Zlatko Dalić, vent’anni dopo - Zona Cesarini

Zlatko Dalić, vent’anni dopo

Vent’anni dopo è il romanzo centrale nella trilogia di Alexandre Dumas che racconta la storia di D’Artagnan e dei moschettieri. Secondo Claude Schopp, scrittore francese e grande conoscitore di Dumas, il secondo capitolo della trilogia è “il romanzo della maturità, del disincanto, del cinismo e dei compromessi”. Anche per la Croazia, dal 1998 al 2018, sono cambiate molte cose, e la seconda semifinale mondiale non può avere lo stesso significato della prima. Il 4 luglio 1998 la Nazionale di Boban e Suker batte 3 a 0 la Germania in una sfida senza storia. I Vatreni vedranno poi svanire il sogno di sollevare la Coppa per colpa dell’incredibile doppietta di Thuram, ma il terzo posto conquistato nella finalina contro l’Olanda mette la piccola Croazia sulla mappa del calcio che conta.

La “generazione d’oro” dei balcanici è guidata in panchina da Miroslav Ciro Blazević: personalità esuberante, amante del buon vino, fissato con gli oroscopi e amico fidato di Franjo Tudjman, primo presidente della Croazia indipendente e convinto da sempre che “gli atleti sono i migliori ambasciatori della patria”. Quando, nel 2005, Zlatko Dalić prende il posto di Blazević sulla panchina del Varteks Varazdin per la sua prima esperienza da capo-allenatore, non può immaginare che il suo nome sarà ricordato dopo quello di Ciro nell’elenco dei ct croati arrivati in semifinale ai mondiali. Certo, la Croazia che oggi festeggia insieme a lui è diversa da quella che usciva unita e speranzosa dalla fine della guerra. L’economia è in difficoltà, l’emigrazione di chi cerca lavoro altrove cresce di giorno in giorno, la fiducia nelle istituzioni è ai livelli minimi.

La presenza del presidente croato Kolinda Grabar-Kitarović, vestita come una bandiera vivente, nello spogliatoio dei Vatreni dopo gli ottavi e i quarti è stata vista da molti come l’ennesima ipocrisia di un populismo patriottico che abbraccia i suoi eroi sudati e sorpresi per nascondere le sue contraddizioni, come l’amicizia tra Kolinda e Zdravko Mamić, ex padrone del calcio croato recentemente condannato dal Tribunale di Osijek e fuggito in Bosnia per evitare l’arresto.

Uniti per dimenticare

Prima della sfida contro la Danimarca, in conferenza stampa è stato chiesto al ct Zlatko Dalić se la sua Nazionale assomiglia o meno a quella italiana del 2006, capace di dimenticare gli strascichi dello scandalo Calciopoli e di compattarsi contro le critiche per rispondere sul campo ai detrattori. L’allenatore ha dato una risposta diplomatica, assicurando la comunione d’intenti dei suoi ragazzi senza approfondire la questione.

È interessante provare a immaginare lo stato d’animo di uno spogliatoio così diviso per motivi extra-calcio. Nella stessa stanza troviamo Luka Modrić, Dejan Lovren e Andrej Kramarić. Nel processo contro Zdravko Mamić Modrić ha risposto con una serie di imbarazzanti “Non ricordo” alle accuse sulle clausole contrattuali che avrebbero permesso a Mamić di spillare soldi ai giocatori venduti all’estero dalla Dinamo Zagabria, ritrattando le dichiarazioni fornite durante le indagini. L’opinione pubblica croata lo ha criticato pesantemente e il centrocampista del Real Madrid è stato accusato di falsa testimonianza. Anche il suo compagno in Nazionale Dejan Lovren rischia la stessa accusa, inoltre pare che abbia ricevuto da Mamić un foglio su cui erano scritte le risposte “giuste”, da imparare a memoria.

Kramarić non ha mai attaccato pubblicamente gli altri due, ma tutti sanno che il suo rifiuto di piegarsi alla volontà del clan Mamić gli è quasi costato la carriera. “Le storie che sentite sono vere. Io ne sono uscito con il sorriso e ho avuto successo. Ovvio che sia un ricordo triste, la Dinamo Zagabria era il mio sogno fin da piccolo”. Andrej è nato nella capitale e si è unito alla squadra quando aveva sei anni, segnando 452 gol (li ha contati lui) nelle giovanili.

Mamić aveva visto il suo potenziale e aveva provato a convincere la famiglia a spingere il ragazzo sotto la sua ala protettiva, senza successo. Per Kramarić sono tempi difficili: zero chance alla Dinamo, poi il trasferimento alla succursale Lokomotiva dove gli vengono preferiti altri giocatori e nessuna possibilità di trasferirsi all’estero a meno di non cedere alle pressioni del capo. Nel 2013 Mamić si rassegna e molla la presa, Kramarić passa allo Rijeka dove finalmente può mostrare il suo talento e poi all’Hoffenheim, dove grazie a Julian Nagelsmann esplode definitivamente, da attaccante versatile e abile tra le linee. La doppietta all’Ucraina durante le qualificazioni, nella prima partita con Dalić in panchina, gli ha regalato la possibilità di farsi vedere anche al Mondiale. In Russia non ha giocato sempre ma ha segnato nella sfida più importante, contro la Russia padrona di casa.

Kramarić compare insieme a Modrić e Lovren soltanto nelle immancabili foto di gruppo, quando è strettamente necessario. L’unico momento di palese nervosismo si è verificato fuori dallo spogliatoio, nella prima conferenza stampa del Mondiale prima del match di esordio contro la Nigeria. Shaun Walker del Guardian chiede a Modrić e Dalić di dire qualcosa sulla condanna di Mamić e sull’effetto che ha avuto sul gruppo. Dalić guarda altrove e poi china il capo, infastidito. Il capitano dei Vatreni replica stizzito: “Non hai qualcosa di più intelligente da chiedermi? Quanto ci hai messo a prepararti questa domanda?”. Discorso chiuso, ma lo sguardo del numero dieci dice tutto.

Non si pensi che dopo la condanna di Mamić per i 116 milioni di kune (15,6 milioni di euro) sottratti illegalmente alla Dinamo Zagabria e per i 12,.2 milioni di tasse (1,6 in euro) non pagate allo Stato la Federazione sia stata radicalmente rinnovata. Il presidente è Davor Suker, passato da leggenda del calcio croato a sibilante Bis per il suo Principe Giovanni-Zdravko Mamić, mentre il Direttore Esecutivo della Federazione è ancora Damir Vrbanović, condannato a tre anni nel processo di Osijek. Aspettando tempi migliori, anche i tifosi croati che da troppo tempo invocano un cambiamento radicale della situazione difficilmente potranno trattenersi dall’esultare se la Croazia di Modrić dovesse riuscire a fare meglio della “generazione d’oro”.

Superstizioni e intrighi

Il tennista croato Goran Ivanisević, primo nella storia a vincere Wimbledon grazie a una wild card, era noto per i suoi ace e per i suoi rituali. Aspettava sempre che nei break delle partite fosse l’avversario il primo a sedersi, prima dei match mangiava sempre nello stesso posto, guardando lo stesso programma tv. La scaramanzia di Dalić è più spirituale: porta sempre con sé un rosario consacrato a Medjugorje.

Il momento in cui Dalić si è dovuto aggrappare con più forza al suo amuleto, escluse ovviamente le lotterie dei rigori, è stato certamente quando ha deciso di allontanare definitivamente dal ritiro di Nikola Kalinić, che si era rifiutato di entrare in campo nell’amichevole pre-mondiale contro il Brasile e nelle battute finali del match contro la Nigeria, adducendo dei dolori alla schiena. Non sono felice della cosa, è stata anche una mia sconfitta. Ho fatto di tutto per evitare un provvedimento del genere ma non ci sono riuscito. Peccato, perché ci sarebbe stato utile”.

Le precedenti esperienze in panchina hanno dato fiducia a Dalić: “Sono l’unico allenatore nella storia della Asian Champions League a passare la fase a gironi quattro volte consecutive. Questo mi ha aiutato”. Dalić è nato a Livno, in Bosnia, luogo dove la popolazione è a maggioranza croata e di cui sono originarie le famiglie di Suker e Mamić. Ha alle spalle una carriera come discreto centrocampista difensivo, ma non ha mai vestito la maglia della Nazionale. Ha allenato in Croazia, in Albania e in Arabia Saudita, poi con il trasferimento negli Emirati Arabi sono arrivate le soddisfazioni maggiori, in particolare la finale dell’Asian Champions League raggiunta con l’Al Ain nel 2016.

Dal 2006 al 2011 ha lavorato per l’Under-21 croata come assistente di Drazen Ladić, portiere dei Vatreni nel 1998. Quando Ante Cacić è stato scaricato dalla Federazione per le deludenti prestazioni nel girone di qualificazione ai Mondiali, è arrivato il suo momento. Davor Vugrinec, che i tifosi del Lecce ricordano ancora e che oggi fa il collezionista d’arte, ha sempre parlato bene del suo ex compagno al Varteks Varazdin, squadra più importante per il Dalić calciatore e suo trampolino di lancio come allenatore. Vugrinec descrive l’amico come un fanatico del pallone, lavoratore instancabile. “Prendeva sempre appunti dopo gli allenamenti. Uno dei suoi maestri è Branko Ivankovic (con l’Iran al Mondiale 2006), nostro allenatore al Varteks. A Varazdin tifiamo tutti per lui”.

Le malelingue dicono che l’incarico con la Nazionale sia arrivato per liberare il posto in panchina al successore di Dalić sulla panchina dell’Al Ain, Zoran Mamić; pare però che Dalić non sia una creatura di Mamić come il suo predecessore Cacić. Dopo la sconfitta in amichevole contro il Perù, a marzo, Zdravko Mamić avrebbe provato a convincere la Federazione a liberarsi di Dalić, senza successo. Un segnale che forse mette fine al potere assoluto di Mamić all’interno di un organismo finora incapace di rigenerarsi, come prova l’esclusione dalla corsa alla presidenza della Federazione di Dario Simić lo scorso dicembre. L’ex difensore di Inter e Milan (anche lui presente a Francia ’98) non aveva trovato sponde alla sua iniziativa di candidarsi come successore di Suker ed era stato costretto ad assistere alla scontata vittoria del rivale nell’assemblea federale.

Volata finale

Per una squadra che tra ottavi e quarti è rimasta in campo per 240 minuti e che ha l’età media più alta delle quattro rimaste, passare il turno contro gli inglesi sembra un’impresa impossibile. Prima del match contro Golovin e compagni, Dalić aveva dichiarato: “Contro la Danimarca abbiamo corso meno che contro Nigeria e Argentina, so che i ragazzi sono stanchi”. Contro la Russia la Croazia è scesa in campo con la stessa formazione che aveva iniziato il primo match contro la Nigeria. Solita difesa a quattro, Modrić e Rakitic non abituati a coprire così assiduamente lo spazio alle loro spalle, troppo lontani dalle ali Rebić e Perisić (che si scambiano spesso le posizioni), da Kramarić e dal centravanti Mandzukić. Il gol di Cheryshev ha evidenziato i limiti di interdizione dei fuoriclasse di Real e Barcellona, costretti a compiti non esattamente consoni alle loro caratteristiche.

Nel secondo tempo l’ingresso di Brozović ha riequilibrato lo spartito tattico, ma il più grande limite della Croazia rimane sempre lo stesso. Possibile che una squadra con un centrocampo del genere sappia giocare solo in verticale? Sembra proprio di sì, infatti contro Danimarca e Russia, squadre reattive, i croati hanno faticato a costruire azioni pericolose.

Spesso i giocatori offensivi si ritrovano tutti sulla stessa linea, non ci sono movimenti armonici, non c’è un piano alternativo al cambio gioco su Vrsaljko che si sovrappone o al lancio lungo per cercare la sponda di Mandzukić  in favore degli inserimenti da dietro, i centrali di difesa non sono in grado di impostare e costringono uno tra Rakitić e Modrić ad abbassarsi costantemente. Non può essere solo colpa di Dalić se la sua squadra è monotematica, ha iniziato ad allenarla a ottobre. Gli va dato atto dell’intuizione Rebić, cavallo pazzo ex Fiorentina rigenerato (ma ha solo 24 anni) da Niko Kovac all’Eintracht Francoforte e abituato ad attaccare in un contesto che fa della verticalità la sua ragion d’essere.

L’ala non era considerato un titolare da Cacić, ma un piano di gioco basato su ripartenze e ribaltamenti rapidi di campo non può fare a meno di lui. Secondo l’ex ct della Croazia Slaven Bilić, uno dei difensori che fecero sognare i tifosi vent’anni fa: “L’Inghilterra è più pericolosa con il pallone ma anche più vulnerabile di Danimarca e Russia quando non ha il possesso, spero che giocheremo come sappiamo”. È quello che si augura anche Dalić, superare il traguardo raggiunto da Boban e Suker potrebbe consegnare lui e i suoi ragazzi alla leggenda.