Gavi, al posto giusto al momento giusto - Zona Cesarini

Gavi, al posto giusto al momento giusto

Non mi è mai piaciuto arrivare tardi allo stadio. Sono uno di quelli che crede che una partita non duri solo 90 minuti. Per me una partita inizia ore prima, a volte già quando si esce di casa in direzione stadio. Mi piace arrivare con largo anticipo e godermi l’atmosfera fuori dai cancelli, assaporare quell’aria frizzante che si respira solo lì e cercare di nascondere quel leggero filo di adrenalina che pian piano aumenta sempre più. Mi piace varcare i cancelli prima della massa, andare al mio posto in tribuna e continuare a chiacchierare con gli amici, ma con un occhio fisso sul riscaldamento perché sono da sempre un convinto sostenitore della teoria del “dal riscaldamento si capisce già come finirà la partita”. L’intensità del torello, la precisione e la decisione dei tiri in porta e tanto altro. Nel calcio – così come nella vita – i dettagli fanno sempre la differenza.

Il giorno della semifinale di Nations League tra Italia e Spagna non fa certamente eccezione. Se poi ci aggiungiamo che – come tanti – tornavo allo stadio dopo quasi due anni di pausa forzata e che non ero mai entrato a San Siro, tutto ciò di cui ho parlato in precedenza va quantomeno raddoppiato. Come al solito arrivo in anticipo, ma devo aspettare i miei amici ed entro giusto in tempo per cantare l’inno, perdendomi il riscaldamento. Nervoso, chiaramente. Ancora non sapevo che mi sarebbero bastati pochi minuti per calmarmi. Ancora non sapevo che da lì a poco mi sarei innamorato.

Entrando in ritardo mi perdo anche la lettura delle formazioni per cui mi chiedo chi sia quel piccoletto in mezzo al campo con il numero 9. «Ma questo da dove l’hanno tirato fuori? Erano in dieci e ne hanno preso uno dal parchetto qui fuori? Ma poi un centrocampista col 9 non si può vedere, dai!». I successivi 45 minuti mi zittiscono clamorosamente. L’arbitro fischia due volte e torno alla realtà, cercando di ricordarmi se altre volte mi fosse capitato un colpo di fulmine simile. Il 6 ottobre 2021, a San Siro, mi sono innamorato di Pablo Martín Paéz Gavira, un ragazzino che sulla schiena, sopra ad un #9 che continua a risultarmi inusuale, ha scritto semplicemente “Gavi”.

Nonostante Pellegrini abbia appena segnato il goal che ridà un senso agli ultimi minuti di gara, quando all’83’ Luis Enrique lo richiama in panchina mi alzo in piedi, lo applaudo e mi rendo conto di non essere l’unico pazzo. L’assedio azzurro non porta all’esito sperato. Perdiamo e siamo fuori dalla finale. Mi brucia, ma meno del solito, perché ho come la sensazione di aver assistito ad uno di quegli avvenimenti che mi ricorderò per tutta la vita. Quella sera ho assistito alla nascita di una stella.

Lettura difensiva da trentacinquenne (forse)

 

Usciamo con la coda tra le gambe e mentre in una mano alterno panino con la salsiccia e birra, con l’altra inizio a cercare qualche informazione su quel piccoletto indiavolato che si è appena messo in tasca tutto il centrocampo della squadra campione d’Europa. Digito al volo “GAVI” su Google e mi compaiono un comune di 4472 abitanti in provincia di Alessandria e un’organizzazione internazionale creata nel 2000 con lo scopo di facilitare l’accesso ai vaccini ai Paesi poveri. Scorrendo verso il basso appare la sua pagina Wikipedia. C’è ancora poco, ma mi basta leggere la data di nascita: 2004. Pablo Martín Paéz Gavira ha appena compiuto 17 anni e la cosa non mi sembra razionalmente possibile, ci deve essere un errore. Complice la fame ripongo il cellulare in tasca, concentrandomi su panino e birra e tornando a parlare con gli amici di quanto sia stato ingenuo Bonucci e di quanto ci abbia impressionato Gavi.

Il giorno seguente decido di ritagliarmi mezz’ora per informarmi meglio. La mia nuova cotta calcistica è nata per davvero diciassette anni fa a Los Palacios Y Villafranca, un paesino andaluso di 37 mila abitanti non lontano da Siviglia, uno di quelli con migliaia di case bianche e basse, tutte uguali. Che il piccolo Pablo ci sappia fare col pallone è chiaro fin da subito, così dopo aver segnato 96 goal nelle giovanili del Betis, a soli 11 anni firma per il Barça dopo aver respinto, tra le altre, le corti di Real Madrid, Atletico e Villarreal.

Nel 2020 è stato promosso dalla Sub16 alla Sub19 blaugrana senza passare dal via, mentre è stato aggregato alla prima squadra nel precampionato della stagione successiva, ovvero quella in corso. In soldoni, Luis Enrique l’ha schierato titolare – facendolo diventare il più giovane esordiente nella storia delle Furie Rosse – in una semifinale di Nations League a San Siro contro l’Italia dopo appena qualche presenza nelle amichevoli estive del Barça e qualche scampolo di partita in Liga.

Come detto, su Wikipedia c’è ancora poco materiale, così mi imbatto in un articolo di goal.com che riprende le dichiarazioni di Franc Artiga, il suo allenatore ai tempi della Masía. Il primo dettaglio col quale introduce il baby prodigio andaluso è «la capacità di cambiare idea in una frazione di secondo, improvvisando in qualsiasi momento della partita», aggiungendo quanto sia «veramente difficile trovare un giocatore con la sua abilità e con la sua rapidità di esecuzione».

Passando all’aspetto fisico Artiga afferma che Gavi «è cresciuto molto fisicamente e ora è un giocatore con molta forza. Il suo fisico minuto e il suo baricentro basso lo aiutano a proteggere il pallone». Dopodiché si sposta sulla sfera emotiva: «è ultra competitivo ed è migliorato molto anche nel controllo delle sue emozioni». Ancora: «gioca solo d’istinto ma con un po’ di esperienza riuscirà a leggere meglio la partita». Artiga conclude con una frase che può sembrare banale e scontata quando si parla di un ragazzino di 17 anni. Tre semplicissime parole che purtroppo di banale e scontato non hanno nulla: «dobbiamo essere pazienti».

La mia voglia di tornare allo stadio era tale che assieme ai biglietti per Italia-Spagna ho acquistato anche quelli per la finale. Nonostante la ramanzina fatta per avermi fatto perdere il prepartita qualche giorno prima, questa volta i miei amici riescono nell’impresa di farmi perdere persino gli inni. In campo – purtroppo – non c’è l’Italia così voglio concentrarmi più imparzialmente su Gavi, curioso di capire se riuscirà a ripetere la prestazione mostruosa messa in campo contro gli Azzurri.

Gavi e Tchouaméni fanno amicizia

 

Se prima pensavo si trattasse solo di una semplice cotta, quando dopo pochi istanti dal fischio d’inizio entra duro sulle caviglie di Tchouaméni mi rendo conto di esserne follemente innamorato. Si toglie dalle tasche Jorginho e Verratti per far posto a Pogba e Tchouaméni, mettendo a referto un altro primo tempo da trenta e lode. Nella ripresa cala un po’ e al 75’ Luis Enrique lo sostituisce con Koke. Viene concretamente difficile da credere, ma con l’assenza di Gavi la Francia sembra prendere coraggio, alza il baricentro e trova la rete della vittoria con Mbappé.

Sembra di assistere ad una di quelle partita di FIFA in modalità “carriera giocatore” con difficoltà impostata su “principiante”. Viene quasi impossibile pensare che un ragazzino che in un mondo normale dovrebbe giocare in una juniores regionale possa non commettere errori in una partita di quel livello, contro giocatori abituati a palcoscenici internazionali ormai da anni. Non sbaglia un passaggio, azzarda la giocata meno scontata, entra in tackle in qualsiasi zona del campo e chiama il pallone con una personalità che non ha un minimo di logica o di razionalità. Esco dallo stadio con l’umore spaccato a metà. Da un lato sono ancor più innamorato di un giocatore che sono certo diventerà nel giro di poco tempo uno tra i più forti al mondo, dall’altro piombo nello sconforto quando realizzo che un ragazzino che ha dieci anni in meno di me ha appena giocato per la seconda volta a San Siro mentre io non ho ancora la più pallida idea di cosa farò da grande.

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Gavi gioca con gli scarpini slacciati: un po’ per scaramanzia, un po’ perché non sa allacciarseli

 

Il giorno seguente, come dopo Italia-Spagna, cerco di conoscere qualche ulteriore dettaglio su quel numero 9. Questa volta lo cerco su YouTube. Noto una miriade di video – montati alla bell’e meglio – spuntati come funghi negli ultimi tre giorni e mi conforto pensando di non essere l’unico ad averlo conosciuto con colpevole ritardo. Le clip usate sono le stesse per tutti i video, anche perché è estremamente difficile trovare materiale su di un calciatore che ha giocato solo pochi minuti nel calcio professionistico. Per fortuna esistono filmati delle partite giocate con la Masìa, ma è obiettivamente difficile analizzare match nei quali Gavi sembra il giocatore di Eccellenza che segna 50 goal al torneo aziendale di fine anno. Sulle canzoni scelte come sottofondo, invece, è meglio sorvolare.

Tolto il volume, il primissimo particolare che balza all’occhio è una personalità a dir poco straripante. I numeri che Gavi porta sulla schiena ne sono la conferma: durante le amichevoli estive indossa il 14, mentre quando la stagione ha inizio passa al 30. Sicuramente non due numeri qualsiasi dalle parti del Camp Nou e il fatto che ad indossarli sia un diciassettenne può significare solamente due cose: o si tratta di impertinenza mista a ingenuità, oppure il ragazzo ha personalità da vendere. Ma a prescindere dal numero che porta sulle spalle, le sue giocate – con e senza palla – trasudano carattere e temperamento da ogni pixel. Ha voglia di fare e di mettersi in mostra. Non ha paura di niente. Si abbassa a ricevere palla dai difensori con la stessa enfasi con la quale chiede lo scarico alle punte.

Per un attimo mi sembra di rivederlo mentre disegna calcio sul prato di San Siro e mi torna in mente una dichiarazione di Luis Enrique, sbirciata qualche giorno prima mentre leggevo l’intervista a Franc Artiga: «Gavi gioca come se fosse a scuola o nel giardino di casa». Il CT spagnolo non poteva trovare parole più azzeccate. In qualsiasi frangente della partita è leggero e tranquillo, come se non avesse la minima idea del contesto che gli sta intorno o del fatto che quello che sta facendo con ordinarietà, di ordinario non ha nemmeno la parvenza.

Con il pallone tra i piedi è una gioia per gli occhi. Il modo con cui conduce il pallone è pressoché perfetto: lo tocca spesso e lo tiene sempre vicinissimo al piede, che sia col destro o col sinistro non sembra fare differenza. Ha il totale controllo di tutto ciò che gli sta attorno. Nella gestione del possesso sembra prendere il manifesto del tiqui taca e strapparlo ereticamente in mille pezzettini. Non gioca mai di prima, quantomeno di seconda. La tocca e la ritocca, la sposta e la risposta, ma nonostante questo il ritmo dell’azione non ne risente, anzi ne guadagna.

Vede corridoi che nel mondo di noi “normali” non sembrano esistere e l’atto del passaggio è già il primo passo per andare a prendere lo scarico del compagno. È raro che alzi il pallone da terra e quelle poche volte lo fa per disegnare un sombrero, aggiungendo fantasia al pacchetto-personalità.

Fin qui sembra il classico identikit del giocatore bello esteticamente, che piace e si piace, ma che quando c’è da “metterci la gamba” si tira indietro. Ecco, dimenticatelo, perché quando il pallone ce l’hanno gli altri, Gavi va in guerra. Non si tira mai indietro e cerca spesso il contatto fisico. Aggredisce quasi sempre in avanti mentre quando è costretto a rincorrere gioca la carta della scivolata per arpionare da dietro il pallone, dimostrando – qualora dovessero ancora esserci dubbi a riguardo – una grinta fuori dal comune.

“Trova qualcuno che ti protegga come Gavi protegge il pallone” semicit.

 

Nonostante i suoi 173cm e i 70kg non lascino ipotizzare una gran predisposizione per il corpo a corpo, Gavi ha la piena padronanza del suo fisico. Per la protezione del pallone, per esempio, dimostra di saperlo usare magistralmente e il baricentro basso lo aiuta a tenere lontano l’avversario. Ottimo binomio con il tempismo infallibile nel cogliere il frangente esatto per frapporsi tra avversario e pallone, rubandone il possesso.

In realtà sia live a San Siro che dai video su YouTube qualche limite è evidente, ma è chiaro che se un diciassettenne non avesse difetti staremmo parlando di una forma di vita aliena e non di un essere umano. Per esempio, giocare al 100% non è sempre un punto a favore. A volte corre a vuoto e sembra non saper dosare alla perfezione le forze, motivo per il quale spesso gli si accende la spia della riserva prima del 90’. Anche l’irruenza che lo porta a provare scivolate al limite andrebbe misurata meglio, decidendo con più intelligenza quando e come fermarsi prima di commettere fallo o di farsi scartare.

Nel frattempo ha segnato anche il primo goal nella Liga

 

La sensazione è comunque quella di trovarsi davanti ad uno di quei calciatori che nascono una volta ogni 10 o 20 anni. Un gioiello grezzo che bisogna avere la pazienza di forgiare con calma e con cura, da aspettare ed aiutare, proprio come sosteneva Franc Artiga. Un patrimonio per il calcio spagnolo e mondiale, che va preservato e salvaguardato dall’ondata di aspettative che inevitabilmente piomberanno su di lui. Il Barcellona sta attraversando il momento più buio della sua storia, ma Gavi che accarezza il pallone in mezzo al campo è un piccolo spiraglio di luce in fondo al tunnel. Clicco sulla X ed esco da YouTube. Spengo il pc e penso a quanto nella vita sia fondamentale il tempismo. Essere al posto giusto al momento giusto. Un po’ come Gavi al Barça nel 2021, un po’ come me a San Siro quella sera.