Cosa aspettarsi dalla Serie A 2017-18 - Zona Cesarini

Cosa aspettarsi dalla Serie A 2017-18

Ci siamo presi un po’ più di tempo del solito perché volevamo vederci chiaro. O meglio, passate le prime due giornate e soprattutto concluso un mercato estenuante, che ha portato significativi cambiamenti in molti club di Serie A, nove diversi autori si sono messi d’accordo per provare a dare un senso al campionato 2017/18 con pronostici e previsioni assolutamente non richiesti. Di seguito, i temi – e i protagonisti – che segneranno la stagione appena iniziata.

Potenziale rivelazione

Alberto Mapelli

Non so se è possibile definire rivelazione una squadra che l’anno scorso è stata in grado di battere squadre dal blasone decisamente superiore come Inter, Roma e Milan. Eppure la rivoluzione che ha investito soprattutto il reparto offensivo rende la Sampdoria la mia candidata numero uno a “sorpresa dell’anno”. Partiti Schick, Muriel, Bruno Fernandes (altrimenti detti 27 dei 49 gol siglati dai doriani nella scorsa Serie A) e Skriniar ci si potrebbe aspettare il classico campionato di medio livello dalla squadra genovese.

Per non dimenticare quello che poteva dare Patrik alla Sampdoria…

Invece sono convinto che il collettivo di Marco Giampaolo possa stupire e agguantare un posto in Europa League per la prossima stagione. Il sistema di gioco propositivo adottato dal mister ex-Empoli, in grande rilancio dopo anni di dimenticatoio, è ormai digerito dalla spina dorsale della squadra e il mercato è stato condotto in maniera molto intelligente, con innesti funzionali e potenzialmente in grado di generare ulteriori plusvalenze. Per sostituire il centrale slovacco è stato acquistato Ferrari dal Sassuolo mentre la batteria dei terzini è stata rimpolpata  con gli innesti di Murru e Strinic in grado finalmente di fornire uno sbocco di qualità anche sul lato mancino del campo.

Praet, Linetty e Torreira sono di fronte alla stagione in cui avranno ampi spazi per esplodere definitivamente o per rilanciarsi dopo un anno di apprendistato. Gaston Ramirez torna finalmente nel campionato in cui è riuscito a fare la differenza e a costruirsi un nome in campo internazionale. Quagliarella è chiamato all’ennesima stagione da attaccante sempreverde e avrà il compito di assistere l’inserimento di Gianluca Caprari e Duvan Zapata, due giocatori in grado di esaltarsi in un contesto organizzato come quello di Giampaolo.

Nel frattempo Quaglia ha iniziato discretamente la stagione per non mettere fretta ai nuovi arrivati

Alle potenzialità intrinseche della rosa vanno aggiunte le condizioni della classe medio-alta del campionato italiano. La Fiorentina ha vissuto una rivoluzione totale e avrà bisogno di tempo per sistemarsi, l’Atalanta ha perso la maggior parte dei gioielli della corona ed è chiamata ad onorare il doppio impegno Italia-Europa mai sperimentato, la Lazio deve riuscire a sostenere anch’essa il duplice fronte, cosa mai riuscita pienamente ai bianco-celesti. Con queste premesse una tra Torino, Sassuolo e Sampdoria potrebbe approfittarne per riuscire a vivere una stagione sorprendente: la qualità del gioco espressa nella scorsa stagione mi fa propendere per la squadra di Marco Giampaolo.

Lotta salvezza

Alberto Mapelli

SPAL, Benevento e Hellas Verona sono le tre neopromosse e le maggiori indiziate a dover combattere con le unghie e con i denti per non perdere immediatamente la categoria. Ad esse va aggiunto il Crotone, salvatosi miracolosamente lo scorso anno ma destinato nuovamente ad un anno di lacrime e sangue.

A inizio mercato l’Hellas sembrava sicuramente un passo avanti a queste altre tre squadre, vista la presenza di un qualche calciatore pienamente di categoria, su tutti Pazzini. Alla fine di questa lunga estate Pecchia sembra già in difficoltà nel gestire il gruppo, cui sono stati aggiunti giocatori dalla dubbia resa (Caceres, Cerci, Kean, Seuong-Woo Lee, …), e con un attacco che garantisce davvero pochi gol certi senza il reintegro di Pazzini, separato in casa per attriti a quanto pare irrisolvibili con il tecnico.

Al contrario, la SPAL ha imparato la lezione guardando il Pescara di Oddo della scorsa annata. A poco serve avere un’identità tattica ben delineata se non si hanno giocatori, soprattutto offensivi, in grado di reggere la pressione di una lotta salvezza serrata. Mister Semplici ha visto quindi un gran via vai di giocatori ma in maniera coerente con il suo progetto tattico. Oikonomou, Felipe, Viviani e Grassi sono un mix di esperienza e gioventù già acclimatata alla massima serie, anche se l’uomo da cui passeranno la maggior parte delle speranze salvezza è indubbiamente Marco Borriello, giocatore in grado di garantire 10-15 gol a campionato e che innalza il livello tecnico della rosa a tal punto da mettere la Spal come favorita per la permanenza in A tra le quattro squadre citate.

Borriellone è già a quota 1

Il Benevento e il Crotone sono due squadre dalle simili nelle speranze di rimanere in Serie A, con i calabresi leggermente avvantaggiati dall’esperienza accumulata nell’epica salvezza raggiunta pochi mesi fa. Tuttavia ad entrambe manca qualcosa, soprattutto nel reparto offensivo, per il momento non in grado di garantire quel numero di marcature necessarie per strappare qualche punto contro le squadre di medio-bassa classifica. Amato Ciciretti si candida come punto di riferimento per la rosa allenata da mister Baroni mentre in Calabria ci si aspetta un’ulteriore crescita da Marcello Trotta e Ante Budimir, incaricati di prendersi la scena dopo il rientro a Sassuolo del leader tecnico della scorsa stagione, Diego Falcinelli.

Amato Ciciretti, il vostro nuovo giocatore di culto

Possibili catastrofi: Udinese (incomprensibile lo “scambio” Maxi Lopez-Thereau all’ultimo giorno di mercato), Genoa (ambiente sempre sul punto di implodere, con la querelle Preziosi-siPreziosi-no per ora irrisolta) e Bologna/Cagliari (a seconda delle speranze che riponete in Destro/Pavoletti). Tutte quante hanno comunque una cifra tecnica superiore alle altre sopra citate.

Il Capocannoniere

Leonardo Capanni

Inizio subito col nome: Mauro Icardi. Scontato, banale, quasi offensivo. E forse è tutto vero, perché mai come quest’anno l’argentino parte come favorito nella corsa dei bomber. Allo stesso tempo, mai come quest’anno, alcuni elementi ci forniscono la chiave di lettura per il possibile trionfo di Icardi, fino ad oggi mai laureatosi in solitaria capocannoniere della Serie A (condivide il primato 2014/15 con un 38enne Luca Toni). Arrivato ad una maturazione totale nell’interpretazione del ruolo di prima punta, finalmente soddisfatto del lautissimo rinnovo contrattuale con l’Inter, e oggi a disposizione di un allenatore che intorno alla vena realizzativa dei propri centravanti, almeno negli ultimi anni, ha creato una sorta di dogmatismo.

Non che ci fosse bisogno di sofisticate alchimie per assecondare la vena realizzativa di Icardi. Marcato molto passivamente, e su un ottimo cross di Perisic, la schiaccia in porta materializzandosi come un condor in picchiata dalla vetta delle Ande.

Spalletti pare avere le idee chiare: la sua Inter, passata sottotraccia nella soap-opera estiva del calciomercato, presenta sì qualche lacuna numerica ma allo stesso tempo è già espressione spallettiana, per quanto in progress. Acquisti come Skriniar, Vecino e Borja Valero e, in chiave futura, Cancelo e Dalbert, sembrano la perfetta chiave di volta per una squadra finalmente codificata, propositiva, capace di gestire con ordine e pulizia l’uscita palla dalla difesa e il possesso con il quadrilatero Miranda-Skriniar-Borja-Vecino, e la ricerca della superiorità posizionale tra le linee. Un insieme di concetti che, uniti a una fisicità e un dinamismo prorompenti sulle ali, piegano il campo in discesa in favore del lavoro di Icardi.

Perfetto nell’interpretare il set di movimenti per i compagni e nello sfiancare le linee difensive avversarie attraverso le sue tipiche movenze dentro/fuori, letale nella nobile arte dello smarcamento ed efferato nella risoluzione in gol di ogni palla che gravita negli ultimi 20 metri. Mai come quest’anno, insomma, Icardi gode di un contesto che si regge su fondamenta solide, concettualmente evoluto, all’interno del quale potrà irrobustire il ruolo di killer spietato. Più occasioni, più palloni giocabili, più qualità, più consapevolezza collettiva: l’habitat naturale per un numero 9.

Filtrante di Candreva largo, posizionamento del corpo agli antipodi rispetto alla porta, aggancio con fatica. Eppure riesce a segnare con uno strano movimento simil-calcetto. Letale.

Una condizione esistenziale perfettamente sintetizzata proprio da Spalletti pochissimi giorni fa: “È uno fatto di una pasta diversa, dentro l’area di rigore riesce subito a fare la sintesi tra il posizionamento della porta e quello del portiere. Sa adattare il suo modo di calciare in base alla situazione.” Un pensiero che racchiude in sé sia un identikit che un’investitura.

A 24 anni, con 86 gol in serie A e un assurdo tasso di conversione tiri/gol del 75% in queste prime due giornate, Icardi si candida ufficialmente al ruolo di capocannoniere-cannibale del campionato. Quota finale? Azzardo i 30, e forse oltre. Un massacro: l’odore del napalm al mattino.

La Roma dopo Totti

Michele Pelacci

Dopo l’ennesima estate di profondi cambiamenti, la Roma si trova con poche certezze e un futuro incerto davanti a sé, nonostante la stagione corrente sia particolarmente importante per confermarsi ai vertici del calcio italiano e intraprendere una significativa crescita europea. Arrivati secondi al termine dello scorso campionato, con un finale molto Roma, i giallorossi devono quest’anno affrontare un girone   complicato di Champions, una competizione in cui la Roma ha più perso (34) che vinto (32) nella propria storia. Uscire dalle prime quattro in campionato, inoltre, equivarrebbe ad un suicidio economico, ancorché prima che sportivo.

La prima estate nelle mani di Monchi ha visto le cessioni illustri di Salah, Rüdiger e Paredes. Il tesoretto è stato in gran parte utilizzato per far atterrare a Fiumicino giocatori un mix di veterani e ragazzi davvero interessanti: Ünder, Karsdorp, L. Pellegrini, Kolarov, Héctor Moreno, Gonalons, Defrel, Schick. Tra infortuni (i due terzini presumibilmente titolari, Bruno Peres e Karsdorp, sono ai box) e acquisti dell’ultimo minuto, Di Francesco non ha ancora potuto schierare la formazione dei suoi sogni: modello ideale che merita una più dettagliata analisi.

Abbiamo imparato a conoscere Di Francesco come un integralista del 4-3-3: a Sassuolo le sue ali avevano movimenti e compiti ben precisi, le mezzali sapevano come e quando buttarsi negli spazi, i terzini erano spesso alti ed offensivi in appoggio alla manovra. Eppure, a Roma non ha semplicemente i giocatori per il suo modulo (a meno che non voglia impiegare El Shaarawy e Perotti ogni singola volta). Anche per questo ha fatto discutere l’acquisto di Patrik Schick: come scriveva qui Leonardo Capanni, la sua migliore caratteristica è quella di fare gol, un sacco di gol, in tanti modi diversi. Nella Samp di Giampaolo giocava a fianco di Muriel o Quagliarella in un 4-3-1-2, lo stesso modulo verso cui si ritiene possa virare in tempi brevi Di Francesco.

Un cambio di modulo (analogo a quello sarriano agli albori del Napoli 2015/2016) costringerebbe poi ad un ripensamento nelle gerarchie in mezzo al campo. Col rombo, Nainggolan potrebbe essere il trequartista/incursore à-la Boateng nel Milan di Allegri, Strootman interno sinistro di centrocampo con il rientrante Florenzi mezzo destro e DDR vertice basso. Non suona male per una squadra all’ennesimo rebuilding forzato e che sul mercato si è mossa cercando di ammassare talento e occasioni più che seguendo una reale luce in fondo al corridoio.

Ottima la scelta di Monchi di allungare la rosa con acquisti a basso prezzo: rimpiazzare Salah risultava troppo costoso? Il miglioramento del livello medio della rosa potrebbe essere ugualmente efficace. Starà a – usando una parola molto cara agli italiani dopo Spagna-Italia – Di Francesco essere flessibile e adattando le proprie idee al materiale umano a disposizione. Dal grado di riuscita di questa delicata operazione verrà decretato il successo della stagione giallorossa.

Se poi Dzeko facessi click, esaltato dal gioco di EDF…

Juve, il settimo sigillo?

Gianluca Lorenzoni

Gli ultimi mercati estivi della Juve hanno sempre lasciato un senso di vaga incertezza sulla positività del saldo acquisti/cessioni (dal punto di vista tecnico), facendo sorgere sistematicamente la domanda se ne sia uscita rafforzata o indebolita. La politica della società in questa sessione è stata abbastanza chiara, almeno nelle linee guida: preso atto che fosse impossibile portare a Torino dei veri e propri eredi di Bonucci e Dani Alves, Marotta e Paratici hanno cercato di alzare il tasso tecnico generale puntando sulle “opportunità” offerte dal mercato per consegnare ad Allegri una rosa lunghissima soprattutto dalla metà campo in avanti (i due reparti che a Cardiff hanno manifestato la mancanza di alternative). Basti pensare che nelle caselle lo scorso anno occupate da Rincon e Lemina ci sono adesso Matuidi e Marchisio. Proprio gli arrivi del capitano della nazionale francese e del tedesco Höwedes permettono quella fluidità tattica propria del tecnico livornese rendendo allo stesso tempo molto complicato tentare di inquadrare la squadra bianconera dentro un copione prefissato.

In attesa di una nuova invenzione del mister (Cuadrado terzino?) si ripartirà dal 4-2-3-1 dello scorso anno, anche se chi si aspettava il lancio in grande stile dei nuovi sarà rimasto probabilmente deluso dalle prime due uscite stagionali (zero minuti per Bernardeschi e De Sciglio, appena sedici per Douglas Costa). Almeno lex Bayern, le cui caratteristiche rappresentano un unicum nel panorama della Serie A, non dovrebbe tardare molto ad insediarsi nell’undici titolare, anche se scalzare Mandzukic o un Cuadrado già decisivo potrebbe risultare più complicato del previsto.

Gli unici inamovibili al momento sembrano essere soltanto Alex Sandro, Pjanic, Dybala e Higuain, con ballottaggi aperti in tutti gli altri ruoli. Quest’abbondanza potrebbe anche finire per togliere qualche certezza, come successe due anni fa dopo gli addii di Tevez, Pirlo e Vidal, rendendo necessario un periodo di rodaggio per sciogliere i nodi che inevitabilmente si presentano quando si cambia così tanto.

Nella rimonta di Genova si è forse intravisto un primo ipotetico scacchiere: difesa a quattro asimmetrica, con Alex Sandro delegato alla spinta e Lichtsteiner bloccato come terzo centrale in quello che assume l’aspetto di un 3-4-3 fluido, con Cuadrado sulla linea dei centrocampisti e Mandzukic che entra dentro al campo più vicino a Dybala e Higuain.

In questo contesto, comunque in divenire, fondamentale sarà l’apporto di Höwedes in luogo dello svizzero, che insieme a Rugani dovrebbe sgravare Pjanic dalla prima costruzione evitando al bosniaco di schiacciarsi troppo vicino alla propria area. L’altra variabile è rappresentata da Matuidi, mezzala perfetta in un centrocampo a tre (o cinque). Resta qualche dubbio sull’impiego di Bernardeschi, acquisto forse più di prospettiva ma già utile come vero e proprio jolly offensivo.

Stoffa pregiata nelle mani di Allegri, che ha già abbondantemente dimostrato di essere un sarto sapiente nel cucire l’abito giusto, magari non elegantissimo ma tremendamente funzionale e adatto a tutte le occasioni. In conclusione, al netto delle cessioni sanguinose che hanno privato la squadra dei due registi arretrati e che quindi potrebbero far emergere qualche difficoltà, la Juve è ancora la squadra da battere con un reparto offensivo, per qualità e varianti, unico in Italia, checché ne dica Squawka.

L’Inter di Spalletti

Gio Piccolino Boniforti

L’Inter storicamente ha fatto bene – o ‘vinto qualcosa’ che dir si voglia -, quando ha avuto alla guida allenatori dalle spalle abbastanza larghe per riuscire a trascinarsi dietro il club. La lista è abbastanza lunga: dal Mago Herrera fino a José Mourinho, passando per Giovanni Trapattoni, gli esempi non sono pochi. Anche perché a livello comunicativo manca sempre qualcosa tra le fila dirigenziali: dalle gaffes dello speculatore/idealista Thohir si è passati a Steven Zhang, troppo giovane e docile caratterialmente per sopravvivere nella vasca di squali dei dirigenti di club italiani, e che dopo qualche passo falso ha scelto un ruolo defilato di auto-imposta banalità negli interventi.

Da qui la speranza di tutti i tifosi che si torni prima di tutto a farsi rispettare – e fidatevi: anche Javier Zanetti è troppo politically correct e signorile per gettarsi nell’acquitrino delle diatribe all’italiana -, e poi magari anche a vedere una parvenza di buon gioco. In attesa di capire come aggirare i blocchi agli investimenti imposti dal Governo cinese, il mercato si è bruscamente interrotto a uno Schick o un Keita dalla piena sufficienza, rendimento di Cancelo e Dalbert a parte. Per una volta, il mercato lo ha fatto l’allenatore e forse sono state colmate le storiche lacune degli esterni difensivi e del regista basso: Borja Valero, e il sempre sottovalutato Vecino, sembrano adatti al gioco del Vate di Certaldo, e offrono più trame di gioco, soluzioni e garra di Kondogbia e Gagliardini.

In attesa di capire cosa farà Brozovic da grande e se Karamoh sia il nuovo Biabiany o qualcosa di meglio, la rosa è stata sfoltita per la prima volta da tanti anni. Se le diverse incognite gireranno nel verso giusto – ovvero: continuità della sorpresa Skriniar (anche perché, nel caso d’infortuni, l’unica cosa che separa Gagliardini dal ruolo di centrale difensivo è lui) e tenuta fisica di qualche elemento chiave -, il quarto posto è più che alla portata. Nel dubbio, c’è sempre Maurito Icardi:

 

Milan, la sfida di Montella

Simone Torricini
Credo che, al netto di una sessione di mercato eccellente sia in entrata che in uscita, la stagione che attende il Milan sia ben più complicata della media. Ri-costruire partendo da investimenti di medio-grande portata (ossia la linea guida scelta dalla dirigenza rossonera) non porta risultati immediati sulla carta, e con tutta probabilità sarà così anche nei fatti.
Certo, Montella si è già dimostrato abile in tal senso nella sua prima annata a Firenze, ma il contesto era talmente differente che i paragoni si sprecherebbero: la sua Fiorentina ripartì con un nucleo di giocatori esperti ma in cerca di rilancio (Borja Valero, Pizarro, Aquilani, Gonzalo Rodriguez) uniti ad un gruppo meno nutrito di giovani in rampa di lancio, su tutti Jovetic. L’esborso economico per quella sessione di mercato fu minimo e legato soprattutto agli ingaggi, e nessuno si sarebbe aspettato un tale exploit nella prima stagione da quarto posto.
Al Milan sono arrivati tanti giocatori, ed assemblarli non nel corto ma nel lungo periodo richiederà pazienza e comprensione. La maggior parte dei membri dell’undici titolare non conosce i compagni di reparto se non per qualche mese di allenamenti, e se da un lato questo dettaglio non intaccherà fin quando le cose andranno bene, dall’altro c’è il rischio che sia estremamente più faticoso tirarsi fuori da periodi di difficoltà dettati dall’eccessiva spinta delle ambizioni, e quindi dalla pressione.
L’aria che si respira a casa Milan non è né può essere leggera: se Montella riuscirà a governarla con successo potrà lottare per il titolo fino alla fine; se viceversa non dovesse riuscirci con sufficiente continuità (opzione per cui sono più propenso) un piazzamento più veritiero potrebbe essere il minimo sindacale: il quarto posto.

Napoli: favorito suo malgrado

Federico Castiglioni

A pensarci un attimo, questo fatto non sembra avere molto senso. Il Napoli bello e talvolta impossibile di Sarri, 3° classificato nell’ultima stagione, è assurto a favorito nella lotta scudetto. E se non da favorito quantomeno se ne parla come se il gap con le rivali, anzi con LA rivale, la Juve, fosse azzerato. Ma cos’è cambiato?

In casa azzurra, a ben guardare, non è cambiato niente. Il mercato di De Laurentiis è stato conservativo fino all’osso: pagati i costosi riscatti già programmati di Rog (ottimo) e Maksimovic (drammatico), sono arrivati Ounas, talentuoso esterno mancino classe ’96, e Mario Rui, vecchia conoscenza di Sarri all’Empoli reduce da una sfortunata stagione a Roma, mentre sono partiti Strinic, ceduto alla Samp insieme all’ipervalutato Duvan Zapata in un pacchetto da 5+17 milioni, e Pavoletti in direzione Cagliari. Infine è “arrivato” Inglese dal Chievo per 10 milioni, dove comunque rimarrà in prestito un’altra stagione.

Continuità pare essere la parola d’ordine. Confermati pressoché tutti, il Napoli è ripartito con 4 vittorie in 4 gare ufficiali, centrando agevolmente il primo obiettivo stagionale con il superamento del preliminare Champions. E proprio la continuità sembra esser il valore aggiunto del Napoli, a fronte di una Juve dal mercato di vago sapore morattiano (“compriamo tutto e poi vediamo se serve”) e delle radicali ricostruzioni di Roma, Milan e Inter.

Ma il giocattolino di Sarri, che sarà chiamato a dar spettacolo su tre competizioni, qualche criticità di organico l’aveva già in passato: a fronte di un centrocampo che forse è il migliore d’Italia per gioco, uomini e persino riserve e di un attacco titolare difficilmente migliorabile che ha come primo (ma forse unico) valore aggiunto – anche come variabile tattica – il recuperato Milik, la difesa si porta dietro ben note problematiche sul breve e sul lungo termine.

Ghoulam e Hysaj sono buoni giocatori, non fenomeni, e il secondo non ha nemmeno un’adeguata alternativa (Maggio, mai stato particolarmente affidabile in una difesa a 4, ha 35 anni), mentre l’abbondanza di difensori centrali non basta a celare il gap tra la coppia Koulibaly-Albiol e i vari Tonelli, Chiriches e Maksimovic; il tutto senza entrare in problemi di ordine tattico relativi alle caratteristiche di Albiol e a quelle del gioco difensivo del Napoli. Riguardo a Reina, il caso di mercato che lo ha visto coinvolto fa pensare che al di là dei soldi qualche perplessità tecnica aleggi sul portiere spagnolo, almeno nei piani alti societari. Ma, a giochi fatti, probabilmente meglio la sua conferma che un cambio di portiere a campionato iniziato.

Insomma, bene seguire la splendida strada tracciata, ma basterà la sola continuità al Napoli per lo strappo finale e puntare finalmente allo scudetto, senza dover abbandonare quel basso e oculatissimo profilo gestionale proprio della società di De Laurentiis?

Il miglior Under 23

Paolo Stradaioli

Considerando che Donnarumma ha perso parecchi punti simpatia quest’estate e inoltre ricopre un ruolo a sé stante nella valutazione complessiva di un giocatore, la nostra attenzione non può che cadere su Sergej Milinkovic-Savic. Sembra impossibile che il centrocampista della Lazio abbia soltanto 22 anni; il dominio tecnico e fisico che impone alla partita dovrebbe presupporre anche una maturità calcistica che di solito si acquisisce più avanti. Lo scorso anno è stato il terzo giocatore di movimento under 23 più impiegato della Serie A dietro ai soli Torreira e Skriniar.

Per il modo in cui Inzaghi senior vede il calcio un giocatore come Milinkovic-Savic è ai limiti dell’imprescindibile. Tra i centrocampisti l’unico ad aver tirato più volte di lui verso lo specchio è stato Marek Hamsik, con il quale condivide una qualità sempre più apprezzata nelle mezzali di qualità e quantità: i tempi di inserimento. Aspetto sotto il quale è molto migliorato, il serbo preferisce attaccare l’area a palla lontana per sfruttare la vera specialità della casa: il colpo di testa.

Nella stagione precedente ha ingaggiato la bellezza di 6,3 duelli aerei dei quali 4,2 portati a compimento, dati che lo collocano ai vertici del campionato italiano. Vincere un duello aereo contro Milinkovic-Savic è estremamente difficile, dal momento che il ragazzo supera i 190 centimetri di altezza ai quali aggiunge un’esplosività al momento del colpo che lo rende un rebus insoluto a queste latitudini.

Una frustata di rara bellezza

Anche quando il pallone gravita ad altezze più consone per il gioco del calcio le qualità del serbo meritano il prezzo del biglietto. Indubbie le sue abilità in conduzione, ha sviluppato anche una discreta sensibilità nel suo destro che lo ha portato a toccare quota 40 occasioni create. Il suo processo di apprendimento è tutt’altro che arenato dal momento che già alla seconda giornata di questo campionato ha tirato fuori un cioccolatino che Immobile non è riuscito a scartare.

Nella metà campo offensiva ha pochissimi limiti e ancora margine per levigare il suo talento. Quando sono gli altri a muovere la palla emergono le note meno liete considerando che ancora fatica nel muoversi in maniera coerente con i compagni e spesso si trova costretto a rincorrere il diretto avversario. Poco male quando la Lazio difende in avanti, dal momento che vincere un tackle con Milinkovic-Savic è difficile anche quando la palla viaggia rasoterra. Insomma, il bagaglio tecnico del ragazzo è notevole e quest’anno è chiamato alla definitiva conferma per lasciare un dolce ricordo a Formello prima di emigrare verso lidi più competitivi. Il tutto con ancora 23 anni da compiere.

Il mister da tenere d’occhio

Niccolò Bennati

Il tema sul “mister rivelazione della Serie A 2017-18” lascia spazio a mille interpretazioni e va inevitabilmente a sovrapporsi con la squadra che ci sorprenderà quest’anno, potendo star certi che un’Atalanta bis ci sarà anche in virtù del piazzamento europeo in più sul quale possiamo contare quest’anno. A questo proposito, l’argent de poche lo punterei su Giampaolo e la Sampdoria, soprattutto perché mi intriga il progetto che sembra totalmente ad uso e consumo del credo del proprio mister, attraverso una campagna acquisti, pure al netto delle tante cessioni importanti, ossequiosa dei feticci tattici dell’allenatore ex Empoli.

Per il resto difficile scorgere qualcosa di superiore nella classe medio-bassa della Serie A, anche se Mihajlovic, Donadoni e Maran potrebbero dare riscontri positivi alle prese con una stagione per qualcuno di riscatto e per qualcuno di consacrazione. Non sono certo questi vecchi lupi della Serie A a poter rispondere alla definizione di “allenatore da tenere d’occhio”, per cui mi gioco le fiches su Leonardo Semplici: tanto giovane ed emergente per gli appassionati della Serie A, quanto già un guru per chi ne ha potuto apprezzare l’irresistibile ascesa attraverso i bassifondi del calcio toscano.

Semplici, già a quattro punti dopo le prime due giornate, dopo aver guidato la SPAL a due promozioni consecutive, si è lasciato convincere della bontà del progetto guidando i ferraresi anche in Serie A ed effettivamente il mercato biancoazzurro si è rivelato buono, seppur caotico, ma, soprattutto, in linea con l’idea tattica del tecnico fiorentino: eclettico sì, ma legato ad alcuni punti fermi come l’imprescindibilità di difensori tutti bravi ad impostare da dietro e a condurre palla (Oikonomou, Vaisanen e Vicari ancor prima di Felipe), quest’anno coadiuvati anche da un regista dagli ottimi mezzi tecnici (Viviani), l’importanza di mezzali particolarmente dinamiche e capaci all’occorrenza di pestare la fascia quasi da esterni e una certa presenza fisica in area di rigore.


E con gol così allo scadere è anche più facile

La sua rosa, insomma, sembra costruita in maniera saggia ed equilibrata, capace di assorbire l’impatto con la categoria, anche in virtù di quanto mostrato nelle prime due sfide: per Semplici potrebbe essere la stagione dell’esplosione, nonostante siano decisamente consistenti le possibilità di uscire dalle prime quattro della classifica per la prima volta in carriera (però, se credete alla cabala, 5 euro sulla SPAL in Champions metteteli).