltanto per lui: La Papinade non può essere spiegata, prevista o insegnata. Dipende solo da lui (Papin), dai suoi neuroni, la sua incredibile relazione emotiva con la palla che gli permette di calcolare come un computer la traiettoria, la velocitá, il peso della sfera, ed istantaneamente tradurre il tutto in un gesto tecnico unico.” (Jacques Thibert)

Un termine che parallelamente al suo eponimo ebbe diversi anni di gloria prima di cadere nell’oblio dei neologismi giornalistici.

Jean-Pierre Papin è probabilmente uno dei primi nomi di calciatori che ho imparato, il suo gol contro il Porto è la memoria più nitida delle videocassette dei successi del Milan dei primi anni ’90 che guardavo assieme a mio padre la domenica mattina. Il destro al volo, la corsa verso la bandierina con il dito rivolto al cielo dei miei cinque anni, il sorriso felice di uno che è consapevole di aver appena confezionato l’ennesima “papinade” sono romanticamente i miei primi ricordi da tifoso del Milan. Per questo motivo nemmeno provo ad essere equilibrato quando parlo di lui.

Il primo pensiero quando sento “JPP”: il magnifico gol ad Oporto, tanto bello quanto decisivo.

Segna i suoi primissimi gol all’Institut national du football de Vichy, un centro di formazione calcistica fondato nel 1972 e chiuso nel 1990, del quale è probabilmente il talento più cristallino. La formazione si conclude col passaggio in Ligue 2 nel Valenciennes prima, in Belgio nel Club Bruges poi, con il quale alza il suo primo trofeo, una Coppa del Belgio. 35 gol nei primi due anni da professionista gli valgono una convocazione per i Mondiali dell’86, nonostante le 0 presenze nella Ligue 1, nonostante i 22 anni appena compiuti.

Nel 1986 Bernard Tapie rileva l’Olympique Marsiglia; l’ambizioso imprenditore parigino guiderà il club fino all’affaire VA-OM del 1994, una vicenda di corruzione in cui emerse che alcuni giocatori del Valenciennes vennero pagati per truccare il risultato della partita contro il Marsiglia, così che i giocatori potessero riposare in vista della finale di Coppa dei Campioni contro il Milan prevista pochi giorni dopo. Nella estemporanea esperienza alla guida de Les Phocéens, Tapie riuscí a costruire una squadra capace di vincere tutto in pochi anni, che annoverava tra le sue file, tra gli altri, Abedí Pelè, Pallone d’oro africano nel 1991, 1992 e 1993, Didier Deschamps, Marcel Desailly, Fabién Barthez e, ovviamente, JPP.

L’inizio non è dei migliori, JPP è già “Monsieur Gol”, ma Marsiglia è una piazza esigente; Papin fa fatica ad ingranare, e, a causa di qualche gol facile sbagliato di troppo, JPP diventa “J’en peux plus”, ovvero “non ce la faccio più”.

«Tapie voleva vincere, tutto e subito. Con lui c’era evidentemente un problema: arrivava a mezzogiorno, parlava poco con noi giocatori, diceva qualcosa solo nei match importanti, poi urlava con i giornalisti».

Ma il francese non ci impiega troppo a cambiare pelle e, a suon di gol, si lava via lo scomodo epiteto datogli dai tifosi. Il primo prototipo di “papinade” arriva già qualche giorno prima di Natale, contro il Racing Paris, sotto gli occhi increduli di Franz Beckenbauer, all’epoca allenatore della Germania, venuto ad osservare lo stato di forma del compagno di squadra Karl-Heinz Förster.

Jean-Louis Zanon taglia il campo con un cross teso dalla destra che JPP raccoglie con un tiro al volo dal limite dell’aria, il portiere parigino può solo guardare la palla insaccarsi alle sue spalle ed applaudire un gesto tecnico che non sarebbe logicamente possibile.

È l’ennesima ripetizione di questo gesto magico che, sedici mesi dopo (OM-Niort 1-0), fece per la prima uscire il neologismo “papinade” dalla penna di Alain Pécheral: “Non so spiegare perché. Mi venne, spontaneamente, come omaggio al gesto in sé. L’espressione fece fortuna, portando Papin in un’altra dimensione rispetto agli altri attaccanti dell’epoca. E le papinades iniziarono ad accumularsi nelle reti avversarie, tanto da diventare una sorta di biglietto da visita del futuro pallone d’oro.”

La Genesi di “papinade”: un destro al volo praticamente impossibile, incredibile la semplicità con cui JPP si coordina, come fosse la cosa piú logica possibile. Il leitmotiv delle papinade è l’incapacità di reagire del portiere: non ha nemmeno il tempo di capire cosa sta succedendo che già deve girarsi a raccogliere il pallone.

I 134 gol di JPP con la maglia dell’OM sono un continuo omaggio all’estetica, un magico connubio tra una mente granitica ed un corpo esplosivo, che portano il francese a vincere quattro campionati francesi consecutivi, a ricevere il riconoscimento di atleta del secolo dell’Olympique Marsiglia, e, come coronamento ad una stagione da capocannoniere, il Pallone d’Oro 1991-92.

Le papinade scalano le Alpi per arrivare fino in Italia, dove Berlusconi, sempre alla ricerca di giocatori che potessero aumentare il tasso tecnico del suo edonistico Milan di inizio anni ’90, fa di tutto per tingere la maglia numero 9 di Papin di rossonero. Marsiglia gli dà un addio da eroe, nonostante il Milan fosse a tutti gli effetti una rivale in Europa; un Velodrome gremito saluta per l’ultima volta l’artefice dell’estemporanea ribalta biancazzurra.

«Un sogno. Certo, lasciare Marsiglia non è stato facile. Lo sport è così: un giorno sei in alto, il giorno dopo sei giù. Io volevo intraprendere un’altra sfida. Al microfono davanti a 40.000 persone ho dovuto annunciare che partivo per un club nemico. Ho un souvenir incredibile di quel giorno. Ma andavo a giocare con la squadra che era in quel momento più forte. In particolar modo andavo a giocare con Marco van Basten, con cui non vedevo l’ora di provare l’intesa».

Il primo squillo di JPP è a San Siro contro la Lazio; raccoglie un lancio di 70 metri di Gullit, salta con un sombrero il portiere ed insacca. Bel modo per prendersi la prima delle tante standing-ovation dei tifosi.

Il battesimo del gol di JPP in maglia rossonera, un sombrero volante che sembra quasi facile, e poi ad esultare con la sua espressione soddisfatta.

La sontuosa prestazione di Papin contro l’Ancona: con un insolito numero 10 alle spalle segna con una papinade prima, e su punizione poi. Degna di nota l’intervista finale in un italiano quasi perfetto con il solito sorriso genuino stampato in faccia.

Saranno 33 gol in 62 presenze, un bottino invidiabile considerando che spesso il francese non figurava nell’undici titolare; in ogni caso un biennio, quello milanese, più che positivo per JPP, che vince tutto quello che c’era da vincere (due campionati, una supercoppa e una coppa dei campioni), prima di lasciare a malincuore il Diavolo: «Eravamo in sei attaccanti, avevano bisogno di tre. A me è rimasto di avere vissuto, seppur per due sole stagioni, un sogno. E in questo sogno aver vinto tutto.»

Con la nazionale francese Papin mette a segno 30 gol in sole 54 presenze; qui quello contro il Belgio, tipico Papin: raccoglie un cross telefonato e in acrobazia dal limite dell’area di rigore insacca. Simple as that.

il Milan è di fatto l’ultima tappa a certi livelli di una carriera, la sua, compromessa dai successivi infortuni in Baviera («Non so cosa mi sia successo. Al Bayern io, che mai mi ero infortunato, mi sono fatto male al ginocchio. In un anno ho subito cinque operazioni»), e, soprattutto, da una rara malattia che colpì la figlia Emily. La malattia è un pallone che JPP non riesce a trasformare in oro, salta gli allenamenti per volare negli Stati Uniti da uno specialista; non senza critiche: «I media si sono accaniti contro di me, ero considerato menefreghista, finito».

È qui che appare il lato più umano del sempre sorridente JPP, in una lunga e commovente intervista lasciata a Canal+ racconta le difficoltà di Emily; i tifosi di tutte le squadre si stringono attorno al campione francese, che fonda un’associazione per sensibilizzare la malattia che perseguita la figlia: “Neuf de coeur“, nove come il suo numero di maglia, ma nove anche come le ore di terapia che Emily deve affrontare giornalmente.

Papin non abbandona il calcio; dopo due deludenti anni in Germania, che lo vedono comunque vincitore di una coppa UEFA, torna in Francia, dividendosi, con tutte le relative difficoltà, tra casa con sua figlia ed allenamento.  “Io ho chiesto di fare tre allenamenti a settimana e di stare tre giorni a casa. Eravamo tornati in Francia, credevo di poter allentare un po’ i ritmi, ma senza allenamento ti mangiano la testa”. Tenta anche, con risultati invidiabili, la carriera di allenatore, portando ad un’insperata promozione lo Strasburgo al primo anno, prima di ritornare a giocare, a 45 anni, coi dilettanti del Facture Biganos.

Dopo vent’anni di carriera si dedica ormai quasi esclusivamente alla figlia ed alla sua associazione benefica; quando gli chiedono se ha un motto, risponde senza esitare: “Droit au but!”, “diretto verso il gol”; e di gol ne ha lasciati forse meno di quanti avremo sperato, ma abbastanza per ridimensionare l’ideale di acrobazia, rendendola di fatto un qualcosa di “normale”, riscrivendo con il suo nome l’immagine di gol speciale.

È probabilmente passato troppo in fretta Papin, abituandoci a standard esageratamente alti per essere emulati da qualcuno dopo di lui; ma probabilmente è meglio così, perché solo JPP è “Monsieur Gol” e solo JPP può deliziare con le sue “papinade”.

Muriel Barbery, francese come JPP, scriveva“Il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando. È l’effimera configurazione delle cose nel momento in cui ne vedi insieme la bellezza e la morte.” Sembra quasi che alluda ad un gol di Jean-Pierre Papin.