Cosa aspettarsi dalla Serie A 2018/19 - Zona Cesarini

Cosa aspettarsi dalla Serie A 2018/19

Dopo un Mondiale sorprendente, altisonanti acquisti di calciomercato, grandi movimenti tra le squadre top di Serie A, volti nuovi e ritorni inaspettati, e con la chiusura del calciomercato appena avvenuta, è l’ora del ritorno del campionato con il weekend alle porte che sancirà l’inizio della Serie A 2018/19: uno dei tornei più interessanti degli ultimi anni. La redazione di ZC, come da tradizione, si è riunita in seduta plenaria a Ferragosto per analizzare i punti salienti del prossimo campionato, tra sorprese, conferme, outsider e giovani pronti a stupire.

Possibile rivelazione

Leonardo Capanni

Approcciarsi alla squadra rivelazione dell’anno è un po’ come presentarsi in sala scommesse e puntare sull’underdog che strappa un sorriso beffardo e malizioso con la sensazione di avere appena effettuato la giocata della vita o, di riflesso, la cazzata dell’anno. Muovendosi su un crinale scosceso e ripido, come quello ricco di incognite e novità di questa Serie A profondamente cambiata nei volti dei protagonisti, rischio e gioco le mie personali fiches sulla Roma di Eusebio Di Francesco e Monchi. È un azzardo, ma è uno di quei rischi calcolati.

A 48 ore dalla chiusura del mercato e dall’esordio in campionato, la Roma appare come la squadra più indecifrabile del lotto delle big 6 della Serie A: un parco giocatori numeroso, con soluzioni differenti, qualche esubero pesante in termini tecnici ed economici, molti volti nuovi che faranno il loro esordio in Italia, qualche certezza granitica persa nel vortice frenetico del calciomercato condotto con mano ferma da Monchi. Fermarsi ad osservare oggi la rosa della Roma nella sua interezza, può suscitare strane associazioni mentali come dinanzi a un quadro di Picasso: un insieme creativo, caotico, spinto da una forza brutale e composto di molteplici sfaccettature e linee, spesso non organiche tra loro, eppure straordinariamente affascinante.

Gli arrivi di Justin Kluivert e del Flaco Pastore hanno garantito qualcosa in più in termini di qualità, palleggio, versatilità di soluzioni nell’ultimo terzo di campo, anche se nel caso del figlio d’arte oranje il tempo sarà l’alleato più affidabile per un talento evidente – proprio come successo nel caso dell’altro enfant-prodige che agisce sulla fascia opposta: Cengiz Ünder. Su Pastore invece, scommessa dal profilo aristocratico e demodé, si giocheranno buona parte delle fortune giallorosse: se il Flaco riuscirà ad interpretare al meglio i meccanismi del sistema verticale e aggressivo di Di Francesco, la Roma si troverà di colpo un set di soluzioni finora assente: un giocatore dal tasso tecnico così raffinato, unito a capacità associative di primissimo livello, è merce rara nel panorama italiano. Una scelta coraggiosa, ma consapevole dei rischi che l’inserimento da mezzala atipica dell’ex PSG porta con sé.

Insieme a loro è arrivato nelle ultime ore un altro giocatore dalle caratteristiche peculiari come N’Zonzi: forse non il profilo che in molti si sarebbero aspettati, ma probabilmente il centrocampista che potrà aprire a moduli e soluzioni di gioco finora soltanto abbozzate sulla lavagna. Un doble pivote con De Rossi e il campione del mondo francese potrebbe divenire realtà e permettere di liberare le energie creative e i movimenti del Flaco nel suo habitat naturale: il cono centrale del campo, quella trequarti ormai terra di conquista di assaltatori (remember Nainggolan?) più che di trequartisti sudamericani dallo charme retrò. Con l’innesto di N’Zonzi anche un giocatore discusso, discontinuo come Schick potrà ritagliarsi maggiori spazi in appoggio al vero fulcro della squadra: Edin Dzeko, sempre più leader e gigante buono a cui i principi di gioco di Di Francesco si appoggeranno come il mondo si appoggia sulle spalle di Atlante. Da loro, e dall’inserimento di Cristante in un sistema di gioco che si preannuncia ben più fluido ed elastico rispetto alla scorsa stagione, passerà la differenza tra una stagione deludente e un consolidamento a livelli europei, magari impreziosita da qualche scalpo importante.

In definitiva, la Roma, date le rivoluzioni interne e le partenze-choc (su tutte Alisson), probabilmente non lotterà per le prime due posizioni ma un arrivo al terzo posto, insieme al traguardo dei quarti di finale di Champions, potrebbe finalmente stabilizzarla nel novero delle squadre d’élite europee: un traguardo semplicemente fondamentale per qualsiasi velleità di ulteriore crescita futura.

Miglior Under 23

Gio Piccolino Boniforti

Con buona pace di Bartłomiej Drągowski, 21enne portiere polacco della Fiorentina che si è visto scavalcato da portieri tutt’altro che irresistibili come Tatarusanu e Sportiello, questa volta il posto da titolare glielo ha scippato un ragazzino neanche ventenne, che però ha già collezionato 99 partite da professionista, e che definire in rampa di lancio sarebbe riduttivo.

In un’epoca strana per i portieri – si va dai sopravvalutati Mignolet, Karius e Navas che parano per grandi club ai cloni mal riusciti di Neuer (come Trapp e Areola), passando dall’italica e atavica ricerca dell’erede di Gigi Buffon – finalmente pare che la serie A sia pronta ad accogliere due personaggi dall’indubbio talento, ma anche da un fascino caratteriale retrò e inusuale nell’epoca dei social: Meret sembra – a livello tecnico, geografico e caratteriale – l’erede naturale di Dino Zoff, ed è finito in una delle piazze più affascinanti e ambiziose d’Italia. L’altro arriva da più lontano, precisamente dal Burkina Faso, ed è diventato un portiere per caso nonché uno dei migliori Under 23 sbarcato in Serie A in rapporto a potenzialità ed età.Sarà meglio che non lo guardiate in faccia, Alban Lafont, perché sembra veramente un attore di High School Musical. Invece il classe 1999 parla, pensa e soprattutto para come un veterano. D’altronde ha dovuto crescere in fretta, sin da quando è fuggito con la famiglia da Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, per raggiungere Montpellier, quando non aveva ancora compiuto 9 anni. Quando tre anni dopo ha iniziato a parare per il quarto club cittadino, l’AS Lattes, non aveva mai indossato i guantoni, ma una crescita vertiginosa verso i 193 cm attuali gli aveva palesato l’impossibilità di continuare ad agire come esterno d’attacco di movimento, ruolo in cui aveva iniziato a muovere i primi passi nel dilettantismo francese.

Era talmente evidente che fosse nato per giocare da estremo difensore che, in appena quattro anni, è passato prima al Castelmarou, dalla Linguadoca ai Pirenei, e poi al più prestigioso Tolosa, che in breve tempo gli ha aperto le porte delle nazionali giovanili francesi e che, a 16 anni e 10 mesi, lo ha reso il più giovane portiere debuttante nella storia della Ligue1. L’esordio da record è avvenuto in modo alquanto rocambolesco: il Tolosa era penultimo in classifica e i portieri erano Mauro Goicoechea, che in Italia piaceva solo a Zeman, e il modesto Vidal, che da circa 8 anni è il secondo portiere della squadra B del Tolosa. Ecco spiegato perché coach Arribagé abbia deciso di affidare le sue sorti a un sedicenne che fino a 4 anni prima non aveva fatto una parata in vita sua.

Altre belle cose? Reattività pazzesca e stile da vendere tra i pali.

Ben presto alla porta del Tolosa hanno bussato tanti club importanti come l’Arsenal o il Watford, che poi si sono tirati indietro perché il ragazzo esigeva un posto da titolare, nonostante non fosse anagraficamente idoneo neanche per la patente. Alla fine l’ha spuntata la Fiorentina per 8 milioni di euro, più bonus legati a percentuali sulla futura rivendita (anche se non ci sono conferme ufficiali). Non male, dato che la base d’asta di partenza si aggirava intorno ai 15 milioni.

Per caratteristiche ricorda vagamente un altro portiere passato da Tolosa: Fabian Barthéz, con cui condivide l’enorme l’istinto, la reattività e il naturale senso della posizione. La tecnica e l’estetica, mai stati il punto di forza di del campione del mondo ’98, non sono ancora di primissimo livello neanche per Lafont, che però ha una tale etica del lavoro che gli permetterà di colmare anche queste lacune. Già ora è in confidenza con i piedi e l’impostazione bassa, elastico nelle uscite e, soprattutto molto reattivo tra i pali. Nelle prime uscite stagionali è già stato riconosciuto tre volte come man of the match, parando anche la bellezza di 4 rigori nei due mini-tornei giocati dalla Fiorentina in Germania. Ora dovrà ripetersi, e migliorarsi ulteriormente, in un campionato nettamente più difficile, ma anche più stimolante di quello transalpino. Il Cholito Simeone ha già speso parole importantissime per lui “In  porta, alla sua età, non ho mai visto uno con queste qualità.” Ma una delle poche frasi che Lafont ha speso appena giunto a Firenze è stata un inno all’understatement e all’applicazione: “Non mi esalto facilmente: vorrei diventare il numero 1 della Francia in futuro, ma devo lavorare ancora molto”.

Possibile delusione

Pietro Ronzoni

Come la sessione di calciomercato rossonera della scorsa stagione ci ha insegnato, rinnovare completamente la rosa investendo scriteriatamente centinaia di milioni sul mercato non equivale necessariamente a risvolti positivi, ma bisogna comunque tentare quantomeno di tenere il passo delle dirette concorrenti.

Tra le squadre d’alta classifica – ossia quelle che si giocheranno secondo, terzo, quarto e quinto posto – il Napoli è sicuramente quella che si è mossa meno, o meglio, in modo meno appariscente: dopo la firma di Ancelotti ci si aspettava indubbiamente un mercato di ben altro charme, con un paio di grandi colpi che avrebbero dovuto varcare i cancelli di Castelvolturno e movimentare l’estate napoletana, ma così non è stato. Sulla carta,  le milanesi hanno notevolmente limitato il gap, mentre la Roma sembra aver risposto abbastanza bene agli addii di Nainggolan ed Allison. Fabian Ruiz e Verdi posizionano il Napoli un gradino sotto, perlomeno dal punto di vista del mercato, soprattutto date le partenze di due pilastri come Reina e Jorginho.

Da Siviglia con furore

Restando in ambito calciomercato, un altro tasto delicato è quello che riguarda il ruolo del portiere: Ancelotti non solo dovrà fare a meno del titolare delle ultime stagioni – nonché leader dello spogliatoio – ma avrà a che fare con tre nuovi portieri potenzialmente titolari che si giocheranno il posto in un ruolo delicato come quello dell’estremo difensore, per il quale la stabilità nell’11 titolare è essenziale e la concorrenza è, nella maggior parte dei casi, controproducente.

Un altro tema da maneggiare con un bel paio di guanti in kevlar e che almeno sulla carta potrebbe risultare ostile e spinoso è quello di riuscire a gestire l’ambiente “post-Sarri”. Si tratta infatti di una sorta di rivoluzione sotto l’aspetto tattico, con gli azzurri che dovranno resettare i principi del calcio sistemico, fluido ed estetico del tecnico toscano ed acquisire ritmi e giocate di un credo calcistico che, risultati dei match disputati finora alla mano, è evidente non sia ancora stato appreso sufficientemente. Inoltre, per quanto dal punto di vista tattico – e soprattutto del palmarès – Ancelotti resti indiscutibilmente uno dei migliori allenatori in circolazione, nonché l’uomo giusto sul quale una squadra di altissima classifica debba puntare, dovrà riuscire nell’impresa non esattamente agevole di conciliare il suo carattere pacato, pacifico e placido con un ambiente caloroso, passionale e sentimentale come quello del San Paolo.

ADL e Carlo Ancelotti in un raro momento di riposo sopraccigliare

Probabilmente con l’addio di Sarri si è chiuso un ciclo: due anni emotivamente e fisicamente molto intensi e sfiancanti durante i quali non è mai stata aperta una finestra per cambiare aria ad un ambiente al quale è mancato l’ossigeno proprio nei momenti decisivi e che ora dovrà  trovare una valvola di sfogo per regolare la pressione accumulata nel tempo, facendo attenzione a non fare implodere su sé stesso.

Avversari più competitivi e confusione interna: Napoli fuori dalla prossima Champions?

L’effetto CR7

Paolo Stradaioli

La Juventus non lo sapeva, l’Italia non poteva immaginarlo, l’egemonia culturale imposta da Cristiano Ronaldo non aveva niente a che vedere con quanto eravamo abituati a concettualizzare. È cominciata a Villar Perosa, sede stagionale dell’esordio in maglia bianconera, prima apparizione del fenomeno di Madeira nell’universo peninsulare, pronto a squarciarlo a ogni tocco di palla. L’esplosione al primo gol e l’arteria principale della città intitolata a Cristiano Ronaldo, il sindaco non poteva fare altrimenti, i numeri civici avranno davanti la sigla più famosa del mondo (“dove abiti?” – “al CR12/B vicino al bar”).

Poco male se è solo un’amichevole contro la Primavera.

Lentamente prende possesso della narrativa del quotidiano principale della città di Torino. Prima diventa una rubrica (Cristiano Ronaldo a spasso per Torino), poi guadagna una sezione nella homepage del giornale, infine viene creato un inserto per seguire dettagliatamente le mosse del nuovo numero 7 della Juventus. Cronaca certo, ma anche approfondimenti, longread, un reporter passa un’intera notte nell’appartamento del campione per descriverne le abitudini notturne: quanto ci mette a lavarsi i denti, quante volte si alza durante la notte, quanto spesso gli vibra il cellulare, quali rumori si avvertono dalla camera da letto.

Intanto il campionato è iniziato e la Juventus non perde l’abitudine di catalizzare l’attenzione della stampa mondiale: record di gol, record di punti, Ronaldo è praticamente già capocannoniere nel girone d’andata. Allegri prova a spiegare che le vittorie sono di squadra, che Ronaldo conta per uno, che comunque è contento soprattutto per l’applicazione difensiva della squadra. La squadra in realtà è a pezzi. Non bastasse la sensazione di fine ciclo, questo portoghese fagocita le attenzioni di tutti. Fuori dall’allenamento nessuno ferma più Chiellini, Bonucci, Dybala, Pjanic, i bambini non sanno nemmeno chi sono gli altri. Solo uno, solo Ronaldo.

Sky si adegua. Nasce la Ronaldo-cam: si accende quando il pullman della Juventus raggiunge lo stadio, si spegne al triplice fischio, praticamente i tifosi della Juventus non sanno più guardare una partita, e anche i supporter delle altre squadre cominciano a farsi sedurre dalla venerazione per un’entità mistica. A marzo i principali canali d’informazione sportiva non fanno nemmeno vedere più la classifica, paesaggio, in confronto alla presenza scultorea del più grande.

La sindaca Appendino istituisce un Ronaldo-day a Venaria ma non basta, Agnelli sguinzaglia i creativi della Fiat per fare una capsule collection di accessori a firma CR7 ma decisamente non basta. Il presidente si spinge fino a proporre un modello della 500 intitolato al portoghese ma a questo punto interviene Mendes. “Scusate, quanto costano i naming rights dello stadio?”. È una domanda retorica. Cristiano Ronaldo Stadium, il primo stadio intitolato a un giocatore ancora in attività.

Buffon da Parigi non sa bene come esprimersi, nessuna novità. Del Piero prova a riportare il discorso alla normalità su Twitter. “Cristiano Ronaldo è un giocatore fantastico, ma non dimentichiamoci chi ha reso questa maglia quello che è oggi 😉”. Apriti cielo. Nessuno si ricorda di Alex, nessuno si ricorda di quello che c’era prima, è come se una subdola damnatio memoriae avesse agito sui tifosi, un’onda psichica aliena capace di cancellare tutto ciò che non è Ronaldo. Ronaldo è la Juventus, Ronaldo è il calcio.

I bianconeri vincono campionato, Coppa Italia e Champions League, Allegri lascia subito dopo. “Un’altra domanda su Cristiano Ronaldo e mi sarei tirato nel Po”. Lapidario. Agnelli intanto ha già pronto il contratto da allenatore-giocatore, pura formalità. Ad agosto Sport Mediaset lo va a intervistare nella sua casa in Portogallo.

“Hai vinto tutto al primo anno, Torino è ai tuoi piedi, l’Italia intera ti osanna. Qual è il prossimo obiettivo?”

“Presidente del Consiglio?”. Fragorosa risata, ma c’è poco da ridere.

È un plebiscito.

Driiiin. La sveglia del mister. Massimiliano guarda l’ora, digita un numero sul telefono, attende.

“Pronto?”.

“Ciao Marco (Landucci, il vice ndr), senti mi confermi che abbiamo deciso di far partire Ronaldo titolare contro il Chievo?”.

“Si certo, anche se non ha i 90’ nelle gambe secondo me”.

“Ok. Ho fatto uno strano sogno comunque…”.

Paura?

La favorita per lo Scudetto

Qui la redazione, dovendo spendere un nome secco, si è unita e ha deliberato all’unanimità quanto segue: il Chievo di D’anna e Giaccherini è la favorita d’obbligo per il titolo. Stavamo scherzando: la nuova Juventus di Allegri e CR7 è giunta all’annata dove ogni altra opzione che non contempli la vittoria cannibale di qualsiasi titolo è da vedere come un serio problema su cui riflettere. Condannati a vincere, per l’ottavo anno di fila.

La middle class con vista Europa

Gianluca Lorenzoni

L’allineamento del pianeta Serie A con la stella Cristiano Ronaldo ha per forza di cose monopolizzato una delle sessioni di mercato più ingenti e spettacolari dell’ultimo decennio, finendo per eclissare o quasi tutto il resto. E se l’acquisto del portoghese ha scatenato la voglia di tenere il passo tra le contenders (anche grazie all’effetto domino che ha portato Higuain al Milan, ad esempio) delineando una prima fascia con milanesi e romane oltre al Napoli e i campioni in carica abbastanza elitaria rispetto al resto del gruppo, anche quella middle class che ragionevolmente dovrà giocarsi l’unico posto europeo disponibile metterà in campo progetti da seguire con particolare attenzione.

Partiamo dall’Atalanta di Gasperini che è ormai difficile considerare un’intrusa a queste latitudini. L’insoddisfazione del tecnico che ha visto partire due pilastri dell’ultima stagione come Caldara e Cristante potrebbe essere stata mitigata dagli arrivi di Zapata, un centravanti che sembra sposarsi a pieno con il gioco del Gasp come lo fu Borriello, ed Emiliano Rigoni, vero colpo a sorpresa per la trequarti e molto di più di una semplice alternativa a Gomez ed Ilicic. La partenza di Cristante è stata colmata con il ritorno in Italia di Pasalic, già a segno nei preliminari di EL come Zapata, che per caratteristiche ed affinità con la porta avversaria potrebbe riuscire a non farlo rimpiangere permettendo inoltre alla Dea di alternare un 352 al 343 d’ordinanza. Molto dipenderà ovviamente dalla verve del Papu Gomez, rimasto a Bergamo dopo una stagione difficile, dall’assorbimento della cessione di Caldara e dall’impatto di Duvan (senza dimenticare Barrow), che non dovrebbe avere particolari problemi a fare meglio di Petagna, almeno sotto il mero aspetto realizzativo, uniti al fattore Europa League che potrebbe togliere energie nella fase decisiva della stagione. L’Atalanta quindi nonostante il consueto binomio valorizzazione/cessione resta una delle realtà più interessanti del campionato.

Discorso simile per la Fiorentina di Pioli che dopo aver assaporato per qualche settimana il profumo d’Europa proverà a riconquistarla nuovamente sul campo. La viola ha inserito in una struttura già definita due scommesse in cerca di rilancio come Gerson e Pjaca, rimpolpato le corsie esterne con l’esperienza di Mirallas e sostituito Sportiello con il talentuoso Lafont (vedi sotto). La partenza di Badelj, leader tecnico e cerebrale del centrocampo è di quelle pesanti e potrebbe aprire uno scenario da coperta corta, con i neo arrivi Norgaard e Edimilson non al livello del croato e l’eventuale spostamento di Veretout in regia che dovrà essere coperto da Gerson o Dabo, con risultati tutti da valutare. La Fiorentina resta una squadra forse troppo giovane per pretendere continuità, ma i valori tecnici e caratteriali (in questo senso la vicenda Astori ha significato molto) non possono essere sottovalutati. Se Chiesa dovesse fare un ulteriore salto di qualità con il Cholito (14 gol, senza rigori, in un’annata in chiaroscuro) e Pjaca avremmo uno dei tridenti più giovani ed intriganti del campionato.

Tra queste due squadre, già abituate a giocare per un posticino in Europa League, potrebbe inserirsi il Torino di Mazzarri. Dopo i mesi di “apprendistato” con una squadra non costruita per lui, quest’anno il tecnico livornese potrebbe tornare ad essere un cliente scomodo per tutti. Gli acquisti last minute di Zaza e Soriano alzano notevolmente il livello: una mezzala d’inserimento e qualità che mancava e un partner/alternativa a Belotti di sicuro affidamento. Da capire come verrà utilizzato Iago Falque, fino allo scorso anno il vero valore aggiunto del Toro. Sembra mancare qualcosa a centrocampo ma la difesa, con Izzo perfetto terzo di destra vicino a Nkoulou davanti a Sirigu, e l’attacco hanno poco da invidiare alle altre pretendenti. Una scommessa secca? Belotti capocannoniere. E occhio alla nuova vita di De Silvestri, candidato al premio “giocatori mediocri trasformati in armi improprie da Mazzarri” che già fu di Maggio.

Sotto a queste tre la Samp dovrà fare i conti con gli addii di Torreira, Zapata e mezza difesa titolare, anche se Tonelli, Jankto, Ekdal e Defrel uniti all’eventuale esplosione di Kownacki o ad un’altra stagione monstre del Quaglia disegnano un quadro forse troppo incerto ma da seguire  comunque con attenzione.

Più difficile per Genoa e, forse, Sassuolo e Cagliari rientrare in questo gruppetto, anche se finire nella parte destra della classifica non è impossibile. Insomma, anche la classe media farà la sua parte, in quello che si preannuncia il campionato più accattivante degli ultimi anni.

Il ritorno da seguire con attenzione

Leonardo Capanni

La narrazione dell’estate pallonara italiana è stata segnata da acquisti altisonanti e, più in generale, da un calciomercato vivo e movimentato fino all’ultima ora; all’interno di questo scenario imprevedibile, un capitolo a parte riguarda i ritorni in Serie A. Quei giocatori che nel corso degli ultimi anni si sono affermati in Italia e che poi, attratti da contratti lauti e plusvalenze importanti per i club proprietari del cartellino, hanno intrapreso altre strade coincidenti con campionati come Liga, Bundes, Ligue1 e Cina. Pastore, Vrsaljko, Zaza, Soriano, Boateng, Gervinho: profili che hanno lasciato un segno in Italia e che, oggi, si apprestano a rientrare da protagonisti in club con diverse ambizioni. E nell’estate dei ritorni ce n’è uno che forse è passato fin troppo sottotraccia, se rapportato alle potenzialità tecniche e al contesto di gioco in cui va ad inserirsi: Keita Baldé rischia di diventare uno di quei colpi spariglia-tavolo capaci di apportare un salto di qualità definitivo all’interno di un collettivo rinnovato e rinforzato in ogni reparto come l’Inter.

Il senegalese rientra da un’annata in chiaroscuro a Monaco, dove, nonostante un ambientamento faticoso sia a livello tattico che ambientale, ha comunque lasciato qualche sparuta e incostante traccia del suo talento esplosivo. Il Keita partito da Roma in direzione Principato, però, appariva come un giocatore compiuto, un attaccante versatile, finalmente maturo e consapevole delle proprie potenzialità, dopo un campionato da 16 gol e 9 assist in biancoceleste, che ha messo in mostra anche una maturazione tattica perfino inaspettata: da ala dribblomane ed egocentrica ad attaccante versatile, universale, capace di adattarsi a tutti i ruoli di un tridente senza snaturare le sue caratteristiche-base e, anzi, ampliando il suo bagaglio di movimenti e compiti di gioco senza apparenti difficoltà (ne abbiamo parlato approfonditamente in questo post).

Spaccare in due le linee avversarie come se si trattasse di noci di cocco marcite sotto il sole dell’Indocina. Queste qualità, indipendentemente dal sistema di gioco, fanno la differenza.

Nel sistema di gioco fluido di Spalletti, Keita potrà assurgere al ruolo di coltellino svizzero, agendo indifferentemente a sinistra o a destra sulla trequarti alle spalle di Icardi, pronto a regalare strappi brucianti, conduzioni palla al piede con il NOS aperto, superiorità numerica nell’uno contro uno e soluzioni di grande qualità in più fasi di gioco, dai ribaltamenti di campo all’attacco degli spazi in area di rigore sfruttando il fraseggio nello stretto e i tagli nel lato debole.

Keita, a 23 anni, se riuscirà a tenere a freno le esuberanze, gli egocentrismi e le alzate di cresta che sembrano essere il suo contrappasso rispetto ad un talento naturale perfino sfacciato, potrà tornare in Italia da figliol prodigo per diventare finalmente un attore protagonista e ritagliarsi così un ruolo da potenziale top player, finora rimandato troppo a lungo a causa di limiti e incongruenze che hanno poco a che spartire con il lato tecnico del calcio.