Luciano Spalletti: il profeta di Certaldo.

Luciano Spalletti: il profeta di Certaldo

“Allora il divertimento era fuori, per strada. Bastavano poche, semplici cose. Sì, mi piaceva uscire la sera insieme ai miei amici alla ricerca di nuove conoscenze e di nuove esperienze, ma queste non erano sigarette e marche di liquori. Ho sempre chiarito agli amici da che parte stavo: ragionavo con la mia testa, sapevo dire di no e questo mi ha sempre portato anche il rispetto degli altri”.

Certaldo è famosa per aver dato i natali ad un grande scrittore e poeta italiano di nome Giovanni Boccaccio, l’autore del Decameron, la raccolta di novelle più importante nella storia della letteratura italiana. A Certaldo c’è nato anche Luciano Spalletti, e come per i personaggi dei racconti boccacceschi, anche lui si sarebbe potuto candidare per un ruolo da protagonista. Il suo spirito sanguigno, unito alla passione bucolica e ad un atteggiamento spesso umoristico, lo potevano certo far scritturare da Boccaccio per una parte in una delle sue novelle.

Luciano ha preferito fare il Mister sin dal giorno in cui ha appeso le scarpette al chiodo come calciatore. E’ da un po’ di tempo, però, che non siede su una panchina di una squadra di calcio, precisamente dal 10 di Marzo 2014, quando la sua avventura con lo Zenith di San Pietroburgo si è chiusa. Il Mister era emigrato ad Est dopo la sua grande avventura con la Roma.

Adesso si sta guardando intorno e sta aspettando il momento più propizio per fare la scelta migliore, tra un viaggio di aggiornamento e un periodo di riposo nella sua villa di Montespertoli in provincia di Firenze. Non è arrivato il momento della pensione, ancora non è tempo di tornare stabilmente “alla terra”, in campagna tra vigne, oliveti, case del popolo, trattori e maiali.

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Spalletti con i suoi porcellini (lucianospalletti.it)

Spalletti, dal momento della sua uscita di scena, non ha rilasciato moltissime interviste. Si è concesso solo sporadicamente per eventi pubblici mirati e locali, come la promozione del marchio toscano D’Acquasparta del suo amico Gabriele Beni o per esempio la partecipazione un mese fa alla riunione arbitrale della Sezione d’Empoli come relatore. Tuttavia, i sentori di un presto ritorno su una panchina sembrano non farsi attendere. Pochi giorni fa, infatti, il suo nome è tornato alla ribalta proprio per la panchina della Roma, visto che Rudi Garcia è destinato a fare le valigie.

Boutades giornalistiche o reali trame di mercato? Crediamo che a breve Spalletti scioglierà le riserve e si ributterà per l’ennesima volta nel calcio che conta. Chiuderà la stalla dei suoi porcellini e il recinto dei suoi cavalli.

Si prospetta un altro giro di ruota per il tecnico empolese, che tanto manca a questo calcio, specialmente a quello italiano. Il suo spirito sanguigno, senza peli sulla lingua e il suo capoccione testardo non possono fare che bene ad un campionato italiano in decisa crisi d’identità.

Spalletti sulle prime pagine dei giornali giapponesi

   LE GIOVANILI

I primi calci li dà proprio sotto casa, nei pulcini dell’Avane. A 12 anni entra nella Cooperpopolo: “Dove il portiere era colui che la prendeva con le mani, il libero quello cicciottello, il marcatore quello che tirava giù calci a tutti, la punta colui che calciava sempre in porta, da tutte le posizioni”.

Luciano si fa notare presto e diventa uno dei prescelti per il provino di fine stagione. C’è da scegliere tra Fiorentina e Empoli. Alla fine Spalletti va in Viola:Empoli era la mia città, grande settore giovanile, ma era in C1. La Fiorentina era il simbolo del territorio, era la Serie A e poi c’erano Galdiolo, Roggi, Antognoni e l’amico soviglianese Luciano Venturini promettente bomber della primavera gigliata: tutti campioni da seguire passo dopo passo”.

E così Luciano si ritrova tra i campioni in erba del Professor Petrini. Qualche partita negli Allievi e molte gare da raccattapalle al “Franchi” con gli occhi spalancati. Poi l’ineludibile sentenza: “Il prossimo campionato giocherai nel Club Sportivo Firenze”. Dalle stelle alle stalle.

La sua scuola superiore era vicina alla stazione e, avendo poco tempo, il fratello Marcellino si faceva trovare all’uscita della scuola pronto a  cambiare la borsa dei libri con quella del calcio, con dentro il “gustoso panino preparato da nonna Pura che sostituiva il pranzo”. A 18 anni inizia nei dilettanti della Volterrana in Promozione e dopo due splendide stagioni lo chiama la Cuoiopelli del “trio meraviglia”: il Presidente Brotini, il Vice Benvenuti e Mister Lazzerini.

Questi tre anni lo confermano a livello dilettantistico, anche se il suo futuro è la squadra più ambiziosa dello stesso campionato, il Castelfiorentino. Sono altre tre belle stagioni ma nessuna finisce con la vittoria finale come invece si sperava:  “Nonostante la continua presenza dei miei due affettuosi sostenitori personali, Sigaro e Raro”.

(lucianospalletti.it)

 IL DEBUTTO TRA I PROFESSIONISTI

E’ Giampiero Ventura, allenatore innovativo e spregiudicato con la squadra vincente di quella stagione, l’Entella Chiavari, che gli permette di passare tra i semiprofessionisti della Serie C2. Un allenatore che ritroverà in altra veste su panchine ben più importanti. Casi della vita.

La matricola arriva quinta in Campionato e Ventura diventa il mister dello Spezia in C1. Anche stavolta gli chiede di seguirlo: “Il mio sì fu carico di entusiasmo e riconoscenza verso il mio attuale amico e collega; avevo fatto un altro piccolo balzo verso il calcio che sognavo. In Liguria corrono via altre quattro stagioni appassionanti. Un grande pubblico, le Cinque Terre e “le gustose cene alla Marina di Portovenere, dove il risotto alla pescatora veniva curato personalmente da Antonio, rinomato chef della Juventus”.

Spalletti passa al Viareggio dell’allora famoso tele-finanziere Mendella, ma l’esperienza naufraga dopo pochi mesi a causa di forti problemi aziendali. I risultati non sono quelli di Entella e Spezia,  “ma la qualità dei ristoranti era addirittura migliorata”. Il progetto cola a picco e il fuggi fuggi generale consente di arrivare finalmente al sogno mancato da piccolo: l’Empoli.

Il suo amico di gioventù Fabrizio Corsi è il giovane ma già capace Presidente della società e Francesco Guidolin è il mister predestinato. Di quella squadra fanno parte anche Gautieri, Montella, Protti e Fabio Galante, alcuni dei compagni più famosi di un altro periodo avvolgente. E intanto Spalletti comincia a prendere appunti. Il taccuino si sostituisce ai tacchetti. Passano due stagioni splendide dal 1991 al 1993. La sua maglia numero 8 sta però per essere messa in soffitta.

Ero un numero otto diciamo. Un anno ho segnato 11 gol, nove però su rigore. Non ero di grande qualità, diciamolo, ma spirito di sacrificio quello sì”. Cominciano ad arrivare anche diversi infortuni al ginocchio e Spalletti decide di ritirarsi. Ecco così che si scopre ancora più forte e determinato a dare ordini tattici da una panchina tra giovani di belle speranze e vecchie volpi già arrivate .

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Con la maglia dell’Empoli in campo con Roberto Baggio (lucianospalletti.it)

 LA FAVOLA EMPOLI

Il futuro da allenatore non si fa attendere, infatti, a 6 giornate dalla fine durante la stagione 93-94 lo chiama Corsi: Abbiamo deciso di affidarti la squadra per questa salvezza”. L’Empoli arriva penultimo. C’è lo spauracchio playout ma Spalletti e la squadra ce la fanno grazie soprattutto ad un “aeroplaninoMontella in forma smagliante nella partita di andata contro l’Alessandria vinta per 1-0.

Si apre così un nuovo ed intenso capitolo della vita di Luciano, quello che conosciamo tutti e che lo ha consacrato all’altare del calcio professionistico. A Empoli nasce la storia del calcio spettacolo di provincia. E’ Spalletti che fa conoscere i campagnoli a tutto il calcio italiano, dove anche una piccola realtà come questa può fregiarsi del titolo di squadra rivelazione del torneo.

Il gioco di quella squadra fa conoscere non solamente il suo allenatore e i suoi giocatori, ma il modo di lavorare di una società, che a partire dalle giovanili, si impegna con convinzione e risultati nel portare avanti un modello vincente. L’Empoli di Mister Sarri arriva proprio da lì.

Balli, Baldini, Birindelli, Tonetto, Martusciello, Ficini, Esposito, Cappellini, Ametrano, Di Natale. Ognuno di loro è stato un elemento fondamentale ed insostituibile: “Insieme avevano tutto. Intelligenza, forza, tecnica, fisico, agilità, rapidità, passo, corsa, scatto, spirito, volontà, orgoglio, coraggio, amicizia. E se qualcuno dei miei campioni vuole aggiungere qualcos’altro può farlo, perchè avevamo anche quello!”.

Spalletti ama ricordarsi tutti, a partire dal Team Manager Graziano Billocci, al magazziniere  “faidattè” Giancarlo Fontanelli, al dottor Palatresi che al termine di ogni visita agonistica dichiarava: “Il ragazzo è idoneo alla vittoria”. Un certifico di idoneità durato 4 anni. Ma l’uomo a cui si è legato indissolubilmente e che diventerà il vice ufficiale a partire dalla sua avventura udinese è Marco Domenichini, il fido scudiero dal quale non si separerà mai. Durante gli anni di Empoli la squadra passa dalla Serie C1 alla serie A. Una grande cavalcata di cui Spalletti è l’artefice principale. Dopo ben nove anni si torna nella massima serie.

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Insieme ai “ragazzi terribili” dell’Empoli (lucianospalletti.it)

Gli striscioni non si fanno mancare: Sacchi più Zeman uguale Spalletti”. Cominciano a delinearsi tutte le caratteristiche che lo distingueranno in futuro: “Io faccio la zona perché, tolto Ventura, tutti i miei allenatori erano zonisti, perché sono convinto che sia la scelta più vantaggiosa per la copertura degli spazi. Ho una squadra di quantità, con cui m’intendo perché mi somiglia. Mi regalassero un fantasista non lo vorrei. Vorrei gente come Maldini, Batistuta, Casiraghi. Credo molto nello spogliatoio, alleno come un fratello maggiore che sa di dover passare a sergente di ferro”.

LA TRAVERSATA NEL DESERTO

Chi pensava che potesse rimanere ancora lì si è sbagliato di grosso. Spalletti se ne va e lascia l’Empoli in mano a Sandreani, direzione Sampdoria: “Dopo questi  anni mi sembrava che i tempi fossero maturi per cambiare. Forse soltanto un’offerta a vita, a prescindere dai risultati, mi avrebbe fatto cambiare idea. Se ho mai avuto dei ripensamenti? Qualche volta sì, anche perché io qui sono stato trattato benissimo. Mi hanno coccolato e aiutato tutti. Inoltre credo di aver ricevuto tantissimo da questa esperienza. Dal punto di vista professionale, ma soprattutto dal punto di vista umano”.

Da qui comincia la traversata nel deserto di Spalletti. Un periodo durato sempre 4 anni, in cui non riesce a ripetere l’abbagliante esperienza empolese. Sampdoria, Venezia, Udine e Ancona. Anni conditi da esoneri, sconfitte e ripensamenti. Tutto sembra andare un po’ in discesa libera per l’enfant prodige delle panchine nostrane. Si rompe qualcosa, i progetti non lo gratificano e i presidenti non lo fanno lavorare tranquillo.

Per Zamparini, Luciano “portava sfiga”. L’oasi felice del Castellani insieme al Presidente Corsi sembra solo un ricordo sbiadito. Ma come succede sempre a Spalletti, il destino vuole che le cose ricomincino a funzionare finiti 4 anni, un numero che a quanto pare lo contraddistingue. Un numero magico. E’ la volta buona per ripartire, il treno si ferma a Udine. Di nuovo, ma stavolta da inizio stagione.

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Un pensieroso Spalletti sulla panchina doriana (lucianospalletti.it)

 LA RINASCITA UDINESE

Patti chiari amicizia lunga. Il Presidente Pozzo investe su di lui e sulla squadra, da questo momento Domenichini diventa il vice allenatore a vita, prodigo di consigli fondamentali per il lavoro e il prosieguo di Spalletti partita dopo partita. Siamo al 2002. Il Mister di Certaldo rinasce, mette via i panni dello sfigato e ritrova un’immagine vincente, il metodo ricomincia a funzionare: “Tutti guardano al Chievo come modello per le provinciali, ma alla fine poi noi abbiamo fatto meglio”.

Gli stimoli sono quelli di una volta e Spalletti riparte a raccontare la storiella della lavagna: “Io preferisco ripetere le situazioni di gioco in campo, undici contro undici, come la domenica. Un pilota di Formula Uno mica sta in poltrona col solo il volante in mano, mette a punto la macchina girando in pista come nei gran premi”.

I “criticoni da frustrazione” sono zittiti e chi pensa che a 47 anni sia ancora troppo giovane per insegnare evidentemente non sa di cosa parla. Dio perdonali perché non sanno quello che dicono. Con Spalletti, l’Udinese pratica il calcio più bello, concreto e spettacolare. La squadra è sempre votata ad attaccare sapendo pure essere equilibrata e subendo meno reti che nelle passate stagioni.

Il primo anno è subito Coppa Uefa. L’anno dopo si ripete e nel 2004-05, udite udite, l’Udinese va in Champions League. Salgono alla ribalta i nomi di Iaquinta, Muntari, Di Michele e Pizarro. Antonio Di Natale è il suo magico amuleto, conosciuto ai tempi di Empoli. Spalletti va in Coppa Campioni, ma non con l’Udinese. No, perché come già visto ad Empoli a Luciano piace lasciare sul più bello. Squadra che vince non si cambia, ma l’allenatore sì. Questa è la sua filosofia di pensiero. Altro giro, altra corsa.

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Insieme al Patron dell’Udinese Vittorio Pozzo (lucianospalletti.it)

 ROMA CAPUT MUNDI

Il grande salto, l’occasione della vita, la consacrazione definitiva: AS Roma . Sono lontanissimi i tempi in cui Gianni Mura lo intervistava e Luciano raccontava di suo padre guardiacaccia, delle origini contadine e di fratello Marcello e della sua ditta di assemblamento divani. Gli amici di Sovigliana, le Case del Popolo e le partite a stecca. Tutto da infilare a pagina 1 del diario di bordo del giovane Lucianino.

La Capitale ti inghiotte, ti stressa, pretende anche quello che non ti è dato possibile fare. Ma Roma è sublime, è un’arma a doppio taglio, è una “Grande Bellezza” fatta di passione sfrenata con il rischio in allegato di diventare tutto ad un tratto effimera. Spalletti si rimbocca le maniche e parte alla volta di Trigoria insieme alla famiglia. Sensi è deciso ad affidargli una squadra competitiva. Non quanto quella di Fabio Capello, ma poco importa. L’importante è far divertire con i risultati.

Va in scena il 4-2-3-1 firmato Spalletti. Si afferma un modulo di gioco, un’idea vincente che porterà Francesco Totti a stare lassù davanti, come unico riferimento centrale d’attacco.

Nelle vite calcistiche di Totti, sono due gli allenatori che gli hanno lasciato un imprinting decisivo: Zdenek Zeman e Luciano Spalletti. Il primo lo inventò esterno sinistro dopo che con Mazzone ballava tra trequartista e seconda punta; il secondo lo trasformò in centravanti puro, dopo che negli ultimi due anni di Fabio Capello, Francesco aveva accarezzato il ruolo, ma solo a tratti: “Secondo me da finalizzatore funzionò bene, fu un momento importante della sua carriera“, dice lo stesso Spalletti.

La trasformazione avviene il 18 dicembre 2005, quando a Genova contro la Samp, Spalletti è privo di Cassano, Montella e Nonda. L’unico centravanti a disposizione è un giovanissimo Okaka. Il tecnico di Certaldo decide che è giunto il momento di reinventare la posizione di Totti.

Fu soprattutto lui ad indicarmi la strada da seguire, giocatori di questa pasta si modellano da soli. E poi avvicinare Francesco all’area di rigore è come mettere la volpe vicina al pollaio: trova sempre lo spazio per creare terrore. Totti fa gol, è bravo a mandare, a non dare punti di riferimento e quando calcia trova sempre i cantucci (angoli in toscano, ndr)”.

Altre quattro stagioni indimenticabili dove la Roma riesce a togliersi tante soddisfazioni. Unica pecca lo scudetto mancato, ma come dimenticare la vittoria al Bernabeu per 2-1 nel 2008 o il record di 11 vittorie consecutive nel 2006. Spalletti si porta a casa due Coppe Italia e una Supercoppa italiana. E’ la Roma dei Pizarro, Mancini, Perrotta e Taddei, oltre agli inamovibili Panucci, De Rossi e Totti.

(lucianospalletti.it)

Come si poteva immaginare non sono mancati momenti di tensione molto alta, quando ti viene voglia di mandare tutto a quel paese. Come quando nel 2008 perdi lo Scudetto per 3 punti a mezz’ora dalla fine. Grossi rimpianti comunque non ce ne sono stati, Spalletti può andare fiero per quello che ha fatto e Roma gli vuole bene. Dopo, manco a dirlo, 4 anni, l’incantesimo finisce. Luciano decide che è giunto il momento di chiudere.

I ricordi sono tanti: “Notti bellissime allo stadio, vittorie indimenticabili a Lione, a Madrid, con il Chelsea, serate illuminate dai riflettori dell’Olimpico dove tutti hanno dato un contributo fondamentale per i risultati di queste quattro stagioni. Il rammarico più grande è quello Scudetto perso, e ci sarebbero delle cose da analizzare in profondità, ma il risultato del campo va accettato. Ranieri può stare tranquillo, lo lascio in buone mani”.

Luciano dichiarerà di avere più tempo per la famiglia, per i figli, per andare ad aggiornarsi all’estero, su quali sono le nuove metodologie di gioco, come quando lo chiama Alex Ferguson personalmente e lo invita a vedere gli allenamenti all’Old Trafford. Il messaggio per i tifosi romanisti è carico di affetto: “Continuerò a cantare l’inno della Roma, che rimane il simbolo dell’amore del popolo romanista per la propria squadra e io sarò lì a cantarlo sempre.”

Le ultime parole famose. Dopo appena 3 mesi, Spalletti firma per lo Zenith, l’ultimo quadriennato che ci porta ai giorni nostri. Comincia la strada per l’incoronazione internazionale.

LUCIANO IL GRANDE

Si parte alla volta della grande Russia, verso una San Pietroburgo affascinante e uno Zenith in mano al colosso energetico mondiale Gazprom. Spalletti si fregia subito del titolo di Zar, con un ingaggio da 4 milioni di euro netti all’anno. Scusate se è poco. I “metanorubli” fioccano che è un piacere, i signori della Gazprom non badano certo a spese, fin da quando sono arrivati alla proprietà dello Zenith nel 2005. E i risultati si vedono.

Spalletti prende il posto di Dick Advocaat, l’allenatore che ha portato lo Zenith a vincere in Europa. Nel 2008 la squadra porta a casa, infatti, Coppa Uefa e Supercoppa Europea battendo rispettivamente Glasgow Rangers e Manchester United. Per Spalletti non è facile prendere il posto del “Piccolo Generale”, ma non si fa spaventare da quello che lo aspetta e in men che non si dica vince subito il primo trofeo a disposizione: la Coppa di Russia.

Nello stesso anno porta poi a casa Campionato e Supercoppa di Lega. E’ triplete. Spalletti diventa Luciano il Grande. Anche se ha dovuto fare tanti chilometri, finalmente ha vinto uno Scudetto, non sarà come quello italiano, ma la gente lo acclama ed è l’uomo del momento. E Luciano che fa? Bissa l’anno successivo con un’altra vittoria in Campionato. Prima volta assoluta nella storia del Club a vincere due Scudetti consecutivi.

Abbiamo festeggiato un grande campionato, è stata una lunga notte, a cena c’era anche il console italiano a San Pietroburgo. Confermarsi è anche più difficile. Molti pensano di essere più forti col titolo in mano. Vincere a +15 dà il senso dell’impresa. Il secondo scudetto è un piccolo capolavoro, come uno dei tanti di questa città bellissima. Ricordo quando arrivai qui due anni e mezzo fa, un po’ d’apprensione c’era, mi facevo domande. Ora mi sento diverso, cambiato e rafforzato dall’esperienza”.

La Russia è diversa dagli altri paesi. E’ una realtà meno conosciuta, un mito lontano di cui si parla tanto ma in pochi conoscono veramente. Il livello del campionato è alto e nel 2018 ci saranno i Mondiali. E’ un calcio aperto, sono arrivati molti giocatori affermati a livello mondiale come Eto’o  da qui sono passati allenatori come Gullit, Zico, Advocaat e Hiddink.

Il lavoro di Spalletti è sempre lo stesso, e lo staff se lo porta dietro dall’Italia: Domenichini, Baldini e Bartali. Come interprete, l’ex Reggiana Simutenkov. A livello tattico, Spalletti ha potuto lavorare molto e incidere tanto rispetto al lavoro che si può fare in Italia. Con la lingua, Luciano non va tanto forte, giusto qualche parola, il resto in inglese: “Fondamentale il briefing di 5-10 minuti ogni giorno con la squadra in cui comunichi due, tre concetti chiari, diretti. Poi campo”.

Sulla sobria prima pagina della rivista dello Zenith (lucianospalletti.it)

Uno pensa a Gazprom e si aspetta una platea di grandi nomi internazionali, invece lo Zenith rifornisce la nazionale russa con 7-8 giocatori. Scelti spesso dallo stesso allenatore. Il tenico si occupa anche della campagna acquisti, come succede del resto in molte altre parti d’Europa: “Dico sempre, se devo allenare un giocatore voglio anche sceglierlo. Io come allenatore non faccio solo quello che mi piace e gli altri come dirigenti non fanno solo quello che piace loro. Con Bruno Alves ad esempio è andata così”.

Spalletti adora San Pietroburgo. Qui fino a pochissimo tempo fa aveva anche la residenza e si diceva favorevole anche a stabilircisi: “Con Tamara e la famiglia viviamo la città con gioia e interesse. La piccola Matilde è nata qui, mio figlio Federico studia qui. Viviamo nel verde e non ci manca proprio niente”.

L’esperienza con lo Zenith dopo i primi due anni ricchi di successi si affievolisce un po’. L’anno successivo fa 2° in campionato a soli due punti dal CSKA di Mosca. Ci stiamo avvicinando inesorabilmente al fatidico quarto anno, quello in cui sappiamo che Luciano sente il bisogno di cambiare.

O forse stavolta sono i russi che gli voltano le spalle. Il 10 Marzo 2014 viene esonerato dopo aver vinto una sola partita di campionato nelle ultime undici giocate. Nonostante questo, la squadra è ancora seconda in campionato e viene affidata a Villas-Boas che la traghetterà a fine anno ad un solo punto di distanza sempre dal CSKA.

Spalletti conclude così la sua avventura pietroburghese. Fra i tifosi e gli appassionati mancherà di certo il suo spirito umoristico, le sue battute da toscanaccio verace fuse alle freddure in tipico stile sovietico, come quando durante la presentazione gli chiesero: “In Italia è molto apprezzato il suo senso dell’umorismo, e quindi le vorrei porre una domanda. Non le disturba il fatto che in Russia nessuno abbia mai vinto il campionato senza i capelli in testa? ” Pronta la risposta del Mister: “Ho dei bei capelli, perfetti per indossare qualsiasi cappello. Tuttavia, il vostro clima è freddo, ma a causa di esso potrebbero venirmi anche nuove idee. Sarei molto felice se fossi il primo” .

Sempre durante la presentazione, anche la questione gastronomica, come per i tempi di Spezia e Viareggio, rimane un argomento importante: “Sono stato qui due volte, più gli ultimi quattro giorni dopo che sono arrivato a San Pietroburgo. E posso dire che qui mangio meglio rispetto a molti altri luoghi nei quali sono stato prima. Sì, in Italia il cibo è gustoso, ma qui tutto è a posto. Forse è stato grazie alla mia guida. Sono stato portato sempre in ottimi ristoranti e tutto ciò che ho provato qui è stato incredibile”.

E a San Pietroburgo non dimenticheranno anche le sue sfuriate alla Malesani in diretta TV a fine partita. Ecco qui sotto una delle più conosciute.

Lascia la Russia con quattro trofei e il rammarico di non aver riportato in Toscana una Coppa europea, come il suo predecessore Advocaat. Ma vincere la Champions League con lo Zenith sarebbe stata un’impresa impossibile. Qualcuno ha pensato che ora venisse il momento di guidare la nazionale russa e che la decisione di andare ad allenare lo Zenith fosse stata presa in ottica Mondiali. Qualcuno effettivamente c’ha pensato prima di lui. Fabio Capello è ancora il commissario tecnico e siamo convinti che ormai rimarrà fino a Mosca 2018, visto che un anno fa ha proprio rinnovato il contratto con la federazione russa.

RITORNO AL FUTURO 

Spalletti si trova così ad un bivio. Riprendere la strada su una panchina importante o fermarsi sui colli fiorentini e tornare alle origini? Per il momento lui ha dichiarato questo:  “Io ormai sono vecchio. Se non succedono cose particolari ne faccio benissimo a meno. In Italia ci sono bravi giovani, è giusto che tocchi a loro”.

Se trattasi di un semplice bluff o una scaramanzia celata questo non siamo in grado di dirlo, anche se optiamo più per la prima scelta. L’anno sabbatico è da poco terminato e la stagione in corso è quasi in dirittura d’arrivo, direttori sportivi e dirigenti stanno già pensando al prossimo anno e qualcosa in pentola sta sicuramente bollendo.

Pochi giorni fa, il 7 di Marzo, ha compiuto 56 anni, lontano da riflettori e giornalisti indiscreti. Luciano dice di sentirsi ormai un pietroburghese: “Le notti bianche sono emozionanti per la bellezza. La notte è tutto aperto, ti ritrovi gente che fa jogging, tantissime persone in giro, pieno di giovani, città pulita e sicura”. Fa un po’ effetto a pensare un ex-ragazzo della provincia toscana come protagonista della scena ludica di San Pietroburgo, ma del resto il fascino della Prospettiva Nevskij ti abbaglia anche se non ti chiami Franco Battiato.

Per adesso Spalletti sta alla finestra e ripenserà ai suoi 45 anni spesi nel mondo del calcio e a quale sarà la strada più giusta da prendere. Quando gli chiedono se pensava di diventare un allenatore internazionale lui risponde: “E come facevo? Io ho cominciato dalle giovanili dell’Empoli, rivendico con orgoglio la mia gavetta”. Dai playout di Serie C alla metropoli russa. Chi l’avrebbe mai detto.

E’ diventato un personaggio discusso ed è finito sulla bocca di molti, anche su quella di Mourinho: “Io parlo con la stampa perché sono obbligato. Spalletti parla prima della partita, parla durante l’intervallo e parla dopo la partita: è ‘primetime’, è amico di tutti. Io non sono così”.

Per quanto ne dica il tecnico portoghese, ultimamente Spalletti non ha parlato molto, forse perché aveva poco da dire o perché in molti non lo hanno cercato. Noi crediamo che non si sia fatto vedere di proposito e che abbia preferito salire qualche volta in sella al suo trattore, fare delle lunghe passeggiate tra le sue vigne e ogni tanto tornare a San Pietroburgo per farsi illuminare dalle notti russe lungo la Neva.

Il tempo per schiarirsi le idee sta per terminare. Dal canto nostro, non vediamo l’ora di rivederlo su una panchina di Serie A per scrivere un’altra nuova, bella ed emozionante pagina di calcio spettacolo prima di tornare definitivamente sulle dolci colline di Firenze.

Buon proseguimento Mister!

(lucianospalletti.it)