Edin Dzeko, le sfaccettature del diamante di Sarajevo - Zona Cesarini

Edin Dzeko, le sfaccettature del diamante di Sarajevo

Edin Dzeko non risponde in alcun modo all’archetipo della star contemporanea: attivo sui social (ma non troppo), non ha mai cercato le luci della ribalta per motivi che non fossero prettamente calcistici. I comportamenti sopra le righe si contano facilmente sulle dita di una mano e nei rari casi in cui il Lato Oscuro ha avuto la meglio sul suo essere semplice e genuino, Dzeko è sembrato impacciato e fuori contesto.

Childhood

In un’interessante intervista rilasciata al giornale inglese The Guardian, prima dell’impegno di Champions League contro il Chelsea, l’attaccante bosniaco classe 1986 ha ripercorso i primi difficili anni di vita.

“Non credo di aver avuto un’infanzia, non come quella di un bambino normale per lo meno.”

Racconta Dzeko, nato a Sarajevo sei anni prima che cominciasse la guerra in Bosnia ed Erzegovina: il conflitto costrinse lui e la sua famiglia a lasciare la propria casa, troppo vicina al fronte, per cercare protezione in un luogo più sicuro. Dzeko ritiene di essere stato privato degli anni più felici e spensierati, affermando di aver vissuto la guerra come un periodo di survival, sopravvivenza. Ma se gli viene chiesto quanto spesso ancora pensi alla guerra, Dzeko risponde: ” Ad essere onesti, quasi mai. È qualcosa accaduto ormai diversi anni fa, che ha cambiato la storia di chi l’ha vissuta, rendendoci allo stesso tempo più forti e capaci di apprezzare la vita nei momenti giusti“.

Il top scorer della Nazionale bosniaca con 52 centri all’attivo, maturò fin da piccolo un amore travolgente verso il pallone. Una passione, quella calcistica, che avrebbe potuto pagare a caro prezzo: il 1° giugno del 1993, a Dobrinja, nella Sarajevo occidentale, due granate si abbatterono su un campetto nel corso di un torneo giovanile: 13 morti e 133 feriti il terribile bilancio. Tra i quali avrebbe potuto esserci anche Dzeko, salvato dalla madre che ne impedì la partecipazione pochi giorni prima.

Edin Dzeko con la sua selezione scolastica durante il periodo della guerra.

Finalmente calcio

A guerra terminata Dzeko poté, dunque, cominciare la sua carriera nel mondo del calcio. Fin da subito, l’attuale attaccante della Roma, si contraddistinse per impegno e dedizione unite a caratteristiche tecniche oltre la norma se riferite ad un ragazzo di 193 centimetri di altezza. Fu così che l’esordio nel calcio professionistico avvenne relativamente presto, all’età di 17 anni, in un ruolo tuttavia insolito. Gli educati piedi del bosniaco convinsero i suoi primi allenatori a collocarlo sulla trequarti campo, data la sua innata capacità di propiziare le sortite offensive delle proprie squadre. Il ruolo, però, non calzava a pennello e Dzeko non riuscì mai a farlo del tutto suo.

Edin venne presto ribattezzato “Kloc“, letteralmente lampione, e non è difficile capirne le ragioni. Il ragazzo era già molto alto e leggermente goffo e sgraziato nei movimenti. A cambiarne ambizioni e prospettive future fu l’ex allenatore delle Nazionali giovanili della Repubblica Ceca, Jiri Plisek, il quale ebbe la quanto mai illuminante intuizione di cambiare il ruolo del ragazzino dai piedi buoni, avvicinandolo definitivamente alla porta e trasformandolo in un centravanti puro.

Sotto la guida del suo mentore la stella di Edin Dzeko cominciò a brillare senza spegnersi più. Zeljeznicar, Usti nab Labem e Teplice furono le prime squadre a poter fruire del diamante grezzo proveniente da Sarajevo. Infine il passaggio al Wolfsburg, e l’approdo nel calcio che conta. Agli ordini del dispotico Felix Magath, Dzeko segnò come mai prima. Fate pure 85 gol in 142 partite, formando con il brasiliano Grafite un tandem d’attacco esplosivo: il più prolifico nella storia della Bundesliga nell’anno del titolo dei Lupi.

Trascinati da Dzeko, infatti, die Wolfe vinsero, nel 2009, il primo ed unico Meisterschale della loro storia. Dopo esserne diventato capitano, nel gennaio del 2011 Dzeko lasciò il club targato Volkswagen per abbracciare Roberto Mancini, lo sceicco Mansour ed i petroldollari emiri (35 milioni il costo del suo cartellino) nell’emergente Manchester City.

Ma l’amore tra Edin ed i Citizens non sbocciò mai del tutto. Nonostante ciò, Dzeko continuò a segnare e vincere: fu attore protagonista del primo titolo del City dopo 44 anni di digiuno ( suo il momentaneo 2 a 2 nella pazza, ultima sfida contro il QPR) e complessivamente portò a casa 5 trofei, 50 goal e qualche critica di troppo.

Centravanti atipico

Malgrado i numeri possano essere in tal senso fuorvianti, il centravanti della Roma non può essere considerato un bomber di razza, o meglio, non solo un bomber di razza. Cresciuto come trequartista, Edin non ha mai smarrito gli input associativi tipici del regista avanzato. Se discerniamo le occasioni in cui appare come un elemento solo ed intristito, Dzeko non aspetta che sia la partita a venire da lui, ma la asseconda: cerca la sfera con insistenza, tessendo le trame della manovra con cura e dedizione e dimostrando un senso del gioco ampio, funzionale al collettivo.

Dzeko viene incontro, creando lo spazio per la transizione positiva e l’attacco alla profondità, si libera di due avversari e lancia Salah in campo aperto.

Il fu Kloc tocca il pallone in innumerevoli circostanze nell’arco di una partita. Non dovrà, per tanto, stupire vederlo fraseggiare con le mezzali sulla linea di centrocampo per poi trovarlo, pochi istanti dopo, a concludere in piena area di rigore. A tal proposito, risulta significativa di questo approccio al gioco la heat map del #9 giallorosso attinente alla partita del 26 agosto scorso contro l’Inter, in cui abbandona spesso la propria zona di competenza offrendo sempre un valido appoggio ai compagni per favorire l’uscita della palla dalla pressione avversaria.

In un’analisi comparata con il centravanti per antonomasia di questa prima parte di stagione, Mauro Icardi, notiamo come l’argentino tocchi il pallone molto meno (21 volte, quasi la metà rispetto a Dzeko) e costantemente in posizione centrale.

Le heatmaps di Dzeko e Icardi in Roma-Inter. Risulta chiaro come il bosniaco sia molto più nel vivo del gioco rispetto all’argentino, il quale, però, risulterà decisivo per l’1 a 3 finale.

La partita dell’Olimpico non è da considerarsi una tantum  in tal senso. Dzeko in stagione serve in media 1,6 passaggi chiave per partita, a fronte dello 0,9 del centravanti argentino. Nel corso dello scorso, straripante campionato, Dzeko oltre ad essersi laureato capocannoniere, cestisticamente parlando ha sfiorato la doppia/doppia con 29 gol e 9 assist, sulla falsa riga di quanto fatto vedere nelle migliori stagioni al Wolfsburg. Il bosniaco è, quindi, un attaccante che segna, e fa segnare.

In controtendenza con ciò di cui sopra ci sono le prestazioni nelle stagioni di Manchester, in cui Dzeko veniva utilizzato “solamente” come puro vertice offensivo, vedendo vanificato parte del suo potenziale. Esiste allora un punto debole di fronte al suo stile di gioco così completo?

Bene ma non benissimo

Edin Dzeko tira tantissimo. Nella prima parte di stagione ha già calciato a rete in 66 circostanze (primo per distacco in tutta la Serie A), di cui 40 nello specchio della porta e le restanti 26 fuori. Numeri complessivamente a dir poco invidiabili. Lo scorso campionato aveva addirittura fatto meglio, calciando in media 5,25 volte ad allacciata di scarpini. Il dato che riporta la conversione in rete di un numero così alto di occasioni e mole di gioco è, tuttavia, sconfortante.

A tal scopo abbiamo utilizzato gli Expected Goals (xG), un indice statistico che si sta facendo sempre più largo nell’analisi calcistica. Permette di calcolare i Goal Attesi da parte di una squadra o, come nel nostro caso, di un singolo calciatore. Utilizzando come campione le 16 partite giocate fino ad ora in Serie A, il valore di xG di Dzeko è pari a 9,67: significa che in un mondo perfetto il numero 9 giallorosso avrebbe dovuto segnare almeno 1,67 gol in più.

Persino l’anno scorso Dzeko è stato inefficiente secondo quanto riportano le statistiche avanzate. Il valore di xG traslato sulle 37 partite da lui disputate corrisponde a 32,40, il che dimostra che avrebbe dovuto segnare almeno 3 o 4 gol in più rispetto ai 29 realizzati.

Mauro Icardi, invece, ha un valore di xG sulle prime partite della stagione in corso uguale a 11,56. In parole povere, Icardi sta segnando molto più di quanto era preventivabile in virtù delle occasioni avute. I gol in stagione di Maurito sono addirittura 17. Il grafico sottostante mostra come Icardi tiri meno rispetto a Dzeko, con una aspettativa minore, ma con un’efficienza realizzativa di gran lunga superiore.

(Fonte: understat.com)

Dzeko, per riassumere, è abile nel creare e crearsi occasioni da gol, ma non altrettanto nel convertirle in rete, come ci si aspetterebbe da un classico numero 9. Il che può essere motivato da diversi fattori, uno su tutti l’enorme mole di lavoro in fase di costruzione che lo lascia probabilmente meno lucido al momento della conclusione.

Tutte le strade portano a Roma

Edin Dzeko venne accolto dalla piazza romana in modo trionfale. Agli occhi di molti, il bosniaco dovrebbe rappresentare il tanto atteso fuoriclasse capace di riportare lo scudetto a Roma, dopo esserci riuscito con Wolfsburg e Manchester City. La prima stagione di Dzeko in giallorosso fu, però, fallimentare. Di lui si ricordano più i gol letteralmente divorati, molti e alcuni in maniera clamorosa, rispetto a quelli segnati, pochi.

Vintage Dzeko, in versione Kloc, mostra il peggio di sé. Un meme vivente.

Il numero 9 divenne così capro espiatorio e bersaglio di un’annata sorta con proclami di scudetto e salvata soltanto dal tardivo ritorno in panchina di Luciano Spalletti. Il campionato 2016/17 ha però corrisposto alla rinascita del centravanti bosniaco; Dzeko ha ritoccato i record personali e del club: 39 gol totali tra campionato e coppe, mai nessuno prima aveva fatto tanto con la maglia della Roma.

Spalletti plasmò un intero sistema al fine di esaltare le caratteristiche del bosniaco, il quale a sua volta sviluppò un’invidiabile intesa con Salah, oggi al Liverpool. La piazza lo adottò, finalmente, come nuovo idolo e Dzeko ricambiò con gol e prestazioni sontuose. Un altro dato testimonia la sua annata da bullo: lo scorso campionato Dzeko ha tirato in porta con una frequenza spaventosa: 4,6 tentativi a partita, meglio di chiunque in Europa negli ultimi 5 anni.

La stagione 2017/18 è stata fin qui segnata da alti e bassi. Dopo lo sfogo a seguito del sofferto pareggio contro l’Atlético Madrid nel quale lamentò un’eccessiva solitudine in campo, l’attaccante bosniaco ha rivissuto i fasti della passata stagione, andando a segno in nove occasioni nelle successive sei partite, fino all’exploit della notte di Stamford Bridge. Dal 18 ottobre le polveri sono tornate ad essere bagnate per Dzeko che ha interrotto il digiuno soltanto contro la Spal, ormai un mese fa.

Va detto che la siccità in zona gol non ha compromesso le prestazioni sue e della squadra, sempre ben oltre la sufficienza (ultime tre partite escluse). La sensazione, ad ogni modo, è che Dzeko non sia ancora entrato perfettamente nei meccanismi tipici del 4-3-3 del tecnico abruzzese e che questi non si adattino alla perfezione al suo stile di gioco così stratificato. Con Spalletti, Dzeko fungeva da terminale ultimo di tutte le azioni offensive. Era il primo ad attaccare la profondità, perfettamente assistito dalla linea a 3 alle sue spalle, che aveva il compito di metterlo nella posizione migliore per colpire o di arrivare a rimorchio sui suoi movimenti che spesso disordinavano la linea difensiva avversaria (do you remember Nainggolan?).

Il gioco di Eusebio di Francesco offre una gamma più variegata ma meccanica di soluzioni. Non necessariamente l’azione si conclude con il cross dal fondo; Dzeko è spesso chiamato ad abbassarsi a ricoprire lo spazio del trequartista (non previsto dal 4-3-3 di franceschiano), per alimentare l’azione o favorirne la finalizzazione. Il bosniaco aiuta la squadra a salire, situazione in cui fa valere il mix tecnico-fisico meglio che in altre circostanze (leggasi in area di rigore), smista il pallone regalando ampiezza ed attacca la linea difensiva in seconda battuta.

Un classico della Roma spallettiana: Dzeko si allarga attraendo i difensori, e apre il corridoio centrale per l’attacco di Nainggolan che sfrutta la velocità di Salah per concludere a rimorchio.

Si tratta di princìpi di gioco diversi, ma che teoricamente ben si sposano con le caratteristiche del giocatore. Tuttavia non può considerarsi un caso che la Roma abbia il settimo attacco dell’intera Serie A, con soli 28 gol a referto. E se da un lato è doveroso riportare come la Dea Bendata non abbia sicuramente preso in simpatia la squadra di di Francesco (che conduce con margine la classifica dei legni colpiti in Serie A), una delle concause è sicuramente da ricercarsi nella scarsa vena realizzativa di Dzeko da fine ottobre ad oggi.

Come abbiamo sottolineato in precedenza, il centravanti di Sarajevo mal sopporta essere lasciato solo a duellare con i difensori avversari: Dzeko mette in luce le proprie qualità quando si trova ad interagire con i propri compagni nei pressi dell’ultimo terzo di campo. In tal senso si può leggere l’invezione spallettiana di Nainggolan finto trequartista, in grado non solo di scardinare l’uscita dalla pressione avversaria, ma anche di fornire un sostegno costante al numero 9 giallorosso.

Nei pensieri del tecnico abruzzese, invece, i movimenti a convergere verso il centro del campo degli esterni offensivi dovevano compensare la carenza provocata dall’abbassamento del Ninja sulla linea dei centrocampisti. Se da un lato il Monito Perotti, si è trovato a suo agio nel nuovo ruolo, tanto da formare con Kolarov una delle catene di sinistra più pericolose e complementari in Italia, a destra resta un’evidente voragine che nessuno è stato in grado finora di coprire.

A fare le spese di questa incongruenza tattica è stato soprattutto Dzeko, costretto a giocare più lontano dalla porta e, soprattutto, a rapportarsi con una qualità di occasioni da gol nettamente inferiore rispetto allo scorso anno. Non è un mistero che nelle ultime ore di Francesco stia vagliando delle alternative, come il passaggio al 4-3-1-2 con il colpo dell’estate Schick a fungere da seconda punta mobile, abbandonando momentaneamente il ruolo di esterno destro che non riesce a svolgere al meglio. La speranza per di Francesco e per tutti i tifosi della Roma è che il 2018 restituisca il più prezioso dei doni, ovvero i gol del suo centravanti.

Il Diamante di Sarajevo in tutto il suo splendore a Stamford Bridge.

In Bosnia non hanno impiegato molto a correggere il tiro. Il “Kloc” è stato rapidamente ribattezzato diamante, sgrezzato dalla guerra e diventato vanto di ogni cittadino. Edin Dzeko è ormai il simbolo sportivo di un intero Paese, eroe nazionale in seguito alla storica qualificazione al Mondiale brasiliano.

Il legame che unisce Dzeko alla sua patria è viscerale. È diventato il primo ambasciatore UNICEF per la Bosnia-Erzegovina, contribuendo a costruire l’immagine di un uomo vincente, ma allo stesso tempo umile e pronto ad aiutare chi si trova davvero in difficoltà. Ironia della sorte, Edin viene spesso accusato di essere fin troppo buono sul campo da calcio. Ma anche su questo punto ribatte con una saggezza profonda, riportando tutto su un livello altro:

“Odio perdere, odio fallire i gol, ma sono cose che possono accadere giocando a calcio. Fa specie utilizzare il termine ‘positivo’ in un simile contesto, ma se esiste un aspetto positivo in ciò che io e il mio Paese abbiamo vissuto, è che ora siamo consapevoli di come ci sia sempre qualcosa di peggiore nella vita.”