La Spagna ha controllato la palla, la Svezia la partita - Zona Cesarini
Photo: Joel Marklund / BILDBYRAN

La Spagna ha controllato la palla, la Svezia la partita

A un certo punto guardare Pedri provocava un senso di nausea esistenziale. Per l’ennesima volta cercava di liberarsi della palla dandola a Jordi Alba, che però per l’ennesima volta gliela ridà. Allora Pedri indica un movimento a Dani Olmo per passargliela tra le linee, ma Dani Olmo comunque è imbottigliato nel centrocampo svedese e torna da Jordi Alba che torna da Pedri. A quel punto Pedri per non vomitare la dà al centrale Pau Torres, sperando che l’azione si sposti per un po’ sulla destra e che il ciclo infinito dell’eterno ritorno possa spezzarsi.

Spagna-Svezia è stata la decima partita di Euro 2020, ma potrebbe già aver fissato il record di possesso palla per il torneo. Tenere il pallone per l’85% del tempo, tuttavia, non è bastato alla Spagna per vincere. La partita è finita 0-0 e la Spagna non è mai riuscita a disordinare il blocco compatto della Svezia e a creare spazi utili. Una partita di questo tipo è facile che venga fraintesa, che diventi una medaglia sul petto dei reazionari del calcio. Un monumento all’idea che il possesso palla è sempre un orpello inutile e che nel calcio prima di tutto bisogna difendere l’area di rigore. Non bisogna cadere però nel tranello di considerare quello della Spagna un possesso palla ben fatto. Né di pensare la Spagna, in virtù del possesso palla monstre, come la squadra che ha tenuto le redini della partita ieri.

Sostanzialmente, la circolazione della Spagna ha disegnato sul campo una grande U che andava da destra a sinistra e viceversa. La Svezia difendeva invece con un blocco basso e chiudeva tutti gli spazi al centro, tenendo due linee da quattro molto strette orizzontalmente e vicine che esasperavano la necessità della Spagna di cercare spazio sulle fasce.

La partita ha preso così la forma di un estenuante attacco posizionale spagnolo, con il 4-3-3 di Luis Enrique trasformato stabilmente in un 2-3-5. I terzini avevano entrambi il compito di unirsi all’attacco, seppure in modo asimmetrico: a sinistra Jordi Alba manteneva l’ampiezza e consentiva a Dani Olmo, l’ala del suo lato, di stringere nel mezzo-spazio; dall’altra parte Ferran Torres si manteneva più largo e toccava a Marcos Llorente, il terzino destro, accentrarsi e giocare tra le linee. La prima costruzione spettava quindi ai due centrali e ai tre centrocampisti, con le due mezzali, Pedri a sinistra e Koke a destra, che si abbassavano e si portavano in una posizione molto vicina alla linea laterale.

Il movimento più frequente di Pedri ieri sera: corsetta all’indietro per allargarsi, ricevere dal centrale e passare a Jordi Alba, fino alla noia

Il grosso limite della Spagna, ad ogni modo, è stato di non riuscire a utilizzare l’enorme mole di possesso palla per liberare spazi alle spalle del centrocampo avversario. È vero che Dani Olmo è riuscito qualche volta a ricevere nel mezzo spazio, ma sempre spalle alla porta e tallonato da Lustig, il terzino destro svedese. Lustig poteva permettersi infatti di rimanere molto stretto senza preoccuparsi di Jordi Alba, le cui sovrapposizioni esterne sono state contrastate per tutta la partita dal ripiegamento dell’esterno alto Larsson. A rendere ancora più difficile per la Spagna la penetrazione per vie interne, c’era poi il posizionamento strategico delle due punte svedesi: Berg e Isak non hanno mai alzato il pressing verso i centrali spagnoli, ma hanno sempre mantenuto una posizione che schermava il mediano Rodri, tagliandolo praticamente fuori dalla partita. In questo modo il possesso della Spagna è stato spinto ulteriormente verso l’esterno.

In assenza di tracce interne lo strumento più utilizzato per attaccare la porta della Svezia sono stati i cross, ovvero uno strumento statisticamente poco efficace e con cui la Svezia è tradizionalmente a proprio agio. Dei 29 cross messi in mezzo dagli spagnoli, infatti, solo 7 hanno raggiunto un compagno, ed è stato con questo mezzo che la Spagna ha costruito le due azioni più pericolose, ovvero il colpo di testa di Dani Olmo nel primo tempo e quello di Gerard Moreno nel secondo (se si esclude l’occasione di Morata a tu per tu con Olsen, generata però da un grosso regalo di un difensore svedese).

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Il blocco compatto della Svezia e la circolazione della Spagna che gli girava intorno. Da notare la posizione della mezzala Koke, che si aggiunge ai centrali per partecipare alla costruzione ma svuotando ulteriormente il centro. Dei tre giocatori rimasti al centro, Rodri è schermato da Isak; Pedri e Morata sono controllati dal proprio marcatore e in ogni caso si muovono entrambi per ricevere sui piedi (come anche Olmo) e nessuno attacca la profondità per schiacciare indietro la difesa svedese.

Per molti versi, più passava il tempo e più Spagna-Svezia assomigliava a Italia-Svezia, la partita del novembre 2017 che sancì la non qualificazione dell’Italia al mondiale russo. Tuttavia, se la Svezia è riuscita a imporre il proprio piano gara non è solo per aver costretto la Spagna ai cross: per quanto può sembrare strano, i cross erano già uno strumento molto utilizzato dalla Spagna di Luis Enrique, che nelle qualificazioni all’europeo è stata nettamente la squadra che ha crossato di più (25.7 cross a partita). Nelle qualificazioni, però, la Spagna riusciva anche a sfruttare la capacità dei tre centrocampisti (i più usati sono stati Busquets e Rodri come mediani e Fabian Ruiz, Thiago Alcantara e Dani Parejo come mezzali) di tagliare le linee avversarie con i filtranti e trovare le ali che venivano dentro il campo. Esattamente quello che la Svezia ieri ha impedito: Rodri è stato neutralizzato, il possesso della Spagna non ha mai liberato uomini tra le maglie gialle e il dominio della palla, in sostanza, non ha coinciso con il dominio degli spazi, rimasti sotto l’influenza svedese.

L’atteggiamento della Svezia è stato molto prudente, certo, dal momento che anche i tentativi di pressare un po’ più in alto e di recuperare il pallone in modo attivo sono stati rari. Tuttavia la sua attitudine non è stata del tutto passiva. La partita, anzi, ci ha messo davanti alla complessità del calcio e alla limitatezza di alcuni preconcetti con cui lo valutiamo. È stato un esempio di come la realtà necessiti a volte del pensiero controintuitivo per essere compresa. Il punto è che, guardando a fondo, il contesto di Spagna-Svezia non è stato deciso dalla squadra che ha avuto l’85 % di possesso palla, ma da quella che ne ha avuto il 15.

La sfida tra Luis Enrique e Jan Andersson l’ha vinta il tecnico svedese, e non solo perché ha ottenuto il risultato per il quale, evidentemente, era sceso in campo. La partita ha seguito l’andamento tattico voluto dalla Svezia e ci sono alcuni dati specifici che lo confermano.

Nella Spagna ieri il giocatore che ha tentato più passaggi è stato Jordi Alba, 137, mentre il mediano Rodri ne ha tentati solo 53. Nelle dieci partite di qualificazione non era mai successo che il calciatore più coinvolto fosse uno che gioca sull’esterno: in cinque occasioni su dieci era stato il mediano a toccare più palloni, in tre occasioni la mezzala destra e nelle restanti due partite un difensore centrale, a dimostrazione di quanto la costruzione della Spagna si basasse su un palleggio abbastanza centralizzato.

Non solo: nelle occasioni in cui il principale passatore non era stato il mediano, la forbice tra questo e il giocatore più coinvolto era sempre stata piuttosto ristretta: lo scarto massimo si era registrato nell’ultima partita contro la Romania, quando Busquets aveva tentato il 69% dei passaggi del difensore centrale Iñigo Martinez (87 contro 130). Contro la Svezia agli europei, invece, Rodri ha tentato solo il 38.6% dei passaggi di Jordi Alba, finendo ingabbiato nella rete costruitagli attorno dalle punte della Svezia e privando la Spagna del terzo uomo a centrocampo, ruolo fondamentale per manipolare le marcature avversarie e liberare spazi tra le linee.

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La mancanza di movimento e fluidità nella Spagna ha facilitato il piano della Svezia. Qui la formazione di un lato forte a sinistra non è associato a un inserimento sull’altro lato che sfrutti lo spazio creato. Qui forse spettava a Koke (n. 8) inserirsi dietro il centrocampo avversario.

Contro il blocco basso della Svezia, il 4-3-3 della Spagna è stato troppo lineare e meccanico, quindi prevedibile: pochi movimenti a disordinare le marcature, cattivo scaglionamento dei giocatori negli spazi del campo, scarsa capacità di creare superiorità posizionale, e va aggiunta anche la totale assenza di fluidità nell’interpretazione dei ruoli, poiché i giocatori spagnoli hanno attaccato il lato destro e sinistro praticamente allo stesso modo, senza riuscire a creare un lato forte e uno debole da raggiungere velocemente con un cambio di gioco. In più sono mancate le conduzioni dei centrali, che erano lasciati liberi di impostare e avrebbero potuto provare a scardinare gli angusti spazi svedesi portando palla – come fatto in Turchia-Italia da Chiellini, le cui progressioni a un certo punto della partita hanno generato a cascata superiorità numerica sulla trequarti. In questo senso, anche per il proseguo dell’europeo, potrebbe avere un certo peso la mancata convocazione di Sergio Ramos, che oltre a essere il capitano della Spagna è un difensore molto tecnico e un regista aggiunto in caso di necessità.

Per alcuni versi Spagna-Svezia è stata il rovescio di Italia-Turchia. Se l’Italia era stata padrona del campo e aveva manipolato la struttura avversaria a proprio piacimento, utilizzando proattivamente la palla per imporre la partita che preferiva giocare, la Spagna è rimasta invece a metà del guado e non è riuscita del tutto a crearsi un contesto favorevole. Spagna-Svezia ha dimostrato in sostanza che il controllo del pallone non è niente senza il controllo degli spazi.