Un'apologia dei trogloditi - Zona Cesarini
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Un’apologia dei trogloditi

Due a zero all’andata, al Wanda Metropolitano. Qualificazione lontana, lontanissima.
Tre settimane infernali, tipo periodo pre-esame da avvocato (o professioni simili) per un essere normale, tipo chi scrive (che non è nemmeno avvocato, tra l’altro). Poi il ritorno, la speranza, la prestazione.

Uno a zero, due a zero, tre a zero. Atletico Madrid in bambola, Allegrismo che mangia Cholismo, Cristiano Ronaldo (o solo Cristiano, come piace al pacato Caressa) lapalissianamente mostruoso (altra definizione del buon Fabio), serata da incorniciare per la Juventus, la cui prestazione si è meritata anche i complimenti social (sentiti o meno, non è questa la sede) di ferventi avversari.

Serata perfetta, quindi. Non fosse che. Non fosse che Cristiano (ci stiamo caressizzando) ha fatto un gestaccio che, signora mia, pensi se lo vedessero i bambini. I quali, probabilmente, fino a 8 secondi prima hanno visto il proprio padre imprecare, bestemmiare, ruttare, fischiare e altri gesti che è giusto entrino nel normale rapporto padre-figlio. E se l’educatore di tuo figlio dev’essere Cristiano Ronaldo…
Apriti Cielo, spalancati Iperuranio. Alle prime pagine dei sensazionalistici quotidiani sportivi si sono accompagnate opinioni, j’accuse, polemiche, financo scomuniche.
Una pletora di commentatori, giornalisti e twittatori si son scagliati contro l’infame esultanza, primo fra tutti il tagliente Fabrizio Bocca di Repubblica che, in quest’articolo, identifica una non meglio precisata tribù di trogloditi.

Il Mostro (grazie, Fabio, conducici verso un’epica dello storytelling), novello capotribù, va ad aggiungersi al Cholo Simeone, reo dello stesso peccato, a Dino Baggio, Ibrahimovic, Balotelli, Fowler, Chiellini, Maresca, Mourinho, Gascoigne e ad altri cinquantotto addetti ai lavori più o meno conosciuti.
Noi, gente studiata ma cresciuta a pane e trogloditismo consapevole (non ignoranza, per favore, che a esaltar quella ci sono già bomber e simili amenità), non ci stiamo.
Rivendichiamo il diritto al delirio inoffensivo di un momento, perlomeno sul campo da calcio. Ci avete dipinto per mesi Ronaldo, scusate, Cristiano, come il salvatore del pallone italiano, una ventata di speranza per tornare ai fasti di un tempo, quei magnifici anni Ottanta e Novanta quando il calcio, figlio, era tutta un’altra cosa. Ah, nostalgia canaglia. Ce lo avete venduto come un superuomo (e, almeno calcisticamente, lo è), mentre lo sport che ci piace continua a sprofondare tra fideiussioni, fallimenti, radiazioni, dopo anni di scommesse e scandali, dalla A alle serie minori.

gascoigne trogloditi
Questo è un gestaccio che rappresenta come ci sentiamo quando vediamo gestacci.

Ma fa il calciatore, non il pompiere. O il presidente di Lega. Segna, esulta, esagera come i suoi colleghi. Ieri sera, per fortuna, abbiamo scoperto che sa anche essere un cafone da campo di terza categoria.
E noi trogloditi ci godiamo a dei livelli inimmaginabili. Come, amando un calcio che può esser tutto fuorché patinato, sorridiamo ricordandoci di Fowler che tirava una striscia in risposta alle accuse infamanti della tossicodipendenza, mentre difendeva i portuali dei docks di Liverpool. O ci fa ancora abbastanza ridere Gascoigne sdraiato in terra dopo una rete incredibile contro la Scozia, nel ’96, a farsi rovesciare le borracce in bocca come fossero birre dai propri compagni. E come ci sale il nervoso a leggere certe polemiche bigotte dal gusto un po’ retrò, tanto che vorremmo reagire come Robin Friday. E le manette del Mou, gli spiccioli di Dino Baggio, le magliette di Balotelli, le corna di Maresca, los huevos di Simeone (che non a caso, nel commentare il gestaccio di CR7 si è limitato a un maturo “ci sta”), gli sfoghi, verbali, tessili e gestuali di tutti gli altri. Fateci illudere che siano dei trogloditi come noi, fuori dalle copertine, dentro il campo. Lasciateci (e lasciatevi, ché ne avete bisogno) qualcosa di cui parlare.
Che già sappiamo che sognate un calcio alla Borges (siamo studiati anche noi trogloditi, ve l’ho detto), che già forse ci si avvicina pericolosamente: obbediente al più bieco storytelling deviato, nostalgico e antinostalgico al tempo stesso, farsesco, già studiato a tavolino, dove

“Non esiste punteggio, né formazioni, né partite. Gli stadi cadono tutti a pezzi. Oggi le cose succedono solo alla televisione e alla radio. La falsa eccitazione dei locutori non le ha mai fatto sospettare che è tutto un imbroglio? L’ultima partita di calcio è stata giocata in questa città il 24 giugno del ’37. Da quel preciso momento il calcio, come tutta la vasta gamma degli sport, è un genere drammatico, interpretato da un solo uomo in una cabina o da attori in maglietta davanti al cameraman.”

Dove, insomma, ciò che conta è la percezione, non la sostanza. Ecco, la sostanza. Gol, polemiche in campo, esultanze sopra le righe (sì, anche nell’accezione fowleriana del termine): lasciate stare la sostanza.
O saremmo costretti a rispondervi come CR7 e il Cholo.