Sul filo del rasoio - Zona Cesarini

Sul filo del rasoio

Archiviato l’ultimo turno dei gironi, da oggi si entra nel vivo del torneo con il tabellone degli ottavi e la fase ad eliminazione diretta dove il margine di errore si assottiglia allo zero. Abbiamo già vissuto eliminazioni clamorose, psicodrammi sfiorati di pochi centimetri e qualche sorpresa impronosticabile. È un Mondiale oltremodo vivo ed aperto che offre sfide interessanti fra le sedici qualificate, che vi presentiamo di seguito.

Francia-Argentina

di Leonardo Capanni

È Francia-Argentina, ma potrebbe trattarsi di Chievo-Udinese per la capacità sovrumana di disintegrare, in sole tre partite, l’universo di hype che due nazionali di questo lignaggio si portano dietro. Deschamps è un po’ come quello studente che, conscio del suo potenziale, vivacchia e studia pochissimo preferendo altre attività all’applicazione costante perché sicuro di portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo. La sua Francia finora ha generato quest’impressione a metà tra giovane matricola brillante ma svogliata e con un approccio di sufficienza e possibile delusione al primo turning point mondiale. Quel turning point è già arrivato: Francia-Argentina è un ottavo che in pochi si sarebbero aspettati – o almeno, quasi nessuno si sarebbe aspettato un ottavo con queste premesse. Perché la domanda da porsi sulla sfida tra due aristocratiche del pianeta calcio è: chi sta peggio?

Analizzate le prestazioni verrebbe da dire Argentina: qualificata all’87’ da un gol di Rojo e dalla precedente perla di Messi contro una Nigeria quasi allo sbando da un punto di vista della tenuta difensiva e delle idee di gioco, l’Albiceleste è la grande isterica del Mondiale. Al netto delle scene in tribuna che hanno fatto il giro del globo e che gettano un velo di tristezza sul più grande Diez di sempre, Sampaoli ha dimostrato che la sua nazionale prova una repulsione atavica verso il concetto di equilibrio, che, in realtà, è il vero protagonista di questo Mondiale anomalo. L’Argentina non riesce a controllare la benché minima variazione emozionale all’interno di una partita, il concetto di ‘controllo’ dista anni luce dal pianeta albiceleste; la 14esima formazione diversa su 14 partite, un Mascherano in condizioni da pre-pensionamento ma che, de facto, è trasmutato in giocatore-allenatore, sono indizi che fanno propendere per un’eliminazione (meritata) di Sampaoli & co.

È un Jefecito lucidissimo quello che si è presentato in Russia.

Dall’altra parte, però, c’è una squadra che gioca contratta, costantemente sotto-ritmo, che non riesce a liberare le proprie energie creative ed atletiche, che pure abbondano; Deschamps, insomma, è davanti al tutto o niente della sua avventura quinquennale sulla panchina dei Galletti. L’atteggiamento dell’Argentina, che accetta di tenere il controllo del pallone, anche in maniera prolungata, scolastica ed inefficace, potrebbe avvantaggiare il piano-gara di Deschamps, che probabilmente cercherà un recupero palla alto per innescare transizioni offensive flash con l’ausilio dei velocisti della sua trequarti. E quello che ci sta insegnando questo Mondiale atipico è che, spesso, l’organizzazione difensiva, la capacità di saper creare densità e l’aggiunta di pochi ma chiari concetti offensivi possono far saltare il banco.

In definitiva, potrebbe essere l’ottavo di finale più brutto – soprattutto da un punto di vista prettamente tattico e organizzativo – in relazione al tasso medio di talento in campo, così come una partita isterica e folle, agitata dalle scosse elettriche di quei singoli capaci di piegare a proprio favore gli errori e le debolezze endemiche che entrambe le nazionali hanno più volte messo in mostra (Messi intended). Gli uomini decisivi, però, saranno i playmaker (Banega intended) e gli incursori capaci di sfruttare gli evidenti scompensi dello schieramento avversario in fase di transizione negativa e, più in generale, chi saprà attaccare meglio gli spazi dietro le linee. Per una volta nella vita, mi gioco il nome di una star finora in vacanza-premio: Pogba.

 

Uruguay-Portogallo

di Gianluca Lorenzoni

Il secondo ottavo di finale, in programma a Sochi, mette di fronte due squadre dai molti punti in comune, nonché due vere e proprie outsider di cui non si parla molto ma che potrebbero fare strada o quantomeno essere clienti scomodissimi per chiunque (una delle due, obviously).

Portogallo e Uruguay, sotto la guida di due esperti mestieranti come Tabarez e Fernando Santos, hanno ormai (ri)acquisito la mentalità necessaria per ritagliarsi un ruolo da protagonisti, unita ad un atteggiamento tattico definito e ben riconoscibile (“Il filo con il passato è stato riallacciato. Adesso tutti tifano con orgoglio la nazionale” ha detto Tabarez). E se l’estetica non è forse al primo posto nei pensieri dei due tecnici, i risultati confermano comunque la bontà del loro operato: con Santos alla guida il Portogallo non solo si è laureato campione d’Europa, ma è ad oggi imbattuto nelle fasi finali dei tornei internazionali (15 partite, unica sconfitta contro il Cile in Confederation Cup, ai rigori), mentre l’Uruguay è tornato sul podio mondiale in Sudafrica, ha vinto la Copa America nel 2011 e si presenta agli ottavi con un cammino pressoché perfetto, fatto di tre vittorie e zero gol subiti, unica squadra ancora inviolata.

Nell’ultimo match dei rispettivi gironi entrambe le squadre hanno provato nuove soluzioni rispetto alle gare iniziali, cercando la quadra dopo prestazioni non del tutto convincenti. Tabarez è passato dal classico 4-4-2 ad un 4-3-1-2 fluido, con Caceres riportato a destra pronto a formare una linea a tre, Laxalt sull’altro lato quasi a tutta fascia e il triangolo di centrocampo che ha visto l’innesto di Torreira con Bentancur leggermente più avanzato, per provare a rendere la manovra meno macchinosa e imprecisa. Il 3-0 finale contro la Russia potrebbe suggerire il buon esito dell’esperimento, ma non si può non considerare l’ora in l’inferiorità numerica dei padroni di casa.

Dall’altra parte, Santos nello spareggio con l’Iran ha inserito Quaresma, subito decisivo, per Bernardo Silva, provando a sfruttare di più l’ampiezza che non l’occupazione dei mezzi spazi, tipica degli esterni portoghesi; Adrien Silva per Moutinho e Andrè Silva per Guedes gli altri cambi, con il centravanti in formato Milan: impalpabile. Come ad Euro 2016 il Portogallo arriva agli ottavi col brivido, risultati pressoché identici (compreso l’errore dal dischetto ininfluente di CR7) e qualche punto interrogativo di troppo: la quasi totale dipendenza offensiva dalla sua stella e una difesa che ha mostrato più di una difficoltà. Dalla fase ad eliminazione Santos riuscì a blindare la squadra fino al trionfo di Parigi, vedremo se sarà in grado di ripetersi.

Un ottavo difficilissimo da pronosticare e se il calcio fosse una scienza esatta converrebbe giocarsi la casa su un pareggio, anche oltre il novantesimo. Ma l’aria di Russia sembra un ottimo propellente per le sorprese. Godiamoci la sfida a scacchi tra i due Ct e tra squadre pronte a sfruttare in maniera maniacale le palle inattive (5 gol su 5 per i sudamericani, 3/5 i portoghesi); lo scontro tra Pepe e Suarez e quello tra Vecino e Joao Mario. Ma soprattutto i mille significati del duello tra Cristiano e Godin, capitani, uomini simbolo, semi-divinità, almeno fin qui. C’è di peggio, no?

Spagna-Russia

di Giovanni Piccolino Boniforti

Sulla carta, che nel calcio conta ancor meno che in altri contesti, non ci sarebbe storia: come può ribaltare i pronostici una Nazionale che arriva al Mondiale casalingo con 5 vittorie in 19 incontri, basata sul talento incostante Dzagoev – per giunta indisponibile fin dal match d’esordio – e di un siberiano che negli Stati Uniti potrebbe bere alcolici solo da pochi giorni? Come può, una Nazionale che ha dovuto pescare il suo modesto terzino destro in Brasile, e sostanzialmente recuperare l’altro terzino dal pre-pensionamento, il cui bomber del futuro – Kokorin – ha avuto un rendimento talmente elevato che neanche è stato convocato, tenere testa alla nazionale più continua degli ultimi 15 anni e simbolo del nuovo corso del calcio europeo, assieme alla Germania?

Come detto, la mission sembra più che mai impossible. Eppure, c’è il fatto che la squadra di cui sopra arrivi all’ottavo di finale senza niente da perdere, e per giunta sulle ali di un eccessivo entusiasmo – viste le avversarie affrontate nel girone – che neanche ai tempi di Gagarin lanciato nello spazio. La Russia, inoltre, si è scoperta fragile in quelli che dovevano essere i suoi punti di forza – Akinfeev, ti voglio bene da ISS Pro 2009, ma così non va -, ma sorprendente in altri aspetti e uomini; si veda alla voce Cheryshev – che avesse delle qualità lo sapevano al Villarreal, ma al Mondiale sta andando oltre i propri limiti – a quella del gigante tanto concreto quanto scoordinato (perfino nelle esultanze) Dzyuba e, soprattutto, al sopracitato Golovin, oggi più che mai al centro del mercato europeo grazie a un piede destro che fa pochi prigionieri.

Nonostante il clima da Mondiale ricco di plot-twist e sorprese, il fortino russo è destinato a crollare alla prima vera difficoltà – e abbiamo già visto un’interessante preview con la Celeste -, e questo sembra saperlo pure il CT Čerčesov che, sebbene abbia allenato solo una squadra fuori dalla Russia, conosce ormai a memoria la Spagna e i suoi punti di forza: De Gea, Carvajal, Piqué, Ramos, Jordi Alba, Busquets, Thiago Alcantara; Silva, Iniesta, Isco, Diego Costa è un mantra che sa già di sentenza. Un giusto mix di fenomeni all’ultima occasione importante, di 25enni nel loro prime pronti ad afferrare la staffetta generazionale, e di ragazzi terribili in rampa di lancio (Asensio su tutti) in grado di risolvere con un colpo qualsiasi enigma tattico la gara possa proporre. Francamente, non vedo molte vie di uscita se non quella di una Spagna ai quarti di finale. Ma nel calcio, e soprattutto in questi Mondiali dove l’organizzazione collettiva si sta ergendo a vero attore protagonista, mai dare per scontato un risultato.

Croazia-Danimarca

di Andrea Madera

Prima del Mondiale un mancato passaggio di Modrić a Kramarić durante l’amichevole con il Brasile aveva fatto dire al telecronista Marko Sapit: “L’ha visto ma non lo ha voluto servire”. Un’interpretazione forse eccessiva della divisione all’interno dello spogliatoio tra i pro-Mamić, Modrić e Lovren che hanno testimoniato in favore dell’ex padrone del calcio croato recentemente condannato dal Tribunale di Osijek, e chi con un personaggio del genere non ha mai voluto avere a che fare, Kramarić che ha rischiato la carriera pur di non piegarsi a compromessi. Le polemiche esterne come spesso accade hanno compattato il gruppo, e la Croazia ha dominato il Gruppo D.

I Vatreni hanno sempre giocato in modo reattivo, cercando la verticalità senza puntare sul possesso. Contro la Nigeria Modrić si è ritrovato con Rakitić vicino ma i quattro attaccanti troppo lontani, costretto a rincorse difensive affannose e a complicati lanci lunghi. Nella schiacciante vittoria contro l’Albiceleste il centrocampista del Real è riuscito a incidere con il gol e con la consueta capacità di leggere il gioco, nonostante il ruolo da playmaker offensivo disegnato per lui da Dalić lo avesse condannato a un primo tempo di solitudine alla destra dello schieramento. Contro l’Islanda la Croazia ha fatto turnover, Modrić ha giocato ancora da regista offensivo ma più centrale, dove è sembrato a suo agio.

Domenica sera Dalić dovrà mettere il numero 10 nelle condizioni di esprimersi al meglio contro un avversario ostico. La Danimarca non ha impressionato nel Gruppo C, ha vinto soffrendo con il Perù e pareggiato con Australia e Francia, ma la squadra di Hareide metterà in difficoltà i croati chiudendosi, togliendo spazio alle transizioni. Da verificare la tenuta difensiva dei balcanici, Lovren e Vida finora sono stati graziati dagli errori altrui ma Eriksen e Poulsen sono clienti scomodi. Il genietto del Tottenham (in gol contro gli australiani) è stato elogiato così dal suo allenatore: “È come una mosca, ha mille occhi che vedono a 360 gradi”. Poulsen ha già regalato due rigori agli avversari, ma se resta concentrato può far male: chiedere al Perù per conferma.

Brasile – Messico

di Alberto Mapelli

Il Brasile arriva agli ottavi al termine di un crescendo di prestazioni e fiducia, soprattutto se consideriamo che l’ultima partita, quella contro l’avversario sulla carta più ostico e che avrebbe potuto causare la sua eliminazione, è stata vinta piuttosto in scioltezza. L’uomo in più della prima fase del Mondiale è senza ombra di dubbi Philippe Coutinho: due reti pesanti nelle prime due uscite, l’assist meraviglioso per il gol sblocca-risultato di Paulinho contro la Serbia e la sensazione di essere pronto a prendere il testimone di Iniesta a Barcellona per scalare l’ultimo gradino nelle gerarchie del calcio mondiale. L’ex Liverpool e Inter ha messo in mostra una grandissima fiducia nei propri mezzi, riuscendo ad incanalare tutta la propria qualità al servizio di una squadra che dovrà sicuramente fare a meno di Douglas Costa – proprio quando sembrava pronto a prendersi la maglia da titolare – e con un Marcelo in dubbio visti i problemi alla schiena accusati proprio nel match contro i serbi.

Il Brasile, tuttavia, non è ancora a pieno regime: il gioco non è brillante e fatica a scardinare le difese chiuse; Neymar, nonostante le lacrime che sembravano di liberazione, gioca ancora con il diavoletto sulla spalla che gli suggerisce malignamente di provare a vincere da solo; le transizioni ai lati di Casemiro vengono assorbite ancora in maniera faticosa. Il Messico, proprio per questo ultimo motivo, potrebbe rappresentare un ostacolo non così semplice da scavalcare.

La nazionale di Osorio si è vista sorpassare all’ultima partita dalla Svezia, a causa del rotondo 0-3 subito proprio contro gli scandinavi. Un risultato che, se la Germania non si fosse suicidata, avrebbe rappresentato anche il game over per il Messico. Una sconfitta che potremmo attribuire principalmente a due fattori: quello psicologico e/o emotivo di avere a disposizione due risultati su tre e quello tattico, ovvero un avversario, la Svezia, che predilige un calcio impostato su un baricentro basso e che ha impedito al Tricolor di utilizzare la sua arma migliore: le transizioni. Il Messico, nella prima partita, ha fatto ripetutamente a fette il blocco difensivo tedesco con una serie impressionante di ripartenze feroci, scatenate da un’aggressività sul pallone maggiore rispetto a quella aspettata. Il Brasile rappresenta un’altra tipologia di squadra che, per esaltare i suoi interpreti di spicco, ha bisogno di controllare il pallone, sbilanciandosi anche in avanti e lasciando tanto spazio alle spalle da coprire.

Il pronostico pende ovviamente dalla parte del Brasile ma se qualche episodio dovesse girare la partita a favore dei messicani, El Chucky Lozano & co si faranno trovare pronti per scrivere la storia sportiva del Messico.

Belgio-Giappone

di Gabriele Anello

Tolta Spagna-Russia, la partita di lunedì sera a Rostov sul Don è la più sbilanciata tra le contese degli ottavi. Il Belgio ha concluso il girone a nove punti (solo Uruguay e Croazia hanno fatto altrettanto); dall’altra c’è il Giappone, una delle sole due squadre a passare il turno con quattro punti (l’altra? L’Argentina… non depone a favore dei nipponici). Il Belgio sembra avere tutto per un buon Mondiale. O forse no? Anche a Brasile 2014, i Diavoli Rossi avevano dominato il loro girone, vincendo tre gare su tre e poi vincendo solo ai supplementari una gara che li vedeva favoriti: gli Stati Uniti di Klinsmann ebbero sui piedi di Wondolowski il gol-killer pre-supplementari, sprecato dall’attaccante. Da lì, lo scialbo 1-0 subito dall’Argentina di Sabella e l’uscita.

Stavolta, però, i giocatori hanno affrontato una squadra più forte nel girone (l’Inghilterra, seppur rotata nei suoi elementi) e hanno giocatori con quattro anni in più alle spalle. Le debolezze sembrano evidenti – Ferreira-Carrasco come ala a tutto campo, Boyata dietro: una difesa a quattro non sarebbe meglio? –, ma i punti di forza lo sono ancora di più. Anche senza Nainggolan.

Dall’altra parte, c’è una squadra che ha sorpreso… fino all’ultima gara. Il Giappone non si aspettava di esser qui: prima asiatica per la terza volta agli ottavi di finale di un Mondiale, nessuno avrebbe scommesso sulla qualificazione dei nipponici. Eppure un combinato di episodi – l’incredibile gara contro la Colombia, la doppia reazione contro il Senegal, il finale non edificante (ma efficiente) implementato dal c.t. Nishino contro la Polonia – li hanno portati alla sfida contro il Belgio.

Quarta sfida negli ultimi 10 anni, sarà la seconda a distanza di nove mesi, quando un Giappone sperimentale perse in Belgio. Gol di Lukaku, lo stesso che dovrebbe decidere una sfida squilibrata. Già, perché in Belgio già si pensa all’eventuale quarto di finale contro il Brasile. E in fondo… perché mai i Diavoli Rossi dovrebbero perdere contro questo Giappone? È impossibile, no? Come passare il girone per i Fair Play Points. Quando vuoi che succeda?

Svezia-Svizzera

di Federico Castiglioni

L’ottavo che non ti aspetti. Soprattutto l’ottavo che genererà l’intrusa dei quarti di finale. Già, perché Svezia e Svizzera non sono due squadre che ci si sarebbe aspettato di rivedere dopo i gironi, tanto meno a scapito di Serbia (battuta dagli svizzeri con un elevato grado di Kosovo) e soprattutto dei campioni in carica della Germania (vincenti sì contro la Svezia, ma crollati contro Messico e Corea del Sud e perciò eliminati a favore degli scandinavi), figuriamoci ai quarti di finale. Ma l’accoppiamento dei tabelloni così ha voluto, grazie alla netta vittoria degli svedesi nella terza giornata contro il Messico che ha permesso alla squadra di Andersson di chiudere da capolista il gruppo F.

Due squadre che fanno della fisicità e di una ferrea tenuta tattica ad occupare gli spazi la loro forza. Lo si è visto bene con la Svezia, formazione da pane, salame e 1 e metro e 90 di altezza come da miglior tradizione scandinava, che già nelle qualificazioni aveva mietuto vittime illustri come Olanda prima e Italia poi, oltre a mettere in seria difficoltà la Francia. Nel girone solo i tedeschi sono riusciti a bucare la porta di Olsen, a riprova di come il fortino svedese sia difficilmente attaccabile senza una combinazione dal coefficiente particolarmente alto di gioco propositivo (concesso volentieri dalla Svezia) movimenti e tasso tecnico, seppur in avanti offra ben poco in quanto a qualità, surrogata in parte con le stazze imponenti dei suoi uomini. Ad emblema dell’operaismo dei gialloblu, Granqvist, che con due reti dal dischetto supera Ibra nella classifica dei marcatori mondiali svedesi.

Una scena che ormai abbiamo interiorizzato per un uomo chiamato affidabilità.

Per la Svizzera, un dato curioso: nelle tre massime competizioni in cui ha partecipato negli ultimi 4 anni (Brasile 2014, Francia 2016 e Russia 2018), gli elvetici hanno sempre superato i gironi e al momento hanno perso solo una partita nei novanta minuti, contro la Francia nel secondo turno del mondiale brasiliano. Infatti, nel 2014 furono eliminati agli ottavi dall’Argentina solo al 118′, mentre a Euro 2016 uscirono contro la Polonia ai calci di rigore. Non c’è che dire, un materasso tremendamente coriaceo (chiedere ai serbi), capace di tenere una notevole concentrazione su tutto l’arco dei novanta minuti (chiedere ancora ai serbi) e di disinnescare persino i giocolieri brasiliani nonostante una caratura tecnica tutt’altro che esaltante, ma con un efficace sistema di distruzione del gioco avversario e successive ripartenze rapide per ribaltare il campo. Controindicazione: agli ottavi mancheranno capitan Lichtsteiner e Schär, entrambi squalificati.

Colombia-Inghilterra

di Paolo Stradaioli

Se è vero che l’Inghilterra, dopo la sconfitta contro il Belgio, si è garantita un quarto di finale morbido (almeno sulla carta), è anche vero che ad attenderla c’è un ottavo di finale tutt’altro che agevole.

La Colombia di Pekerman ha dimostrato un calcio scintillante nei momenti in cui Rodriguez e Quintero riuscivano a duettare, aprendo il campo per Cuadrado e Falcao, ricamando un calcio fatto di read and react come soltanto due giocatori che stanno alla stessa pagina del gioco possono fare. Purtroppo per i colombiani James non sarà della partita, complice un infortunio che lo ha costretto a giocare appena 30 minuti contro il Senegal. Senza il dieci del Bayern Monaco la Colombia perde il suo principale regista offensivo, nonché rifinitore di una manovra in sua assenza abulica, costringendo Quintero a un lavoro supplementare di cucitura, dal momento che né Carlos Sanchez né Uribe hanno dimostrato di poter sobbarcarsi compiti di regia. Non resta che puntare sulle transizioni a mille all’ora di Cuadrado e soci.

La Colombia farà a meno di un signore con questa visione del gioco

Dall’altra parte l’Inghilterra arriva a questi ottavi con diversi punti interrogativi. La mole di gioco prodotta, la qualità del possesso e le scelte di Southgate restituiscono l’idea di una squadra proattiva, a suo agio con il pallone e orientata alla riconquista alta per buoni tratti della partita. Il 3-5-2 inglese (che in fase di possesso si trasforma in un 3-1-5-1 tendente ad allargare al massimo il campo) per ora ha fatto sorgere tanti dubbi (Sterling ha senso in quella posizione? Dele Alli ha senso così lontano dalla porta? Young ha ancora cittadinanza da esterno offensivo?) e alcune certezze come il rendimento di Trippier (sesto per key passes in questo mondiale) e la qualità del primo possesso, con Stones e Walker beneficiari dell’effetto-Guardiola.

I centrali colombiani dovranno stare molto attenti ai movimenti a venire incontro: le mezze punte inglesi sono delle frecce ad attaccare gli spazi. In questo caso Vardy attira due avversari, Rashford si infila ma spedisce a lato.

Gli inglesi hanno dimostrato di essere la miglior squadra del torneo sui calci piazzati, vantano in Kane il presente e il futuro del ruolo del centravanti, hanno i giocatori per banchettare tra le linee avversarie (la Colombia difende un po’ troppo a compartimenti stagni). Le due partite contro Tunisia e Panama e l’amichevole mascherata (male) contro il Belgio non costituiscono ancora una reale dimensione del valore di questa rosa, specialmente nelle fasi di non possesso (in cui si è notata una certa difficoltà da parte degli esterni a fare le due fasi su 90’). Contro la Colombia servirà tenere la concentrazione al massimo e sfruttare le maggiori soluzioni tattiche a disposizione, coniugate con un talento che a nord di Calais non si vedeva da generazioni.

Lo sa anche Delph, per questo è così contento.