L'estrema solitudine di Thierry Henry - Zona Cesarini

L’estrema solitudine di Thierry Henry

L’avventura di Thierry Henry sulla panchina del Monaco è iniziata nel peggiore dei modi. Il neo-allenatore francese ha assunto la guida del club con il compito non facile di sostituire Leonardo Jardim, la cui vittoria del campionato nell’annata 2016/2017 e la sua conseguente popolarità in quel di Montecarlo sembrano difficili da replicare. Forse, però, Henry sta affrontando a Monaco una situazione molto più complicata di quanto si potesse aspettare, collezionando soltanto sette punti in otto partite – Champions compresa – e mettendo già in bilico il suo futuro.

Ricordiamo che, da giocatore, Henry è sempre stato un vincente. La sua bacheca vanta infatti una Coppa del Mondo, un Campionato Europeo e diversi titoli nazionali, ottenuti con squadre che hanno scritto la storia recente del calcio mondiale, come l’Arsenal degli Invincibili e proprio il Monaco, entrambe sotto la guida del suo mentore storico Arsène Wenger. Il francese quindi – dopo aver fatto la sua gavetta alla corte belga diretta da Martinez ed aver rifiutato un Bordeaux che navigava in acque complicate- sembrava pronto a replicare i suoi successi da calciatore proprio nel club che lo ha lanciato.

Attualmente il Monaco fa molta fatica nel trovare la rete, mentre ne concede agli avversari l’1.7, quasi 2 a partita. Fin qui, rispetto alla scorsa stagione, soltanto Radamel Falcao è riuscito a mantenere uno score costante, segnando 7 goal in campionato. Un bottino incrementato grazie alla doppietta realizzata in trasferta contro l’Amiens, una partita sofferta dove il Monaco ha rischiato più volte di complicarsi la vita nonostante il vantaggio (ed un 5-4-1 difficile da scardinare), poi replicato sul finale.

Il colombiano è senza ombra di dubbio uno dei migliori giocatori della squadra, leader e trascinatore indiscusso. Nonostante i suoi 32 anni è riuscito ad accumulare in questa prima fase di campionato ben 14 presenze, effettuando la quasi totalità dei tiri in porta del Monaco (2,5 a partita), dei quali 1,7 nell’area di rigore avversaria. Numeri che confermano la sua attitudine nel trovare la porta e che lo rendono imprescindibile per la finalizzazione della squadra.

Inoltre, il club deve fronteggiare in questo momento una lunga lista di infortunati, tra i quali figurano due prospetti interessanti sui quali il club ha investito parecchio. Parliamo di Wilem Geubbels e del nostro Pietro Pellegri. A questi, si aggiungono poi Rony Lopes – il secondo miglior marcatore della scorsa stagione alle spalle di Falcao – il perno difensivo Kamil Glik, riaggregato recentemente in rosa, ed il portiere finalista al mondiale Daniel Subasic. Aleksandr Golovin appare invece ristabilito dal recente guaio alla caviglia ma è ancora lontano dalla condizione che lo ha messo in mostra nel mondiale russo appena trascorso.

Uno dei problemi principali della nuova gestione – ad oggi – sembra essere la scelta del modulo, un 4-3-2-1- o 4-2-3-1 che all’occorrenza può trasformarsi in un 3-4-3 o in un 4-3-3. Tuttavia, ciò che ha impressionato di più la dirigenza monegasca è stata proprio la versatilità di Henry, che ha deciso di perseguire la sua filosofia di gioco nonostante le assenze e gli imprevisti. Il suo Monaco costruisce il gioco dal basso, provando ad uscire dalla propria metà campo con un palleggio orizzontale tra i due centrali che attendono il momento giusto per scaricare la palla sulle fasce, coperte da Sidibé o Henrichs per quanto riguarda il lato destro (il più utilizzato per le manovre offensive, il 43% delle volte ) e Chadli per quello sinistro (meno attivo, soltanto il 36%).

L’intenzione è quella di consolidare un possesso sicuro fino alla metà campo in modo da verticalizzare rapidamente verso le ali una volta raggiunta quest’ultima, nonostante i cross in area effettuati dagli esterni offensivi rappresentino soltanto il 4% dei passaggi totali della squadra.

dati sui passaggi di Monaco-Montpellier (fonte: Wyscout)

Schema che con Jardim riusciva perfettamente, e che prevedeva un frequente inserimento nell’area avversaria da parte dei centrocampisti, chiamati a presidiare gli spazi di mezzo e ad attaccare in verticale i corridoi, ed un continuo dinamismo in fase difensiva ed offensiva delle ali (simbolica in questo senso la qualificazione ottenuta in Champions ai danni del Man City). Con Henry, invece, i centrali non sembrano a loro agio nella costruzione dal basso, specialmente quando vengono schierati a tre. Una situazione resa ancor più difficile dalla temporanea assenza di Glik e dall’inadeguatezza di Badiashile, classe 2001 catapultato tra i titolari per forza di cose. Questa impostazione spinge gli avversari ad un pressing alto durante il palleggio, il che porta ad esaurire la costruzione del gioco molto velocemente, facendo abbassare notevolmente la squadra e costringendola spesso al lancio lungo.

Ma non è soltanto la fase di costruzione che mostra numerosi limiti. In Ligue 1 infatti, dei 24,1 contrasti tentati a partita, la difesa del Monaco riesce a portarne a termine poco più della metà, 16,1, il più delle volte concedendo una media di 8 dribbling per match. Lacune aggravate dalle difficoltà nelle respinte laterali (2,6) e nell’applicazione del fuorigioco (1,3), cui si aggiunge la concessione agli avversari di circa 12 tiri a partita. Situazione ancor più allarmante se analizziamo i numeri che descrivono la costruzione della manovra della squadra diretta da Henry. Il Monaco vede una percentuale di possesso palla equilibrata in campionato, raggiungendo la media del 49,7% con una precisione dei passaggi dell’80%. Numeri apparentemente positivi cui fa però un netto contrasto l’enorme differenza tra i passaggi lunghi realizzati (25.2, di cui 1.4 chiave) rispetto quelli corti (318.1 di cui solo il 5.9 sono fondamentali alla finalizzazione), ritraendo un grado di rischio molto basso nella giocata.

Dati cui si aggiunge una preoccupante media di 0,9 gol a partita e di 11.3 tiri, dei quali soltanto 3.3 sono diretti in porta. Analisi e numeri che sembrano essere espliciti, dimostrando come il possesso palla del Monaco sia il più delle volte inadeguato e sterile, volto ad addormentare il gioco per linee orizzontali, cambiando marcia raramente. Un difetto strutturale che costa caro e che è dovuto anche ai mancati movimenti effettuati dai suoi centrocampisti.

In fase di non possesso, infatti, il Monaco si schiera con un 4-4-2 o con un 5-4-1 quando gioca a tre. In entrambi i casi però, il raccordo del centrocampo con la difesa e l’attacco è praticamente nullo, lasciando profondi spazi alle spalle per l’avanzamento e la costruzione del gioco degli avversari. In questo contesto, un talento cristallino come Youri Tielemans sembra un predicatore in mezzo al deserto, essendo praticamente costretto a prendersi le responsabilità sia in fase di impostazione che in fase di copertura. Un dispendio quantitativo che inevitabilmente incide sull’aspetto qualitativo.

Le skills che Tielemans mostrava già in Belgio

Fin qui il playmaker belga è stato il miglior giocatore in assoluto del Monaco di Henry, essendo il centrocampo una zona nevralgica della sua creatura. Proprio Tielemans, nonostante i 21 anni di età, rappresenta insieme a Falcao una delle sorprese più gradite della nuova rosa oltre ad esserne il giocatore più presente in assoluto. Nonostante ci si aspetti da lui giocate più da regista che da realizzatore, l’#8 belga ha realizzato già 4 reti, collocandosi alle spalle del Tigre, totalizzando una media di 1.8 tiri – il secondo per frequenza, alle spalle del colombiano – e portando a casa il 78.6% di passaggi realizzati a partita. Una media leggermente inferiore rispetto a quella del suo compagno di reparto, Bennasser, il quale – nonostante i suoi 184 cm- gli è inferiore per quanto riguarda i duelli aerei vinti (1,8 vs 0,8), limitandosi il più delle volte a svolgere le mansioni di facilitatore di gioco nella parte centrale del campo. Tielemans – al contrario – predilige più spesso l’iniziativa personale, sopperendo ad alcune mancanze collettive.

Gli attaccanti invece sono spesso statici, specialmente in fase di non possesso, dimostrando mancanze importanti che non danno alcuna certezza al reparto. Centrocampisti offensivi come Golovin hanno poca intraprendenza, preferendo spesso e volentieri la giocata in orizzontale piuttosto che rischiare quella in verticale. Il russo ha collezionato soltanto 678 minuti, ottenendo più gialli (3) che giocate chiave (1 assist) con una media di 1 tiro a partita. Davvero troppo poco, specialmente se andiamo ad analizzare in profondità il numero di passaggi per match (36), che dimostrano quanto poco entri nel vivo del gioco le volte in cui è presente.

Motivo per cui non può bastare qualche passaggio tra le linee, occasionale e prevedibile, per abbattere un’organizzazione difensiva solida. Oltre che sfiancare le ali, che sono costrette il più delle volte a correre a vuoto per poi ripiegare, l’assenza di movimento costringe spesso i centrali difensivi ad effettuare verticalizzazioni forzate molto pericolose, con il rischio concreto di perdere la maggior parte dei possessi, con una media disequilibrata che vede i 9.3 possessi conquistati far fronte ai circa 16.5 persi a partita.

Le poche situazioni di gioco in cui il Monaco si rende davvero pericoloso si manifestano nelle iniziative personali dei giocatori (7 dribbling a partita) – principalmente con i giovanissimi Sylla e Diop – i cui movimenti vengono però vanificati nuovamente dal mancato supporto dei centrocampisti. E a questo punto è difficile stabilire se la colpa sia di Henry o dell’indebolimento generale della squadra, che ha perso nell’ultimo periodo giocatori chiave come Lemar, Fabinho, Moutinho, Bernardo Silva, Bakayoko e – ovviamente – Mbappè. Il Monaco, fedele alla sua linea, ha deciso di ripartire da giocatori potenzialmente forti che però non sono ancora sbocciati, soprattutto per dare un seguito all’eredità di Jardim. La società monegasca sembra aver preferito il profitto ai successi sportivi, sopperendo alle ombre che si diffondono sulla proprietà, che vede il magnate Rybolovlev indagato per corruzione ed un modello di crescita dei giovani che però difficilmente porterà dei risultati sul breve periodo.

(credits by Angelo Blankespoor/Soccrates/Getty Images)

A completare il mesto quadro della situazione ci ha pensato la gara di ritorno con l’Atlético Madrid in Champions League, che ha visto i Colchoneros vincere senza alcuna difficoltà, con il grande ex Falcao che ha anche fallito un rigore. Per l’occasione Henry ha sperimentato un 5-3-2- molto accorto che non è riuscito ad evitare né la cattiva sorte – manifestata con l’autorete – tanto meno la netta superiorità degli avversari, impersonificata dal solito Griezmann. La partita si è svolta quasi interamente nella metà campo di un Monaco in costante affanno, che ha messo in mostra in modo imbarazzante un errato posizionamento dei reparti, con gli avversari che ricevevano palla senza alcuna difficoltà oltre le linee monegasche, arrivando con pochi tocchi sotto porta. Sconfitta che preclude anche un eventuale accesso ai sedicesimi di Europa League, a causa del prezioso pareggio ottenuto dal Bruges in casa del Dortmund.

Henry forse ha avuto troppa fretta nel provare il grande salto in panchina, o forse soltanto sfortuna. Quel che è certo è che non bastano tutti i titoli del mondo per trasformarsi in un allenatore prestigioso, e probabilmente a Monaco le colpe non sono tutte da addebitare al tecnico francese. Per adesso, ciò che vediamo in Titì è soltanto un’estrema solitudine dalla quale sembra complicato tirarsi fuori.

A cura di Gabriele Correnti