Il controverso cammino di Mesut Özil - Zona Cesarini

Il controverso cammino di Mesut Özil

“La chiave per il fallimento è cercare di accontentare chiunque”. (Mesut Özil)

È notizia di questi giorni il rinnovo di Özil con l’Arsenal per una cifra che si aggira sulle 400.000 sterline settimanali. Guadagnerà, fino a 33 anni, 21 milioni di euro all’anno; il che lo rende il quarto giocatore più pagato del calcio europeo dietro Messi (39 mln), Neymar Jr (30) e Cristiano Ronaldo (22), e il sesto più pagato al mondo, visto che alla classifica si aggiungono Oscar e Hulk, che in Cina percepiscono 25 e 22 milioni netti all’anno. Ma com’è arrivato a guadagnare certe cifre, giustificate più dall’hype mediatico e dal successo a livello di merchandising che dalle prestazioni calcistiche, un giocatore così sui generis?

La storia di Mesut Özil inizia nel lontano 1988 quando nasce, ultimo di quattro fratelli, a Gelsenkirchen. I genitori, Mustafa e Gulizar, sono tedeschi figli di immigrati turchi: i quattro nonni di Ozil erano infatti migrati attraverso Mediterraneo, Italia e Austria, per stabilirsi infine nel bacino della Ruhr, epicentro dell’industria teutonica. Sfortuna vuole che Mesut cresca nel periodo di maggior declino industriale tedesco quando, alla faccia dell’uguaglianza, il tasso di disoccupazione degli immigrati (attorno al 70%) doppia abbondantemente quello dei nati tedeschi.

Insomma, è un contesto fatto di ristrettezze economiche, palazzi abbandonati e fabbriche in disuso, dal quale non è facile emergere. Se Mesut non perde tuttora un’occasione per ostentare lo status acquisito, è proprio perché sin da piccolo è stato bollato come un povero figlio d’immigrati. Il fatto è che Özil ha un dono particolare per il calcio, in cui intravede il mezzo più semplice per uscire dal ghetto. In realtà sarebbe anche un eccellente studente, ma l’amore per il fußball non ammette repliche: durante tutta l’adolescenza, appena può, fugge al parco sotto casa per sfidare gli amici, per la disperazione dei genitori, che non vedono di buon occhio il fatto che l’ultimogenito col pallone ci dorma pure.In questa realtà dimessa da 16.000 abitanti, Mesut cresce nella venerazione tecnica del fratello maggiore Mutlu che, tuttavia, cerca di ridimensionarlo: “siamo e rimarremo poveri immigrati, Mesut: devi capirlo”. Quello che sfugge al primogenito, però, è che Mesut è il più tedesco della famiglia: è perfettamente integrato con i compagni, non tende a frequentare solo ragazzi della sua stessa minoranza d’origine, non soffre di alcun complesso d’inferiorità e non ha la stessa propensione verso le rigide regole coraniche che vige in casa, anche se é molto devoto. Non fatica insomma a immedesimarsi nel mito tedesco dell’Übermensch, il superuomo che emerge dalle difficoltà e si auto-determina, con tutta la narrazione che ne consegue.

Calcisticamente parlando la sua formazione inizia al “Monkey Cage – la gabbia delle scimmie” – un campo costruito dall’Adidas nell’ambito di un progetto di riqualifica delle aree periferiche, nel quartiere Bismarck – prima che in una scuola calcio: presentandosi al campo ogni giorno e con qualsiasi condizione atmosferica, Ozil affina le sue skills e la sua visione di gioco così tanto che quando si presenta al provino per la squadra della sua scuola elementare, gli allenatori lo inseriscono nella squadra delle medie, in un istituto scolastico che contava 1400 studenti.

Joachen Herrmann, primo allenatore di Ozil, descrive la sua passione come “tra l’ossessivo-compulsivo e l’autistico”. Mesut è un perfezionista, oltretutto è estremamente intelligente e intuisce le complessità del calcio fin da giovane. Questa qualità cerebrale lo rende un giocatore scomodo per qualsiasi allenatore: se una cosa non lo convince, o se non gli si dà piena fiducia, Ozil finisce immancabilmente per giocare con indolenza o contro l’autorità. Un problema che gli è rimasto fino all’ingresso nel professionismo, e che tuttora ne frena in parte l’ascesa. Se parliamo di tifo, va detto che la fede del piccolo Mesut non ha mai vacillato: dall’aula scolastica si può infatti scorgere la Veltins­ Arena dello Shalke 04 ed è naturale che ogni studente che giochi a calcio non possa che crescere nel mito dei Die Knappen.

In basso a sinitra: Neuer, Ozil e Howedes.

A scuola Ozil ha come compagni Benedikt Howedes, coetaneo, Manuel Neuer, di due anni maggiore, oltre che Julian Draxler e Joel Matip, seppur di qualche anno più giovani. Insomma, la scuola è in grado di contribuire piuttosto bene alla primavera dello 04, e non solo a livello numerico: una volta entrati nelle giovanili dello Schalke si è costretti a fare tre sessioni di allenamento mattutine pre-scolastiche a settimana, altrettante serali e circa cinque nei weekend in cui non è in programma una partita, e l’istituto scolastico è organizzato in modo da adattarsi ai ritmi dei giovani calciatori. Ritmi che Ozil, inizialmente membro delle giovanili del Rot-Weiss di Essen, non fa fatica a fare suoi.

Mesut è uno studente piuttosto riservato ma durante gli allenamenti, e nei giorni di partita, la sua personalità muta sensibilmente: “Quando ho visto Mesut per la prima volta, ho dovuto controllare la sua età” – sostiene Daniel Krabbe, suo insegnante – “era molto piccolo, silenzioso, introverso fuori dal campo. Ma sul campo era molto estroverso: si vedeva che era il giocatore più importante, il maschio-alpha: una superstar a cui davi palla senza troppe discussioni”. È dunque al Collegio di Gelsenkirchen, a 17 anni, che Ozil scopre che il successo nella vita non gli è precluso e che gran parte dei suoi problemi di personalità vengono livellati, o annullati, dai successi calcistici.

“Era timido e debole, ma arrivato a 25 metri dalla porta tirava delle sassate impressionanti. Inoltre, correva molto velocemente con la palla. Era un vero calciatore di strada: ricordo che una volta abbiamo vinto una partita per 12 a 0. Mesut ha segnato 10 reti… l’allenatore avversario mi prese da parte e disse: ‘La prossima volta, per favore, lascia il maledetto turco a casa”.  (Ralf, secondo allenatore di Ozil).

Il migrante di Bismarck diviene ben presto il calciatore più popolare della città, e questo gli apre le porte della cittadinanza tedesca, visto che lo Ius Soli, che dà il diritto ad essere tedesco al 100% per i figli i cui genitori vivano in Germania da almeno 8 anni, vale solo per i nati dal 01/01/2000. Inutile dire che Mesut dedichi ogni ora libera a nutrire l’ambizione della sua vita: riscattare la storia della sua famiglia, fatta di pregiudizi e povertà nonostante sia stanziata in Germania fin dal 1967.Il padre Mustafa Özil è un migrante turco di seconda generazione, arrivato in Germania all’età di sei anni, e costretto sin dall’adolescenza a dividersi tra il lavoro di grossista di pollame e un contratto part-time come operaio metalmeccanico; fino a poco tempo fa ha svolto il ruolo di manager del figlio, cui ha recentemente rinunciato dopo la decisione di Mesut di affidarsi al fratello Mutlu. Questo episodio ha segnato l’inizio di incredibili tensioni tra figlio e padre, il quale ha tirato in ballo pure la fidanzata Mandy, rea di averlo traviato e messo contro di lui, culminate con un gesto da molti ritenuto scioccante: Mustafa ha citato in giudizio la società di marketing di Mesut, chiedendo un risarcimento di 495.000 euro per la rescissione del contratto.

“Mio padre non è un uomo facile da affrontare. È sempre stato molto concentrato su di me: sapeva che avevo talento. Veniva a tutti i miei allenamenti, oltre che a ogni partita. Ero il centro della sua vita, e questo non è molto naturale: si realizzava attraverso di me, mettendomi addosso pressioni incredibili”.

Inutile dire che la relazione padre-figlio si è interrotta con l’inizio della battaglia legale, visto che Mesut ha vinto la causa, chiedendo anche la restituzione di circa 800.000 euro che il padre aveva sottratto al figlio per prestazioni lavorative mai rilasciate. L’incresciosa vicenda ha portato anche alla separazione dei genitori, dato che la madre si è schierata fin da subito dalla parte del figlio. Che, dal canto suo, ha sempre considerato i consigli materni come sacri. Soprattutto quelli che competono la sfera sentimentale.

Che, se da un lato sono stati quantitativamente soddisfacenti, dall’altro hanno lasciato l’amaro in bocca: tutte le conquiste femminili di Mesut – dalla modella tedesca Anna Maria ad Aida Yespica – sono finite in rovina, un po’ per la scarsa attitudine delle suddette a integrarsi in una cultura familiare di stampo musulmano, un po’ per la scarsa serietà di Ozil, più volte colto in flagrante con altre donne. Parlare di queste tematiche da gossip sarebbe di per sé esercizio inutile, se non mettesse in evidenza un aspetto che ha notevole risalto – visto anche il contesto storico – sulla sua immagine pubblica: Mesut è un musulmano devoto, e non l’ha mai nascosto.

Ozil in pellegrinaggio alla Mecca.

Per avere un quadro completo è necessario considerare il contesto in cui vive la sua fede: la Germania è un paese che conta circa il 20% della popolazione come figlia di immigrati, e attualmente è al secondo posto dopo gli Usa come destinazione permanente per i migranti. Diversi politici tedeschi, tra cui la Cancelliera Angela Merkel, hanno sottolineato come nel 2015 siano arrivati in Germania più di un milione di profughi, a fronte di 476.649 richieste d’asilo (il 43% accettate). Il fenomeno migratorio ha avuto ricadute anche sulla percentuale di praticanti musulmani che, secondo un recente censimento, sarebbero circa un milione e mezzo, pari al 2% della popolazione tedesca.

Si tratta di una cifra che tiene conto solo di coloro che hanno dichiarato di essere fedeli islamici, non di tutti quelli che di fatto lo sono: diversi indicatori individuano infatti nella forbice tra 4,5 e 5 milioni il numero più verosimile, di cui più della metà di origine turca. La grande maggioranza della comunità vive nell’ex Germania Ovest (98,4%) e un cittadino musulmano su tre abita nella grande area metropolitana della Nord-Renania Westfalia (il Land che comprende Colonia, Düsseldorf, Dortmund e l’ex capitale Bonn). Insomma, se per un cittadino di Gelsenkirchen è normale avere a che fare con compagni, colleghi o amici di fede islamica, il quadro è ben diverso per il cittadino-medio tedesco che vive altrove, poco avvezzo al melting-pot religioso.

In questo clima di frammentazione e tensione a livello nazionale, esacerbato dai recenti attacchi terroristici, avere uno dei giocatori più famosi delle Nazionale che recita regolarmente il Corano prima di giocare, che si reca spesso alla Mecca, che afferma di arrabbiarsi quando i compagni gli parlano durante le funzioni, ma che soprattutto cita dei versi di Maometto durante l’inno nazionale che gli è “proibito cantare”, è un’arma a doppio taglio: se da molti è visto come elemento che favorisce integrazione, portatore sano di una base di dialogo e un chiaro segnale di quale direzione stia prendendo il mondo, dall’altro è per molti un segnale di eccessiva contaminazione religiosa; a tal proposito, è utile considerare che in Germania il 35% dei cittadini si considera ateo, mentre la quasi totalità della restante popolazione di dottrina cattolico-protestante.

Siamo di fronte a uno scenario delicato, e anche i calciatori di primo livello come Ozil sembrano destinati a recitare una parte in questo macro-processo d’integrazione sociale e religiosa.

 

Oltre alle polemiche familiari, nazionali e il gossip, c’è pure il calciatore. Che, in verità, si è un po’ perso fin dal 2013, quando i 53 milioni di sterline spesi da Arsène Wenger facevano sperare in qualcosa di meglio che un eccellente assist-man e playmaker all-round. Mesut è un trequartista associativo, rapidissimo con la palla al piede, dotato di un dribbling elegante e letale, un discreto fisico e una straordinaria visione di gioco; ma, in sostanza, controbilancia con l’aspetto tecnico l’enorme deficit caratteriale e attitudinale, su cui spesso si dibatte dalle parti dell’Emirates Stadium.

In quest’ottica bisogna sfatare un mito: cioè che Ozil si perda nei match che contano. Anzi, va evidenziato che il top del rendimento lo raggiunge in Nazionale o l’ha raggiunto col Real Madrid, cioè quando ha attorno un contesto tattico chiaro e definito nei principi di gioco – “ho bisogno di disciplina come l’aria: mi voglio muovere libero, ma devo conoscere il limite di questa libertà” ha affermato -, e un livello elevato dei compagni con cui poter dialogare. In sostanza, limiti caratteriali, indolenza e sbruffoneria a parte, è un top player che può risolvere una singola partita, ma la cui intrinseca e affascinante discontinuità dev’essere assorbita dal sistema di gioco e catalizzata come un jolly, affinché porti un ritorno tangibile sul lungo periodo.

https://twitter.com/Arsenal/status/959103721190903809

Il tweet dell’Arsenal, con tanto di hashtag, per il rinnovo di Ozil. Un minuto e mezzo di concentrato di pura classe.

Il suo amore giovanile per gli scacchi e la matematica va in questa direzione: ha un cervello strutturato e selettivo, quindi il contesto tattico caotico che innerva la Premier, più intenso di quello tedesco e meno ragionato di quello spagnolo, non lo aiuta. Anche se si può pensare che giocare in una squadra che “attacca senza pensare troppo” fosse il giusto contesto per lui, in realtà ha solo esacerbato la sua indolenza, estraniandolo dal contesto della partita. È interessante citare un dato: Ozil corre, rispetto alle partite con la Germania, circa 3 chilometri in meno ogni 90 minuti. Non è che non abbia voglia di correre, ma deve comprenderne il significato.

Frainteso come giocatore, frainteso come essere umano: le notizie sulla devoluzione dell’intero premio della vittoria del Mondiale 2014 in favore della cura di 23 bambini brasiliani malati, come la visita al campo profughi siriani di Zaatari in Giordania, infatti, sono state anch’esse politicizzate. E attorno a lui non mancano neanche polemiche curiose: un medico inglese, recentemente, lo ha accusato di aver nascosto allo staff dell’Arsenal di soffrire d’orbitopatia tiroidea (la patologia dell’orbita oculare sporgente), che renderebbe impossibile a un atleta professionista di muoversi su un campo da calcio.

Insomma, il Mago di Öz vive quotidianamente in un loop di critiche, dentro e fuori dal campo, che sembrano non abbandonarlo mai e che spesso si rivelano infondate o pretestuose. Ma come scrive nella sua biografia in risposta a tutto:“It’s all about facts”.