Nessuno è sciallo come Jurriën Timber - Zona Cesarini
foto: Instagram/afcajax

Nessuno è sciallo come Jurriën Timber

Probabilmente avete conosciuto la faccia sonnacchiosa di Jurriën Timber lo scorso aprile. Ajax-Roma, quarti di Europa League. Gli olandesi sono schierati con lo stesso 11 usato per tutto l’anno se non fosse che, da qualche settimana, il posto che era di Perr Schuurs al centro della difesa è stato preso da un giocatore nuovo – uno di quei talenti sconosciuti dell’Ajax che a un certo punto irrompono sulla scena come un temporale estivo. Jurriën Timber ha 19 anni, i capelli ricci di cotone che tradiscono le origini caraibiche, e il modo di giocare scientifico, ai limiti della freddezza meccanica, di chi è cresciuto calcisticamente in Olanda.

Numero 2 sulle spalle, appena una dozzina di presenze in prima squadra, al fischio d’inizio Timber è quasi un esordiente. Nella difesa a 4 dei lancieri è sistemato accanto a Lisandro Martinez, nella casella di centrale destro, ma da lì comincia a muoversi e a fare cose con una disinvoltura e un’audacia senza senso per il suo ruolo. Specie quando ha la palla e prova sistematicamente a dribblare gli attaccanti della Roma che lo pressano.

Al 17’, ad esempio, gestisce un’impostazione nella sua metà campo, palla al piede e la testa alta, quando prova da solo a manipolare le linee della Roma: accenna una conduzione in verticale con la palla, poi si arresta disponendo il corpo come se dovesse passarla a Martinez, l’altro centrale (cosa che condiziona l’orientamento di Dzeko), quindi si sposta il pallone dall’altro lato (Dzeko, che si aspettava il passaggio orizzontale, a quel punto è tagliato fuori) e riparte in conduzione. Una volta passato il centrocampo cerca poi l’imbucata per Klaassen che però viene anticipato.

Al 62’ Timber riceve una palla dopo un duello aereo tra Dzeko e Martinez. La controlla col destro e orienta il corpo per andare verso il centro del campo, poi quando gli piomba addosso Pedro, una frazione di secondo dopo, lui con un unico movimento fluido cambia direzione e va verso destra, mandando Pedro in bianco come un torero che sventola la muleta in faccia al toro. Un gesto di una calma ed eleganza così sfacciate che fa quasi il giro e diventa coatto.

Sei minuti dopo riceve sulla sinistra, spalle alla porta, pressato da dietro. La cosa più semplice sarebbe rifugiarsi indietro dal portiere, ma ancora una volta Timber finge di andare da quella parte per poi voltarsi improvvisamente nell’altra direzione, lasciando Veretout in una porta girevole, e continua a correre. Quando lo chiudono in fallo laterale, Timber con la sua progressione ha già guadagnato 30 metri completamente dal nulla.

Alla fine la sua squadra perderà 1-2 ma Timber torna negli spogliatoi con il miglior dato di tutti nei dribbling: 4 riusciti su 5 tentati. Un primato tecnico in una partita persa, quindi: per me, in quel momento, era un distintivo di purezza calcistica. Il segno di un talento così etereo da restare indifferente alla contingenza del risultato.

Dopo quella partita cercai in tutti i modi gli highlights individuali di Timber, i video della sua performance surrealista, ma non trovai nulla. Su YouTube non esistevano compilation a lui dedicate, e avrebbero continuato a non esistere ancora per molto. D’altra parte il suo 2020/21 è stato una escalation bruciante e imprevista. A inizio stagione Timber era un semi-sconosciuto con una sola presenza in prima squadra; ha passato l’autunno in panchina, poi a gennaio ha preso il posto da titolare di Schuurs e cinque mesi dopo ha chiuso l’annata con la convocazione a Euro 2020. Quando De Boer lo chiama in nazionale, il suo curriculum conta una trentina di presenze nell’Ajax e una in nazionale under-21. Ha esordito con l’Olanda a giugno, nelle amichevoli contro Scozia e Georgia, poi all’Europeo ha giocato da titolare la prima partita contro l’Ucraina a causa dell’assenza di De Ligt. Era il 13 giugno: quattro giorni dopo, il 17, Timber ha fatto vent’anni.

Timber è in quella fase acerba in cui non ha ancora una specializzazione fissa. Ha giocato soprattutto come centrale di difesa, ma secondo il suo allenatore ha qualità per giocare da terzino o anche più avanti. «È destro, ma penso che possa andare anche a sinistra. Penso che possa giocare pure da centrale a centrocampo», ha detto il tecnico dell’Ajax Ten Hag. «Può giocare in ogni ruolo arretrato, ma come difensore centrale le sue qualità emergono meglio». Un accumulo di potenziali ruoli che racconta bene la sua eccentricità, la natura fluida e polimorfa del suo talento, ma che riflette anche l’universalità calcistica promossa all’Ajax, dove è la norma che anche i difensori abbiano uno stile audace e propositivo.

Nel 2021, Timber insieme a Lisandro Martinez ha formato una coppia difensiva pazza che a ogni partita sembrava ridefinire il concetto di difesa naif e spregiudicata. Martinez è un regista alto un metro e 75 spostato in difesa per migliorare la qualità della prima costruzione: ha un sinistro dolcissimo per i cambi campo e le verticalizzazioni, sia alte che filtranti. Anche Timber non è molto alto: è solo un metro e 79, ma ha il corpo muscoloso ed è capace a coprire distanze molto ampie. Un’abilità che serve come il pane in una difesa che accorcia sempre in avanti lasciandosi molto spazio alle spalle. Che affronta continuamente in 1 vs 1 gli attaccanti avversari e galleggia su margini di errore molto piccoli. Rispetto a Schuurs, che occupava il ruolo prima di lui, Timber è più basso di 14 centimetri ma più agile e reattivo negli scatti, oltre che più tecnico col pallone.

In una squadra offensiva come l’Ajax l’ingresso di Timber è stato l’ultimo tassello per realizzare un gioco d’attacco senza compromessi, in cui tutti i giocatori parlano la stessa lingua calcistica. Timber si è imposto come una fonte creativa, capace con le sue iniziative nelle retrovie di generare a cascata vantaggi sulla trequarti offensiva, anche se questo richiede a volte prendersi rischi e far saltare dalla sedia gli spettatori. Come contro la Roma: un difensore centrale che sfida individualmente il proprio avversario, mentre è pressato, senza compagni a coprirlo dietro. Un atteggiamento che deve piacere a Ten Hag, che ha detto di apprezzare il suo difensore «perché è un giocatore che mantiene la calma». Dopo la partita di febbraio con il Lille, anzi, era stato proprio Ten Hag a dire che «Jurrien dovrebbe avere più iniziativa nel possesso palla». E forse non è un caso che dopo quella dichiarazione le statistiche sui dribbling di Timber siano esplose.

Nelle sette partite successive, da fine febbraio a metà aprile Timber ha tentato 32 dribbling tra Eredivisie ed Europa League, ovvero 4.6 per 90 minuti, e gliene sono riusciti 23, il 71.8%. Numeri da esterno offensivo, che mostrano la confidenza di Timber in una squadra che basa la sua filosofia sulla tecnica.

Nella scheda che il Guardian gli ha dedicato per gli Europei c’è scritto: «negli ultimi mesi il versatile difensore si è trasformato improvvisamente nel nuovo Frank Rijkaard: con i suoi grandi passi porta la palla senza sforzo fuori dalla difesa e a centrocampo, mantenendo una solidità difensiva».

Il fascino di Timber sta soprattutto nell’alone di leggerezza adolescenziale che lo circonda. Nel modo in cui tenta giocate rischiose con calma spudorata, la faccia stordita da liceale a prima mattina, Timber sembra giocare un calcio spontaneo e svincolato dai ruoli. Un calcio che sta in relazione uno a uno con l’idea di “gioco = divertimento”: il fondamento basilare dell’identità ajacide. «Come difensore all’Ajax giochi molto con la palla, e non c’è niente di più divertente che avere la palla, giusto?» ha detto Timber, parlando di come all’Ajax pure fare il difensore sia più divertente che altrove. «Qui fai molto di più che marcare il tuo uomo. Spesso mi è anche permesso di partecipare agli attacchi. È davvero un bel posto per giocare».

Jurrien Timber è nato a Utrecht, dove ha cominciato a giocare nelle giovanili del DVSU, e prima di andare all’Ajax ha trascorso alcuni anni al Feyenoord. C’è un’altra informazione molto importante: Jurrien ha un fratello gemello, Quinten, con cui ha condiviso ogni passo di carriera finora. A quattro anni hanno cominciato insieme nel DVSU, dove «abbiamo sempre giocato in una categoria superiore rispetto alla nostra età», poi a sei anni nel 2008 sono passati al Feyenoord. Era una soluzione di comodo: mentre loro erano stati scelti sia dall’Ajax sia dal Feyenoord, il loro fratello maggiore Dylan solo dal Feyenoord. «Così abbiamo scelto di andare tutti e tre a Rotterdam. Era impossibile per nostra madre guidare ogni giorno da Utrecht all’Ajax e poi al Feyenoord», hanno raccontato al Telegraaf.

Nel 2014, a tredici anni, i gemelli Timber sono andati all’Ajax, stavolta da soli. Era la loro squadra del cuore, ma anche una scelta ponderata per il loro sviluppo: «C’è molta più formazione tecnica ad Amsterdam, con la palla abbiamo fatto molti progressi», ha detto Jurrien. «Nell’allenamento si vede che il Feyenoord è il club dei grandi lavoratori e l’Ajax del bel calcio. Lì eravamo abituati a dare una palla lunga in fretta, qui invece siamo incoraggiati a cercare la soluzione calcistica». Questi concetti si ritrovano interamente nello stile di gioco spensierato di Jurrien, e sono stati ribaditi anche da Quinten: «Durante l’allenamento gli allenatori vogliono che giochi con spavalderia, che rischi e commetti errori, piuttosto che giochi sul sicuro. Questa è una grande differenza rispetto al Feyenoord».

Quando nel 2018 hanno firmato il primo contratto professionistico, hanno deciso insieme di lasciare il cognome del padre, Maduro, e prendere quello della madre, che ha cresciuto da sola i cinque figli dopo che il compagno ha lasciato la famiglia ed è tornato a Curaçao. Anche lei, Marilyn, è originaria delle Antille, precisamente di Aruba.

Dei due fratelli, Quinten, che gioca a centrocampo, viene descritto come quello più creativo ed estroso, mentre Jurrien quello diligente e concentrato. Ma anche Jurrien riesce a essere creativo, nonostante non sia propriamente un regista difensivo come Martinez: quando esce dalla difesa palla al piede, coprendo le distanze col passo da felino, riesce a leggere i movimenti attorno a sé e trovare rifiniture non banali. Ecco un’azione che mostra Timber al completo: dribbling bruciante in accelerazione, progressione a testa alta e filtrante di punta esterna.

Chiaramente Timber non è un giocoliere, un esteta del pallone. Fa le cose semplici, e più che dribblare con la tecnica in realtà usa la postura del corpo per eludere l’avversario. In sostanza si serve della pressione a suo vantaggio: attira tutta la furia dell’avversario verso una direzione, poi è agile a spostare improvvisamente il peso del corpo sull’altra gamba e andare nella direzione opposta.

Non ha un portamento elegante ma nemmeno sporco. Il suo passo è sincopato: una lunga finta di corpo che disorienta l’avversario (e lo spettatore) e rende le sue intenzioni estremamente illeggibili. In difesa è preciso, ma la tendenza a essere sempre aggressivo, prendersi rischi, giocare sul punto di confluenza di più ruoli fa di lui un talento difensivo eccentrico, originale. Un disegnatore di strada che vende le caricature ai turisti mentre il suo ruolo vorrebbe la concretezza di un tipografo.

Per paradosso, però, la sua universalità potrebbe rappresentare un limite. È vero che il calcio si muove verso la liberalizzazione dei ruoli,  verso il decentramento della regia in aree sempre più periferiche del campo, come la difesa o i lati. Ma al contempo il ruolo del centrale difensivo è forse quello con meno margini di emancipazione dal paradigma classico: potrà richiedere ai giocatori sempre maggiore tecnica con il pallone, maggiore capacità di letture, ma difficilmente si spoglierà di requisiti come la forza fisica, l’altezza, l’abilità nei duelli aerei. Lo dimostra il fatto che in quest’epoca di attaccanti sempre più grossi, forti fisicamente e veloci, la risposta sono difensori altrettanto enormi e tecnici: van Dijk, Sergio Ramos, de Ligt, Ruben Dias. Tutto questo per dire che i 179 centimetri di altezza di Jurrien Timber potrebbero rendergli difficile l’ingresso nel calcio di massimo livello. Per lo meno come difensore centrale.

Ma non è solo questo. Veder giocare Timber, il suo modo situazionista di stare in campo, di prendere sempre decisioni inattese, trasmette anche un senso di precarietà, un sospetto di incompiutezza preventivo. Potrà funzionare il suo talento anche fuori della riserva indiana della Eredivisie? Oppure il suo stile così peculiare ha bisogno di un ambiente altrettanto peculiare, come una di quelle specie viventi che esistono solo in cattività? È un pensiero triste, probabilmente una reazione automatica verso il sistema olandese e la sua produzione sovrabbondante, quasi meccanica, di talento. Troppo spesso ci siamo innamorati di calciatori che poi non hanno ripagato l’hype iniziale; abbiamo dovuto scendere a patti con l’idea che il talento più che un’abilità innata è soprattutto la capacità di adattarsi a contesti diversi.

In ogni caso Timber è fin troppo giovane per pensare che non possa maturare ancora, che il suo talento non sia abbastanza malleabile per prendere nuove configurazioni. La sua qualità del resto è fuori discussione. Si tratta di un giocatore che – bisogna ricordarlo – non ha ancora concluso un’intera stagione da titolare in massima serie, e tuttavia conta già una partecipazione a un grande torneo per nazionali. Un traguardo che la maggior parte dei calciatori non raggiunge in una carriera intera.

Fintanto che scopriamo come maturerà, comunque, è sempre divertente vedere cosa si inventa Timber nell’Ajax. Un club fatto apposta per spostare continuamente l’asticella di cosa può fare o non può fare un giocatore su un campo di calcio.