RNNR: Inter - Parma - Zona Cesarini

RNNR: Inter – Parma

Dopo un primo episodio dedicato al brillantissimo debutto contro il Sassuolo, torna per Inter – Parma Riflessioni Nerazzurre Non Richieste con il suo duplice format: reazioni emotive e analisi tattica.

Riflessioni emotive

Inter – Parma è stata la classica partita da #psicodrammaInter contro una squadra medio piccola. I canonici 90+5 minuti il cui copione si ripete da secoli, in loop, non importa quali giocatori compongano la rosa nerazzurra. Tradizionalmente il canovaccio è il seguente:

  • partenza medio-lenta, in cui il gioco rimane in sostanziale controllo dell’Inter: i primi venti/trenta minuti di sabato;
  • produzione di qualche palla gol abbastanza semplice da concretizzare ma che, per qualche motivo più o meno razionale, non viene sfruttata: cross di Candreva, anticipo della difesa su Keita e Perisic calcia alto con il corpo sbilanciato all’indietro;
  • errori clamorosi a due centimetri dalla porta/miracoli del portiere/palloni che vengono spinti fuori da interventi divini: a questo giro barrare A, D’Ambrosio riesce a smaterializzare le gambe per lasciare scorrere un pallone da spingere dentro di rotula;
  • brividi in contropiede in cui lo spettro della beffa inizia a farsi vedere: triplice rimpallo Inglese-difensore dell’Inter-Gervinho su cui Handanovic non fa in tempo a spostarsi e viene purtroppo per lui colpito dal pallone;
  • fase di massima pressione in cui una squadra normalmente segna di malleolo in mischia, condito a piacere da rigori, episodi dubbi, autogol già fatti che decidono di uscire di 2 millimetri alla destra del palo: i primi 25 minuti del secondo tempo in cui vengono anche calciati due o tre palloni addosso a difensori del Parma sdraiati per terra;
  • contropiede/errore individuale/prodezza di un sedicenne scelto tra il pubblico o di un giocatore dalla carriera divisa tra Serie D e calcetto a 5 del giovedì che chiude la partita con ampio anticipo: il gol di Di Marco.

Chi guarda l’Inter tutte le settimane conosce a menadito lo spartito che seguono queste partite, anche se tutte le volte ci si illude che si finirà con lo 0-0 con cui chiuderebbero tutte le altre big del campionato. Invece finisce puntualmente così e dentro ci sono tutte le fragilità mentali che questo gruppo di giocatori difficilmente si libererà in maniera definitiva senza interventi divini.

Detto dello svolgimento della partita nella sua totalità e dello sconforto che inevitabilmente partite del genere lasciano su squadra, tifosi, allenatore e opinione pubblica, le riflessioni emotive rimaste sono solamente due. La prima riguarda il tornare a vedere errori arbitrali che influenzano una partita in maniera indiscriminata, sviste che ci sono state da una parte e dall’altra. Si può parlare e discutere sugli interventi a gamba tesa di Gagliardini e Stulac, interventi per cui alcune volte viene dato il rosso diretto e altre non si fischia nemmeno il fallo. Si può discutere anche quanto effettivamente disturbi la visuale di Handanovic la posizione di fuorigioco del giocatore del Parma sul tiro di Dimarco.

Non si può discutere, invece, sul gomito volontariamente messo dallo stesso Dimarco per deviare la conclusione di Perisic sulla linea di porta. Non con il VAR che è stato anche incredibilmente consultato e che non ha dato categorica indicazione di andare a rivedere l’episodio. La revisione del protocollo di utilizzo del VAR lo ha svuotato completamente di senso, dando agli arbitri la possibilità di non utilizzare uno strumento che non ha come obiettivo quello di togliergli il controllo. Anzi, la possibilità di correggere errori macroscopici li può aiutare ad aggiungere autorevolezza alle proprie decisioni.

La seconda riguarda il portiere dell’Inter. Premettendo che il gol di ieri è un gol che si può prendere ed è anche molto lontano dalla sua top ten degli orrori (su Inter – Torino ci siamo auto-censurati per non rischiare conseguenze penali), inizia ad essere evidente anche ai ciechi e agli stolti quanto avere tra i pali Handanovic sia deleterio. Un estremo difensore incapace di uscire dalla linea di porta, che ha perso esplosività e riflessi, di rado perfettamente in posizione, che sembra provare fastidio a sporcarsi la maglia e che non è nemmeno in grado di fare esplodere il pallone con lo sguardo quando decide di non tuffarsi. Si spera che Skriniar e De Vrij a fine mese incassino il meritatissimo assegno di accompagnamento visti i compagni di reparto. Sulla formazione titolare lascio parlare il mio account Twitter.

Riflessioni tattiche

Tolta la delusione per il risultato, la partita di San Siro lascia intravedere abbastanza chiaramente che tipo di squadra ha in mente Spalletti. Per circa 70′ – ovvero i minuti di tenuta fisica di giocatori chiave dell’impianto di gioco nerazzurro – l’Inter, schierata con il canonico 4-2-3-1, è stata sostanzialmente padrone del campo e ha giocato una partita di personalità, seppure ancora riempita da problemi più o meno grandi ma quasi tutti risolvibili. La volontà del tecnico pare abbastanza chiara: l’Inter ha l’ambizione di dominare il pallone, tenere un baricentro alto e la linea dei difensori idealmente sulla linea di centrocampo. Non solo, la prima intenzione dei nerazzurri una volta perso il pallone in zona offensiva è quella di aggredire in avanti con il duplice scopo di ridurre il numero di transizioni difensive – in cui l’insicurezza dei giocatori è ancora evidente – e recuperare il pallone più in alto possibile, attaccando al contempo difese non schierate. In un contesto del genere Gagliardini – il mediano deputato da Spalletti ad alzarsi in pressione – potrebbe finalmente trovare l’habitat tattico adatto a massimizzarne le qualità fisiche e a nasconderne i difetti con il pallone tra i piedi.

Tenere il baricentro alto ha anche come proposito quello di consentire ai giocatori offensivi una maggiore libertà di movimenti e di ricezioni interne grazie alla posizione alta e ampia dei terzini. Se l’ampiezza viene garantita dagli esterni di difesa, infatti, gli esterni d’attacco sono liberi di entrare dentro il campo per ricevere tra le linee o costringere i difensori avversari a letture e scalate che possono mandare in tilt la linea. Avvicinare gli esterni all’area di rigore aumenta anche le possibilità di riempire l’area stessa: un problema che da anni l’Inter si trascina e che nel primo tempo di ieri, con l’assenza di Icardi, si è ripresentato in tutta la sua grandezza. Keita per caratteristiche fatica a fungere da riferimento unico in partite chiuse e si allargava naturalmente a destra o a sinistra per tentare di incidere sulla gara. A fare compagnia a Perisic in area di rigore ci hanno provato Gagliardini e Candreva ma, per caratteristiche e abitudine, non si sono mai fatti trovare nel posto giusto, al momento giusto e nel modo giusto.

Un ottimo cross di Dalbert (!) su cui Gagliardini arriva con i tempi corretti ed un vantaggio di 15 centimetri rispetto al difensore. Colpisce in maniera incredibilmente molle cercando una torsione inutile e improbabile.

Un impianto di gioco che basa tante delle sue possibilità di successo sulle prestazioni di alcuni uomini chiave. Detto di Perisic e della sua innegabile influenza sulle potenzialità offensive della squadra (8 tiri, 3 passaggi chiave, 1 dribbling riuscito), i giocatori che nonostante una forma lontana dal top sono già indispensabili sono Brozovic e Nainggolan. Il croato è l’incrocio da cui transita un numero folle di palloni e l’unico in grado di dettare i tempi alla circolazione di palla nerazzurra. Contro il Parma ha tentato 128 passaggi, di cui 3 catalogati da Whoscored come passaggi chiave, arrivati a destinazione più del 90% delle volte; per dare un termine di paragone l’anno scorso Jorginho a Napoli giocava di media 96,9 passaggi con l’accuratezza dell’89,5%. Ad esso aggiunge la sorprendente capacità aerobica e difensiva – 3 tackle vinti – con una decisione che lo fa sembrare solo un lontano parente di quel giocatore indolente che per anni ha pascolato a San Siro.

Il belga, invece, è il prototipo del trequartista desiderato da Spalletti. Rispetto a Rafinha svolge meno il lavoro di collegamento di reparti ma è in grado di dare una maggiore pericolosità alla manovra nerazzurra grazie alla sua capacità di farsi trovare spesso e volentieri tra le linee e di pensare costantemente in verticale. A questa intelligenza posizionale aggiunge la possibilità di calciare pericolosamente da fuori area (quasi un unicum nella rosa dell’Inter) e l’aggressività utile a coltivare il progetto di difendere e recuperare palla in zona offensiva.

Il pensiero verticale di Nainggolan premia un ottimo taglio di Candreva, movimento che raramente l’anno scorso avrebbe fatto con questa convinzione. L’esterno italiano sbaglia però scelta, esattamente come Gagliardini poco sopra, cercando un’improbabile diagonale mancino invece di cercare due compagni presenti all’interno dell’area.

Il calo fisico di questi tre attori principali ha scollato l’attacco dalla difesa che, inconsciamente, ha finito per abbassarsi di dieci metri regalando ancora più praterie da attaccare ai contropiedisti del Parma e ha reso la squadra decisamente più prevedibile, incapace di recapitare palloni interessanti in area di rigore fino all’assalto disperato nel finale.

Se la classifica piange e l’urgenza di risultati inizierà a farsi più pressante sin dall’impegno in Champions League contro il Tottenham, le potenzialità tattiche e tecniche dell’Inter sono decisamente superiori a quanto mostrato sul campo finora. La crescita della prestazione rispetto al debutto orripilante di Sassuolo è apparsa evidente a chi è in grado di scindere prestazione da risultato. La condizione fisica della squadra è lontana dall’essere ottimale e il calendario fitto del prossimo mese, accompagnato da acciacchi e lievi infortuni, impediscono al tecnico di sacrificare momentaneamente la profondità della rosa per concentrarsi sull’oliare i meccanismi dell’11 titolare. In attesa che tutti i tasselli si mettano al loro posto, la speranza è che il ritardo in classifica non diventi l’ennesimo carico emotivo su un ambiente storicamente instabile, in cui si percepisce già un lieve malcontento verso l’allenatore in grado di riportare l’Inter a veder le stelle.