Perché le squadre italiane fanno fatica in Europa? - Zona Cesarini

Perché le squadre italiane fanno fatica in Europa?

Nella serata di martedì, l’Inter di Antonio Conte ha esordito in Champions League in casa contro lo Slavia Praga: è stato un mezzo disastro, in parte rimediato solamente grazie a Niccolò Barella, autore del gol del pareggio proprio nei minuti finali. Al mercoledì invece è toccato all’Atalanta esordire, alla prima assoluta nella massima competizione europea. E qui non è stato un mezzo disastro ma una disfatta completa, simboleggiata da un pesantissimo quattro a zero per i padroni di casa, la Dinamo Zagabria. È scesa in campo anche la Juventus ieri sera, che da un vantaggio di 0-2 in casa dell’Atletico Madrid, si è fatta rimontare fino al 2-2. Insomma, l’unico a vincere è stato Ancelotti che con il suo Napoli ha surclassato il Liverpool, quindi la domanda che ci poniamo è la seguente: ma perché le italiane – sopratutto quelle qualificatesi grazie alla terza e quarta piazza UCL in campionato – fanno così tanta fatica in Europa?

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Orsic batte Gollini e firma la sua tripletta personale: è 4-0 per la Dinamo Zagabria

Non si tratta di un caso

Una giornata “no” a tutte le italiane può capitare, eppure, anche volendo salvare quel poco che c’è da salvare in questa settimana di Champions League, quello tra le italiane e l’Europa resta un rapporto fatto più di dolori che di gioie. Sorvolando sulla Juventus che, pur stoppata e pur reduce da un’ultima annata europea tra luci e ombre, negli ultimi anni è riuscita a collezionare ben due finali (perse) e durante la gestione Allegri ha sempre raggiunto almeno i quarti, dietro abbiamo un vero e proprio burrone: il Napoli è arrivato al massimo fino agli ottavi di finale; il Milan sono anni che non prende più parte alla competizione, l’Inter dopo esserci tornata è uscita nella scorsa edizione ai gironi, la Lazio nella stagione 2016-2017 non ha superato nemmeno i preliminari, uscendo contro il Bayern Leverkusen.

La Roma invece potrebbe rappresentare l’eccezione, vista la semifinale raggiunta dopo la storica rimonta sul Barcelona due anni fa, tuttavia quel momento “tra le 4 più forti d’Europa” è un acuto in un decennio abulico  dove non sono mancati tracolli tennistici. Insomma, le sconfitte europee delle italiane non sono esattamente una novità.

Questione di mentalità

Manca qualcosa al nostro calcio per essere competitivo anche in Europa, e non stiamo parlando (solo) di giocatori o modelli di gioco, perché passino le solite Liverpool, Manchester City, Barcellona, Atletico Madrid e Bayern Monaco, ma credere che club come Slavia Praga e Dinamo Zagabria non siano alla portata di Inter e Atalanta, sarebbe come tapparsi gli occhi per far finta di non vedere il problema. Inoltre, quella storia che “difesa e ripartenze” oramai non servono più a nulla è un qualcosa che abbiamo fortunatamente messo a tacere (non esiste un sistema di gioco universalmente vincente, la differenza sta nella capacità di esaltare le qualità dei giocatori in un dato sistema e nella loro capacità di applicarlo).

Si tratta, forse, “semplicemente” di mentalità: andare a San Siro per tenere “sotto” i padroni di casa tutti i novanta minuti, così come ha fatto la formazione allenata da Jindřich Trpišovský lo scorso martedì, è un chiaro esempio di quella personalità che è sembrata mancare all’Inter e non solo, e che occasionalmente – vedi la Roma nella rimonta storica contro il Barcellona, ma anche la rimonta della Juventus contro il Real di due anni fa, poi svanita al 97′ minuto con siparietti imbarazzanti – abbiamo visto tirar fuori alle nostre squadre. Fortunatamente i giochi non sono ancora fatti, anzi, anche se le strade delle italiane nella “coppa con le orecchie” si fanno adesso in salita – e che salita, vero Atalanta?- nulla è perduto. Basterà scendere in campo, nella prossima partita, con il piglio giusto, quello di chi vuole vincere a qualsiasi costo, quasi senza aver nulla da perdere. Perché solo osando Davide può sconfiggere Golia, e se poi si cade, beh pazienza. Almeno non si avranno rimpianti.

 

a cura di Matteo Paniccia