Perché Cafu e Roberto Carlos ci hanno fatto innamorare - Zona Cesarini
Brazil's captain Cafu (r) celebrates with teammate Roberto Carlos after beating Turkey and reaching the World Cup Final (Photo by Neal Simpson/EMPICS via Getty Images)

Perché Cafu e Roberto Carlos ci hanno fatto innamorare

di Vincenzo Di Maso

Quella del terzino è una strana razza. Fin dagli albori del football, nel ruolo venivano impiegati i calciatori meno dotati a livello qualitativo e che non disponevano dell’atletismo e delle capacità decisionali dei centrali. Il terzino era un ruolo riservato a coloro che Gianni Brera avrebbe definito “smandrippati”, elementi sgraziati e limitati dal punto di vista tecnico e atletico, nonché veri e propri esponenti di un ruolo in cui a farla da padrone erano podismo e grinta.

A segnare il punto di rottura con questi albori e il sovvertimento degli status quo sul ruolo, stando a quando asserito da Jonathan Wilson, prominente filosofo della tattica, furono i Mondiali del 1958. A rivoluzionare la concezione del ruolo ci pensò il Brasile di Vicente Feola, tecnico di origini italiane. I terzini occupavano una posizione in campo più larga e alta, più distante rispetto ai centrali. In Brasile il termine per definire un terzino è quello di “laterale” e ciò esemplifica l’interpretazione data dai brasiliani al ruolo. Dai Mondiali del 1958 il ruolo di terzino ha iniziato ad acquisire un suo tratto distintivo, anche se in futuro avrebbe subito ulteriori e profonde evoluzioni. Nel 4-2-4 di Feola, in fase difensiva, i terzini avevano il compito di marcare le ali. I difensori centrali dovevano marcare gli attaccanti mentre la zona nevralgica diventava una sorta di campo di battaglia. Nella Seleção campione del mondo 1958, i laterali avevano maggiori licenze in fase di possesso, eppure le tattiche previste per il ruolo erano più rudimentali. La “Muralha” Djalma Santos e l’“Enciclopedia do Futebol” Nilton Santos furono fondamentali per i successi della nazionale verdeoro.

Nel suo libro Os 11 maiores laterais do futebol brasileiro, il giornalista brasiliano Paulo Guilherme ha parlato, appunto, dei migliori undici laterali del calcio brasiliano, iniziando da Nilton Santos e Roberto Carlos, citando poi Djalma Santos, Carlos Alberto Torres, Nelinho, Wladimir, Junior, Leandro, Branco, Leonardo e Cafu. «Il compito principale di Nilton Santos era quello di marcare l’ala destra. Raramente superava il centrocampo, anche se fu uno dei pionieri di questo cambiamento tattico, quando segnò contro l’Austria nella Coppa del 1958, trasgredendo gli ordini dell’allenatore Vicente Feola. Le squadre erano disposte con un 4-2-4 e ai calciatori erano assegnate aree di campo ben delineate. Junior e Branco disponevano già di maggiore libertà di attaccare e giocavano nel 4-3-3 o nel 4-4-2. Roberto Carlos, invece, simboleggia il difensore che fungeva praticamente da attaccante aggiunto, con una preparazione fisica esemplare che gli consentiva di passare in pochi secondi dalla fase difensiva a quella offensiva nei 90 minuti di partita. Roberto Carlos e Cafu sono i maggiori esponenti dell’epoca delle cosiddette ali, in un contesto tattico in cui i terzini erano coperti da un volante e da uno dei centrali difensivi».

Cafu e Roberto Carlos hanno quindi dato vita a una nuova interpretazione del ruolo di laterale. Le loro storie sono intrecciate sin dall’inizio. Basti pensare che entrambi sono nati nello stato di San Paolo all’inizio degli anni ‘70.  Roberto Carlos è nato a Garça nel 1973, a poco più di 400 chilometri di distanza da Itaquaquecetuba, luogo di nascita di Cafu. Oltre alla vicinanza geografica (400 kilometri sono pochissimi se rapportati alla grandezza sconfinata del Brasile), i due hanno condiviso la passione per il calcio e per il ruolo, di cui hanno segnato un’epoca, ridisegnando ulteriormente una posizione che stava via via evolvendosi. Basti pensare che anche in Italia, paese all’epoca ancorato alla vetusta convinzione secondo cui il compito di un terzino era quello di difendere (si veda l’esempio di Nereo Rocco, che catechizzava i terzini a non avanzare), qualcosa si stava muovendo. Il primo vero terzino offensivo è stato Giacinto Facchetti, di per sé dotatissimo a livello tecnico e atletico, ma che fu incoraggiato ad effettuare scorribande in fase offensiva proprio dal tecnico Helenio Herrera. Lo stratega di Buenos Aires utilizzava Facchetti, laterale dalla grande falcata, sia per dare vita alle ripartenze sia per concludere.

L’ulteriore evoluzione del ruolo, portata da Cafu e Roberto Carlos, prevedeva la partecipazione del laterale al possesso in più fasi del terreno di gioco. I due non si limitavano a ‘fluidificare’ e a portare conduzioni in verticale, ma si accentravano, tenevano palla, lanciavano le ali e, addirittura, il centravanti. Oltre a crossare e concludere, una volta sganciatisi, svolgevano né più e né meno le funzioni di un’ala. D’altronde, ciò era reso possibile da una tecnica sopraffina per il ruolo sviluppata dai due laterali. Inoltre, Cafu e Roberto Carlos, una volta perso il possesso, ripiegavano in difesa come se fossero dei tornanti. Era un calcio decisamente più evoluto e complesso rispetto agli anni di Feola. A coprire le avanzate dei fluidificanti non c’era solo il “volante” o uno dei centrali ma, all’occorrenza, poteva trovarsi anche un’ala o un centrocampista ad occupare la posizione di laterale difensivo. Basti pensare che, prima dell’avvento di Cafu e Roberto Carlos come terzini titolari, il Brasile di Parreira poteva contare su un reparto nevralgico composto da Dunga, Mauro Silva e Mazinho, elementi difensivi e dallo spiccato senso tattico. Fermo restando caratteristiche tecniche e strutturali diverse, Jorginho e Branco svolgevano consegne tattiche molto simili a quelle dei loro eredi.

Le nazionali brasiliane che hanno vinto i Mondiali nel 1994 e nel 2002 erano tatticamente ben preparate e, oltre a disporre delle stelle offensive, proponevano play difensivi dotati di un’intelligenza tattica fuori dall’ordinario. Nilton Santos spiccava come leader della Seleção del 1958, di cui Pelé era la star a soli 17 anni; Cafu e Roberto Carlos erano invece una sorta di “co-leader” di nazionali zeppe di star, la cui coesistenza fu resa possibile dai rispettivi modi di essere e dalla saggezza dei CT. Roberto Carlos e Cafu si sono inoltre distinti per un altro aspetto: la sovrapposizione. Il vertice alto di centrocampo, l’ala, il trequartista o la punta tiene palla, consentendo al terzino di avanzare sulla fascia sopravanzandoli, creando quindi un’opportunità per il calciatore largo di ricevere la palla e di metterla in mezzo, servire l’attaccante o concludere a rete. E come nel caso di Nilton Santos, la grandezza di Cafu e Roberto Carlos risiedeva, inoltre, in una forza mentale e in una resistenza particolarmente spiccate.

«La gente tende a dimenticare che in difesa era forte, ma si distingueva per la sua capacità di attaccare. Mentre Cafu continuava ad andare avanti – su e giù, su e giù – e non si arrendeva mai» (Jaap Stam)

Come noto, Roy Hodgson avallò la cessione del brasiliano dopo una sola stagione all’Inter, adducendo come motivazione il fatto che non fosse in grado di difendere. Qualche anno dopo, Fabio Capello, pragmatico e laconico come sempre, affermò che tutto stava nell’insegnargli la fase difensiva. Caio Maia, caporedattore di ESPN Brasile, ha dichiarato che all’apice della carriera Roberto Carlos era difensivamente perfetto. Per non parlare poi delle punizioni, suo trademark internazionale, di cui è considerato all’unanimità come uno dei migliori e più spettacolari esecutori di sempre.

Spulciando qualsiasi video su YouTube, salta all’occhio la varietà delle sue realizzazioni da calcio piazzato: Roberto Carlos è ricordato per la celebre punizione nel match contro la Francia nel ‘96, ma se ne potrebbero annoverare decine di struggente bellezza e potenza. Nonostante fosse alto solo 1,68, l’ex terzino del Real Madrid era dotato di un’esplosività a dir poco spaventosa, perfettamente riassunta nel suo soprannome “il Proiettile”. Proprio la potenza e la forza nel tiro sono le caratteristiche in cui Roberto Carlos si ritiene superiore a Marcelo, mentre reputa il laterale del Real Madrid superiore a lui a livello di tecnica di base. Era un talento naturale a livello tecnico, ma ha costruito il fisico grazie al duro lavoro. Celebre la foto al Mondiale Under 20, in cui ha affrontato Figo.

Cafu aveva in comune con Roberto Carlos la tecnica, l’intelligenza tattica (affinata nel corso degli anni), la velocità e l’instancabilità. Non a caso era soprannominato “Pendolino”, proprio a causa della sua perenne progressione sulla fascia destra. Pur non avendo l’esplosività devastante del compagno di fascia, Cafu era difficile da spostare, riuscendo ad avere la meglio in duelli fisici con ali, terzini e attaccanti decisamente più alti di lui. Il duello invece più celebre è quello che lo vide protagonista di continui sombreri nei confronti di Pavel Nedved. E non fu un gesto irridente, perché il terzino della Roma era stretto nella morsa delle maglie biancocelesti e Nedved era il più aggressivo tra gli avversari.

Un classico da Museo del Calcio.

Cafu era stimato tanto per la sua disciplina in campo, la sua tecnica e il suo spirito di sacrificio, quanto per la sua educazione fuori dal campo, la sua simpatia e la sua leadership. Se l’erede di Roberto Carlos è considerato Marcelo, il calciatore più vicino a Cafu è reputato senza dubbio Daniel Alves. Maicon, spesso preferito in nazionale all’ex Barcellona, è un profilo completamente diverso e imparagonabile, seppur abbia ricoperto lo stesso ruolo di Cafu. Le caratteristiche fisiche e tecniche di Dani Alves sono piuttosto simili a quelle di Cafu, la differenza risiede nella disciplina in campo e fuori dal campo, elemento per cui Cafu è stato continuamente elogiato. Cafu era capace anche di numeri tecnici di altissima scuola, mentre Dani Alves ha sempre lasciato più spazio alla spettacolarità, rendendosi protagonista anche di giocate con l’unico fine di divertirsi e deliziare il pubblico.

Oltre che da un immenso talento innato, il livello raggiunto da Cafu e Roberto Carlos è stato reso possibile anche dal contesto in cui hanno giocato. Per loro vale il detto “al posto giusto nel momento giusto”. I terzini di cui sono stati eredi interpretavano già il ruolo in chiave moderna: Cafu e Roberto Carlos hanno rasentato la perfezione nella loro epoca, facendo leva al massimo sulle qualità fisiche, tecniche e anche mentali. Le loro devastanti sovrapposizioni sono state rese possibili da assetti adeguatamente strutturati per renderle possibili. L’intelaiatura del Brasile richiedeva elementi dotati di spiccata resistenza e di un senso innato del posizionamento dei compagni; l’occhio clinico di alcuni CT ha favorito la massima espressione di queste sfumature tattiche. A livello di club, Roberto Carlos ha visto il proprio apogeo sotto la guida di Capello, mentre Cafu sotto quella di Zeman, dello stesso Capello e di Ancelotti. Il fútebol bailado brasiliano si è sposato alla perfezione con gli avanzati dettami tattici italiani.

Nonostante la loro contemporanea presenza in Serie A sia stata fugace e non abbiano mai giocato assieme a livello di club, il palato degli appassionati di calcio si è deliziato ammirando Cafu e Roberto Carlos giocare assieme in molte partite della Seleção. Il Mondiale del 2002 ha rappresentato uno degli apici della loro bellezza. In nazionale presidiavano le rispettive fasce e le trattavano come una terra da saccheggiare in modo imperialistico, una terra su cui si arrogavano il diritto esclusivo di sfruttare e di rivendicare.

Il Mondiale 2002 ha rappresentato probabilmente il loro magnum opus. Roberto Carlos realizzò un favoloso calcio di punizione mentre Cafu disputò una partita meravigliosa contro la Germania in finale. Quella Mannschaft che aveva subito un solo gol fino alla finale.
Roberto Carlos e Cafu non possono certo essere considerati come coloro che hanno inventato il ruolo di terzino d’attacco, si può dire, però, che lo hanno ridefinito. La concezione di terzino offensivo aveva iniziato a prendere piede nella seconda metà degli anni ‘50, ma loro l’hanno spostata in avanti, ridefinendo un ruolo con maggiore completezza. La differenza rispetto ai predecessori in nazionale risiede invece in un connubio che rasenta la perfezione a livello tecnico-tattico e atletico.

Che siano o meno i migliori esponenti del ruolo nel calcio brasiliano e nel panorama mondiale resta un dato relativo, Cafu e Roberto Carlos rimarranno, però, a lungo riferimenti per quanto riguarda la posizione e i compiti di un laterale difensivo moderno. In un calcio in cui i giocatori continuano ad evolversi a ritmi frenetici verso prototipi di macchine in carne e ossa, essere paragonati a delle icone è il complimento più bello che possano ricevere. E Cafu e Roberto Carlos hanno rappresentato proprio questo: dei punti di riferimento non solo in Brasile, in un’affascinante terra crogiolo di incroci culturali e sociali, celebre anche per i suoi terzini, ma nel mondo intero.