Américo Tesorieri, il portiere poeta della Boca - Zona Cesarini

Américo Tesorieri, il portiere poeta della Boca

di Niccolò Frangipani

“Saluto il primo Re d’Italia”
Con queste parole Giuseppe Garibaldi consegnava al Re Vittorio Emanuele II il meridione italiano, sancendo la fine della dominazione borbonica e poggiando la pietra sulla quale verrà costruito il Regno d’Italia nel marzo del 1861. Per la prima volta gli abitanti del Regno di Sardegna, del Granducato di Toscana e del Regno delle Due Sicilie erano riuniti sotto un’unica bandiera e accomunati da un’unica lingua.

Ma se l’unificazione conclusa con l’incontro di Teano risolveva il problema della mancata unità politica che aveva afflitto la nostra penisola per secoli, è altrettanto vero che ne aveva creato uno che mise in crisi fin da subito la stabilità del neonato stato: cosa fare con il Sud Italia?

Il termine “questione meridionale” fu utilizzato per la prima volta nel 1873 dal deputato lombardo Antonio Billia per indicare la condizione di arretratezza economica comune alle regioni del Mezzogiorno. A causa della mancanza di lavoro e di possibilità per integrarsi con il Nord più ricco ed evoluto tanti giovani decisero di imbarcarsi per cercare fortuna nel nuovo mondo; chi verso gli Stati Uniti e chi verso l’Argentina, queste erano le mete più gettonate.

Proprio sul Rio de la Plata arriva Domenico Tesoriere, un marinaio che partito da Stromboli decide di stabilirsi in Calle Brandsen 582, nel quartiere de La Boca. Qui Domenico, che nel frattempo era diventato Domingo, conosce una ragazza italiana di nome Angela, che dopo aver spostato gli darà otto figli: il primogenito è il protagonista della nostra storia.

Questo bambino, nato il 18 marzo 1899, viene battezzato con il nome di Américo e fin dai suoi primi anni di vita manifesta una passione sfrenata per il calcio, gioco che in quegli anni gli argentini stavano facendo proprio dopo essere stati istruiti dai maestri inglesi.

Américo nasce e cresce in un luogo dove il calcio è legato a ogni piccolo gesto della quotidianità e si innamora fin da piccolo di una delle due squadre che viene fondata nel suo barrio: il Boca Juniors, era quasi scritto nel destino visto che la casa dove è nato si trovava a poco più di mille passi dalla cancha degli xeneizes.

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In quel periodo le squadre nascevano con una velocità inaudita, bastava un pallone, undici ragazzi e si poteva mettere su la propria compagine per sfidare gli amici del quartiere. Così inizia anche Américo che un pomeriggio viene schierato in porta a causa della defezione del portiere titolare del Club Aurora. Dopo questa partita – nella quale giocò benissimo, si dice – lo nota un certo Don Antonio Buccelli, un portuale molto vicino ai soci fondatori del Boca che gli propone di diventare il portiere della seconda squadra azul y oro. Américo ovviamente accetta e da quel momento sogna solo di poter debuttare in prima squadra con la maglia dei suoi sogni.

Quando Américo realizza il suo sogno non è ancora maggiorenne, difende la porta del Boca per la prima volta in una partita contro il Gimnasia di La Plata nel 1916; curiosamente gli antefatti che lo metteranno in porta quel pomeriggio sono molto simili a quelli che lo fecero debuttare in quel ruolo tre anni prima nell’Aurora: il portiere titolare Fabbiani si fa male prima del fischio d’inizio e in porta va Américo, che da quel giorno non la lascerà più.

Oltre che per le sue doti tra i pali – molto bravo nelle parate e ad ipnotizzare gli attaccanti in uscita – Tesorieri (così fu ispanizzato il suo cognome) fu anche il primo calciatore riconosciuto come simbolo di un movimento che dal dilettantismo stava passando a professionismo (il primo campionato professionistico in Argentina è datato 1934, ndr). Tra i riconoscimenti che Tesorieri ricevette si possono menzione il fatto che sia stato il primo calciatore a ricevere un coro dai propri tifosi:
Tenemos un arquero que es una maravilla, ataja los penales sentado en una silla”. E la copertina che El Grafico – al tempo una rivista di attualità e costume – gli dedicò nel 1922 (primo calciatore sulla copertina della rivista, ndr).

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Il suo apporto fu fondamentale non solo per il Boca, con il quale parteciperà anche alla prima tournée in Europa dove assunse il ruolo di allenatore-giocatore ad appena 26 anni; ma anche per la nazionale argentina, alla quale regalerà la Copa America nel 1921 e nel 1925 (nella prima occasione mantenne la porta inviolata per tutta la durata del torneo, ndr).

La partita più bella della sua carriera Tesorieri la gioca con la maglia albiceste, in realtà giocò con il suo classico maglione a collo alto perché ancora non esistevano le divise ufficiali, contro i rivali di sempre: l’Uruguay. La gara fu disputata al Gran Parque Central – casa del Nacional – e come detto vide contrapposti i nemici storici: Argentina contro Uruguay, albiceleste contro celeste.

I padroni di casa sono un Dream Team che ha fatto sognare tutti alle ultime Olimpiadi di Amsterdam e possono schierare giocatori che quattro anni più tardi diventeranno i primi campioni del mondo della storia. L’Argentina, che comunque può contare su ottimi giocatori come Bidoglio, Onzari e Tesorieri, sembra destinata a soccombere sotto i colpi di Petrone e compagni. Peccato che Tesorieri non sia d’accordo con il copione che sembra scritto per quel pomeriggio di inizio novembre. E’ lui il protagonista della partita, fa parate sorprendenti sia tra i pali che in uscita dove, più volte, fa sembrare degli sprovveduti giocatori che pochi mesi prima erano diventati campioni
olimpici.

Alla fine della partita, dopo essere stato eletto per maggioranza bulgara migliore in campo, Tesorieri viene issato sulle spalle dai giocatori avversari per essere celebrato dall’intero stadio in un clima molto simile alle partite casalinghe del Boca.

Con il passare del tempo Américo, che aveva sempre affiancato alla (non) professione di portiere altri lavori – come l’impiegato e il commerciante – e altre passioni come la poesia, decide di dire basta a soli 29 anni d’età. Si lascerà alle spalle 184 partite e 13 trofei conquistati con la maglia degli xeneizes e la sensazione che non si potrà mai più rivedere un portiere che para i rigori seduto su una sedia.