Aquile e fantasmi, la Serbia dice addio al Mondiale - Zona Cesarini

Aquile e fantasmi, la Serbia dice addio al Mondiale

Aleksandar Mitrović salta per colpire, ma Lichtsteiner e Schär si aggrappano a lui. I tre rovinano a terra, il pallone sfugge via e Mitrović si sbraccia per protestare contro l’arbitro Brych, che decide di non consultare il VAR. Poteva essere il rigore del vantaggio per la Serbia, nel finale invece arriverà il gol vittoria della Svizzera, un contropiede fulminante di Shaqiri. L’ex Inter, nato in Kosovo da genitori albanesi, esulta mimando con le mani l’aquila bicipite, poi mostra i muscoli davanti ai tifosi serbi e russi, che avevano fischiato la sua squadra dal primo minuto. L’esultanza è identica a quella esibita da Granit Xhaka dopo il pareggio a inizio ripresa.

 

 

Il padre di Granit e di suo fratello Taulant, che gioca per l’Albania, ha passato tre anni e mezzo in una prigione jugoslava, dopo aver manifestato nel 1986 a Belgrado contro il governo centrale. Ragip Xhaka era uno studente di Pristina, capoluogo del Kosovo, provincia autonoma della Serbia che allora era ancora Jugoslavia. Un ragazzo 22enne che, per il suo desiderio di democrazia, ha ricevuto in regalo una cella e parecchi pestaggi. Granit ha deciso di onorare la sofferenza del genitore mostrando ai tifosi serbi l’aquila bicipite, simbolo di chi sogna di riunire in un’unica nazione tutta la popolazione albanese dei Balcani.

Prima del match c’erano state avvisaglie di nervosismo. Shaqiri aveva postato su Instagram la foto degli scarpini con la bandiera kosovara, iniziativa a cui aveva replicato Mitrović: “Se è un patriota perché non gioca per il suo Paese?”. Intanto il ministro degli esteri del Kosovo, Behgjet Pacolli, aveva twittato la sua speranza di assistere alla vittoria degli “albanesi kosovari” sulla Serbia.

La settimana precedente la FIFA aveva multato la Serbia dopo che alcuni tifosi avevano esposto una bandiera di un “movimento nazionalista paramilitare” contro la Costa Rica, e a Kaliningrad, la città dove si è giocata la partita, i tifosi hanno esposto alcune bandiere con la scritta “Kosovo is Serbia”. Sugli spalti dello stadio sono comparsi dei tifosi che indossavano felpe in onore di Ratko Mladić, detto il macellaio di Srebrenica, poi alcuni di loro hanno intonato il coro che esalta il massacro di Srebrenica “Nož, Žica, Srebrenica” (Coltello, filo spinato, Srebrenica).

In campo Mitrović ha portato subito in vantaggio i suoi con un imperioso colpo di testa, poi ha steso Shaqiri con un intervento intimidatorio prima di sussurrargli qualcosa con la mano davanti alla bocca.

 

 

A inizio ripresa è arrivata la risposta di Xhaka. ll gesto del centrocampista sarà poi criticato anche dalla stampa svizzera, che scriverà che l’esultanza è stata “priva di sensibilità politica”. Curioso che anche Lichtsteiner abbia fatto il gesto dell’aquila bicipite, solo per provocare (sarà multato dalla FIFA insieme ai due compagni).

L’esultanza degli svizzeri ha scatenato lo psicodramma serbo. La Nazionale allenata da Mladen Krstajić poteva contare solo sui tre punti conquistati contro la Costa Rica ed è stata costretta a giocarsi la qualificazione agli ottavi con il Brasile nella terza partita del Gruppo E. Dopo la sconfitta contro la Svizzera l’allenatore di Milinković-Savić e compagni sente puzza di complotto e sbotta: “Solo i serbi vengono condannati sulla base di una giustizia selettiva. Prima il maledetto Tribunale internazionale penale dell’Aja, oggi il Var”.

Secondo la Federazione e il suo ct, che in precedenza aveva sempre detto di non voler parlare di argomenti extra-calcio, il tribunale chiamato a giudicare i crimini nella ex Jugoslavia sarebbe stato un organismo antiserbo, pronto a perseguire i criminali serbi ma molto più clemente nei confronti dei criminali croati e bosniaci.

 

Il passato non finisce mai

 

Il nome del Kosovo, dichiaratosi indipendente nel 2008 ma non riconosciuto dalla Serbia e, tra gli altri, anche dalla Russia, prende il nome da Kosovo Polje, la “Piana dei merli” dove, più di seicento anni fa, si affrontarono le armate dei serbi e degli ottomani. Nella costruzione dell’identità serba è fondamentale la morte del principe Lazar, perché si sacrificò con coraggio per il suo popolo. È la storia di una sconfitta, dato che il massacro delle truppe porterà il fiero popolo di Lazar a chinare il capo di fronte ai turchi negli anni successivi.

Chi abitava quelle terre, gli odierni kosovari, vide la fine del potere serbo nella regione e l’inizio della dominazione turca, che sarebbe durata cinquecento anni.  Il Kosovo, popolato prevalentemente da albanesi, è passato attraverso guerre e sofferenze fino al momento più difficile: il conflitto culminato, nel 1999, nella “pulizia etnica” degli albanesi da parte dei serbi.

Mladen Krstajić, ct delle Aquile Bianche, avrebbe già dovuto sapere che, quando il calcio incontra la politica, si possono innescare dei cortocircuiti. Nelle qualificazioni ai Mondiali 2006 Krstajić era uno dei “Famous Four”, i quattro difensori che riescono a limitare gli avversari a un gol in dieci partite (gli altri erano Ivica Dragutinović, Goran Gavrancić e Nemanja Vidić). Poi, la politica. Nel maggio 2006 il Montenegro si dichiara indipendente dalla Serbia, in Germania va una Nazionale ancora unita ma il risultato è deludente: fuori al primo turno con 2 gol fatti e 10 subìti.

La storia si è ripetuta quest’anno con la sconfitta contro la Svizzera degli albanesi-kosovari Behrami, Shaqiri e Xhaka: ancora politica, ancora una sconfitta per Krstajić. La Serbia è sempre stata una squadra piena di talento (i nomi di Dragan Stojković, Sinisa Mihajlović e Dejan Stanković vi dicono qualcosa?), ma con una cronica fragilità mentale e scarsa compattezza nei momenti decisivi. Certo, all’inizio l’euforia era parecchia.

 

 

Con i costaricani i ragazzi di Krstajić non hanno faticato troppo, anche se gli avversari in un paio di occasioni hanno utilizzato la loro velocità per infilare i difensori serbi. Contro la Svizzera all’inizio le Aquile bianche hanno dominato, utilizzando la stazza di Mitrović per risalire il campo e per colpire in area, nel secondo tempo la squadra di Petković ha giocato in maniera proattiva costringendo gli avversari a soffrire. La Serbia ci ha messo del suo, ha subìto i due gol perché si è sbilanciata troppo nel cercare il raddoppio e ha pagato un Sergej Milinković-Savić abulico dopo le meraviglie del primo match.

Contro il Brasile di Tite il ct serbo ha cambiato molto, facendo esordire dal 1’ Rukavina e Veljković in difesa con l’esclusione dei più esperti Ivanović e Tosić e arretrando il raggio d’azione di Milinković-Savić. Non ha funzionato: Paulinho ha segnato il primo gol approfittando di una voragine inspiegabile nella difesa e Thiago Silva ha chiuso i conti su calcio d’angolo nel secondo tempo. Nel momento migliore per la Serbia, a inizio ripresa, Mitrović ha colpito male di testa due volte rendendo vane le speranze dei balcanici.

 

Dal portabottiglie alla panchina

 

Nato in Bosnia da padre montenegrino e madre originaria della Republika Srpska, Mladen Krstajić da giocatore è stato un simbolo del Partizan Belgrado e una certezza come difensore centrale della sua Nazionale. A ottobre, dopo la vittoria che ha regalato la qualificazione a Russia 2018, sembrava scontato che il 43enne sarebbe stato uno degli assistenti di Slavoljub Muslin, capace di portare la squadra a una competizione internazionale otto anni dopo Sudafrica 2010. Qualcuno però non era dello stesso avviso: il presidente della Federazione serba Slavisa Kozeka.

Irritato dall’atteggiamento difensivista di Muslin, nelle ultime due partite delle qualificazioni contro Austria e Georgia e dalla mancanza nella lista dei convocati di Milinković-Savić, in ottobre Kozeka decide di licenziare Muslin e di nominare Krstajić come sostituto per le amichevoli con Cina e Corea del Sud. La scelta di Kozeka è chiara: Milinković-Savić è il futuro del calcio serbo, se bisogna sacrificare qualcuno tra lui e chi allena la Nazionale non è il caso di esitare.

Dopo due mesi di indecisioni, Krstajić diventa la scelta definitiva, sarà lui a guidare la Nazionale a Russia 2018.

 

 

Tre anni prima di sedersi sulla panchina della Serbia, l’ex difensore descriveva così la sua vita lontano dal pallone: “Mi occupo di agricoltura, possiedo una distilleria e un motel. Non provo imbarazzo davanti a nessun tipo di lavoro. Posso indossare un vestito elegante se devo, ma anche sedermi su un portabottiglie dopo una giornata di lavoro e bermi una birra con chi lavora per me guidando un trattore”.

Le ottime prestazioni di Milinković-Savić nelle amichevoli di novembre in Asia gli hanno regalato una grande opportunità, ma per rimanere sulla panchina serba non è bastato soltanto lasciare spazio al centrocampista della Lazio. In questo senso è stato significativo l’abbraccio tra Adem Ljajić e Krstajić dopo il gol alla Corea del Sud. Ljajić ha spesso avuto difficoltà con gli allenatori (celebre il suo addio alla Nazionale dopo il rifiuto di cantare l’inno durante la gestione Mihajlović) e in gruppo per il suo essere bosgnacco e musulmano. Con Krstajić però c’è stata sempre sintonia, un rapporto positivo con il trequartista del Torino e con il resto del gruppo che deve aver colpito anche la Federazione.

Per la spedizione in Russia Krstajić ha dovuto rinunciare al difensore dello Schalke 04 (ed ex Fiorentina) Nastasić, ancora alle prese con un infortunio, ma non ci sono state altre esclusioni eccellenti. Da quando è in carica il nuovo CT ha spostato la fascia di capitano dal braccio di Ivanović a quello di Kolarov e ha abbandonato il 3-4-3 di Muslin virando verso un 4-2-3-1.

 

Bilanci individuali

 

Il guardiano della porta serba, il 34enne Vladimir Stojković, in patria è amato e odiato. Cresciuto nella Stella Rossa, dopo diverse esperienze all’estero, Stojković è tornato a Belgrado, scegliendo però di indossare la maglia degli acerrimi rivali del Partizan. Nei primi anni di carriera aveva dichiarato: “Non andrei al Partizan per tutti i soldi del mondo. Quando odi qualcosa è una scelta molto semplice”.

Nel 2010, prima che la Serbia affrontasse l’Italia a Genoa nelle qualificazioni a Euro 2012, match poi interrotto dalle intemperanze degli ultras guidati da Ivan “il Terribile” Bogdanov, Stojković era stato aggredito sull’autobus che portava la squadra alla partita. “Hanno sfondato la porta e sono saliti sul bus per aggredirmi. Stanković e Zigić sono leggende della Stella Rossa, li hanno convinti a non farmi del male. Pensavano che mi sarei ritirato dal calcio per paura, ma io volevo dimostrare il contrario”. Meno di due settimane dopo esulterà dopo la vittoria nel suo primo derby eterno, mostrando sotto la maglia da gioco la scritta “Perdonate il mio orribile passato”.

Stojković ha fatto parlare di sé nel suo terzo Mondiale anche per la particolare usanza di baciare il pallone dopo ogni parata, cosa che non è riuscito a fare dopo le conclusioni di Xhaka e Shaqiri, capaci di prenderlo in controtempo. Contro il Brasile ha salvato i suoi in diverse occasioni, ma non ha potuto evitare la sconfitta.

 

 

Il terzino destro è il coetaneo di Stojković Branislav Ivanović, che non ha protestato quando gli è stata tolta la fascia di capitano e forse nemmeno quando è stato improvvisamente escluso dall’undici titolare contro i verdeoro. Ivanović può adattarsi a diversi ruoli in difesa senza problemi. La volontà non gli manca, tre anni fa contro il Liverpool giocò infortunato e finì la partita con lo scarpino pieno di sangue.

Sua alternativa il 34enne terzino destro del Villareal, Antonio Rukavina, affidabile soprattutto nelle partite più dure e schierato nella partita decisiva contro il Brasile per limitare lo strapotere dei sudamericani sul lato sinistro del campo. Al centro della difesa Dusko Tosić, colonna dell’ottima stagione del Besiktas pronto ad andare in Cina al Guangzhou e sposato con Jelena Karleusa, una delle popstar più celebri in Serbia.

Accanto a lui la sorpresa Nikola Milenković, introdotto in gruppo da Krstajić: il 20enne della Fiorentina è alto e veloce, bravo con il pallone tra i piedi e duttile, in viola si è adattato anche a giocare terzino. Contro il Brasile è stato affiancato da un altro giovane, il 22enne del Werder Brema Milos Veljković, che ha sostituito un Tosić apparso troppo lento e contro la Svizzera ma che ha pagato cara la sua inesperienza (Paulinho sul primo gol?). Terzino sinistro il capitano Aleksandar Kolarov, il degno erede di Mihajlović, come dimostrato anche dalla punizione all’esordio con la Costa Rica.

 

 

Una prodezza dedicata dal romanista alla leggenda della Stella Rossa Goran Bunjevcević, che lotta tra la vita e la morte in un letto d’ospedale.

La coppia di centrocampo davanti alla difesa è formata da Nemanja Matić e Luka Milivojević. Matić è l’imprescindibile frangiflutti, capace di recuperare e difendere il pallone in ogni circostanza. Nel villaggio dove è nato, Vrelo, è un eroe. Si è sempre offerto di aiutare i suoi concittadini grazie ai guadagni ottenuti come calciatore e nel tempo libero taglia il prato della chiesa vicino casa. Dopo l’eliminazione dal Mondiale, potrebbe dire addio alla Nazionale. Al suo fianco il fidato Milivojević, capitano e affidabile rigorista del Crystal Palace nell’ultima stagione. Luka ricorda bene la vita in Serbia durante la guerra in ex Jugoslavia: “Dovevo aspettare due ore in fila per un pezzo di pane. Avevo sei anni, mi ha insegnato molto”.

Davanti a questi due il trio formato da Dusan Tadić, Milinković-Savić e Adem Ljajić (o Filip Kostić, oppure entrambi senza Milinković nell’inedito schieramento proposto contro Neymar e soci). Tadić arriva da una stagione di alti e bassi con il Southampton, ha giocato un ruolo importante nel portare la Serbia al Mondiale, ma con il cambio in panchina il suo ruolo di playmaker offensivo al centro del campo è stato preso da Milinković-Savić, “miglior giocatore e spina dorsale della squadra negli anni a venire”, secondo la definizione di Krstajić.

E pensare che Tadić era stato escluso dalla squadra dal predecessore di Muslin, Radovan Curcić. Quando pensava di essere diventato il leader della sua Nazionale, la situazione è cambiata di nuovo. Dusan stesso ha dichiarato “Non importa dove gioco, è importante che io possa avere il pallone” ma ha aggiunto che “ogni giocatore può dare il meglio di sé quando è libero. Se sei preoccupato, non puoi mostrare il meglio”. È un grande passatore che inaspettatamente ha reagito bene al cambiamento tattico, lo ha dimostrato il cross dal fondo (non esattamente la sua specialità) per il gol di Mitrović contro la Svizzera.

Ljajić ha iniziato il Mondiale come titolare a sinistra, però nel primo match ha deluso nonostante un’inaspettata applicazione difensiva. Nei primi 70 minuti della sfida contro la Svizzera al suo posto è sceso in campo Kostić, ala 25enne dell’Amburgo scelto anche per le sue capacità in ripiegamento contro Shaqiri. Kostić aveva giocato anche contro la Costa Rica, subentrando per gli ultimi venti minuti sempre al posto dell’attaccante del Torino. Una deviazione con la punta delle dita di Keylor Navas gli ha fatto sbagliare un facile tap in, negandogli la gioia del gol all’esordio mondiale.

Lui e Adem hanno giocato insieme contro il Brasile senza incidere, in uno scacchiere troppo sbilanciato in avanti che non ha visto protagonista Milinković-Savić, deludente come contro gli elvetici, anche se quella su di lui è una scommessa che pagherà in futuro.

Nonostante i gol sbagliati clamorosamente nella prima partita (si è ripetuto nell’ultima), il posto di centravanti titolare di Mitrović non è mai stato in dubbio. Dopo il passaggio in prestito dal Newcastle al Fulham ha ritrovato la fiducia che aveva perso con i Magpies tra bizze e infortuni. Lui stesso ha chiamato l’allenatore Slavisa Jokanović per farsi dare una chance. “Jokanović mi ha chiesto di fare gol e non tackle stupidi, e gli ho promesso che l’avrei fatto”.

L’ex idolo del Partizan è un grande colpitore di testa e un animale d’area. Finora la sua carriera è stata un susseguirsi non solo di gol, ma anche di esultanze volgari ed espulsioni stupide: per dirne una, ha avuto il coraggio di dare della “fichetta” a Ibrahimović.

 

 

Stesso ruolo di Mitrović per Prijović, che in Russia si è fatto notare solo per un giallo inutile assegnato al VAR per una manata nel finale della prima partita, ma che verrà ricordato come autore del gol qualificazione al Mondiale segnato contro la Georgia. “Era il mio sogno da bambino”, aveva detto dopo la partita il nativo di San Gallo, che da giovane ha giocato anche nelle giovanili svizzere. Non ha comunque dubbi sulla sua identità, dato che si è tatuato sulla pelle Dusan il Grande, re serbo del 1300. Prijović ha iniziato la carriera al Parma, ha girato tantissimo in carriera, poi con il Paok in Grecia ha stupito con una grande stagione, 26 gol.

Tra le alternative in attacco anche il 22enne Nemanja Radonjić, chiamato a sorpresa da Kristajić. Talento da predestinato, la sua avventura alla Roma quando era giovanissimo è stato un fiasco, si diceva amasse di più la vita mondana (condivisa con l’amico Ljajić) che i ritiri. In Russia non è riuscito a sfruttare i pochi minuti a sua disposizione, ma il talento non si discute e il Genoa lo vorrebbe mettere alla prova in A.

Spicca tra i giocatori meno utilizzati il nome di Andrija Zivković, talentuoso mancino soprannominato il “Messi serbo” dopo la vittoria al Mondiale under 20 del 2015 (di quel gruppo facevano parte anche Rajković, Veljković, Grujić, Milinković-Savić). Il capitano più precoce nella storia del Partizan ha lasciato il club che lo ha cresciuto per trasferirsi al Benfica nel 2016. Quest’anno il tecnico dei portoghesi, Rui Vitoria, lo ha spostato dalla fascia al centro, dove si è scoperto playmaker.

Nell’ultimo allenamento prima dell’inizio del Mondiale si è scontrato con Veljković e si è rotto il dito medio della sua mano destra. Non è stato un torneo allegro per lui, ma il futuro della Serbia è suo, di Milinković-Savić e degli altri ragazzi del Mondiale under 20. Magari, senza più politica.