CSKA Sofia: la squadra che non può morire - Zona Cesarini

CSKA Sofia: la squadra che non può morire

Il CSKA è come una fenice: non morirà mai. Fin quando esisterà il mondo, ci sarà il CSKA.

C’era più umidità del solito quel giorno. Il vento soffiava forte e tagliente ma non importava a nessuno. Il 7 aprile 1982 è una data che in pochi potranno dimenticare a Sofia, la capitale della Bulgaria. Quel giorno si giocava CSKA Sofia – Bayern Monaco, semifinale della Coppa Campioni 1981/82.

E pensare che il teatro di quello scontro storico era lo stadio Vasil Levski, dedicato all’eroe rivoluzionario nazionale bulgaro, e al tempo stesso ispiratore della prima squadra della capitale: quel Levski Sofia che è sempre stato l’antagonista del CSKA. Il blu contro il rosso. I giovani meno abbienti delle periferie di Sofia contro i soldati dell’Armata Rossa e il popolo pro-URSS. La squadra con simpatie nazionaliste di destra contro la squadra del potere comunista. Andando un po’ oltre, Yin e Yang della Bulgaria.

Per intuire davvero cosa significhi Il derby eterno – ribattezzato così in patria – è fondamentale un episodio datato 1985: i calciatori di Levski e CSKA inscenano una rissa furiosa durante la finale di Coppa di Bulgaria: la partita viene inevitabilmente sospesa dalle autorità, in un clima di contestazioni diffuse e animi incandescenti. Ma la successiva decisione presa dallo Stato è drastica e impensabile: scioglimento delle due squadre, che devono addirittura cambiare nome. Dando linfa al pensiero secondo cui una repressione di frange del tifo aspettasse solo di essere messa in atto alla prima occasione utile.

Soltanto dopo alcuni anni di damnatio, i nomi dei club potranno tornare ad essere quelli di un tempo. È la prima resurrezione del CSKA dalle ceneri di uno scontro eterno.

Ad ogni modo, i bulgari erano arrivati al penultimo atto della Coppa dopo aver eliminato i campioni in carica del Liverpool guidati in attacco da Kenny Dalglish e difesi dal pittoresco Grobbelaar tra i pali. Il Liverpool era, in quegli anni, un vero dream team: il grande merito andava al loro manager, Bob Paisley, che aveva trasformato un club nazionale in un “intercontinental team” lasciando per strada la tradizione poco europea dei club inglesi.

cska 21esimo titolo
1981: il manifesto del CSKA per il suo ventunesimo titolo nazionale

E fino al fischio finale di Anfield, il 3 marzo 1982, sembrava che le cose fossero rimaste al loro posto ma al ritorno ci pensò Stoycho Mladenov, “il ragazzo dagli occhi di ghiaccio“, a rovesciare il risultato. Un 2-0 impossibile da prevedere, arrivato nei supplementari, che estrometteva dalla competizione più importante la squadra più temibile.

Spinti dall’impresa contro i Reds, quella sera i giocatori del CSKA volevano mangiarsi il mondo e l’inizio del match fu impietoso per il Bayern: un secco 3-0 dopo appena 18’. Il primo fu un gol di testa – potente e rabbioso – del difensore centrale Georgi Dimitrov; il secondo e il terzo furono realizzati da Tsvetan Yonchev: una magnifica punizione all’incrocio e un calcio di rigore che spiazzò il portiere del Bayern. Poi, letteralmente il buio per gli uomini in maglia rossa con i bavaresi che accorciano due volte grazie ai gol di Dürnberger e di Hoeness, subentrato dalla panchina, prima del 4-2 firmato dal solito Yonchev.

Un gol di rapina, di pura furbizia applicata al calcio. In quel gol c’è tutto ciò che abbiamo visto fare, fino a qualche anno fa, a SuperPippo Inzaghi. Il 4-3 finale è opera di quel fenomeno con la chioma afro che si chiama Paul Breitner: riceve palla, chiama l’uno-due col compagno e, dopo averlo ottenuto, spara in porta una rasoiata potente a fil di palo su cui il portiere avversario non può fare assolutamente nulla. Tutto rimandato a Monaco di Baviera.

Fondato nel 1948, il CSKA era la squadra dell’Esercito bulgaro, la squadra dei potenti, dell’autorità dominante in quel periodo storico di sovietizzazione del blocco est europeo, il simbolo di un regime che sembrava forte ma portava già in seno i primi segnali della propria caduta. Fu infatti il politico Georgi Dimitrov a fondare il Partito Comunista bulgaro prima e il CSKA poi, in modo che questa squadra potesse rappresentare la potenza del proprio governo e di un paese che cercava di divenire egemone rispetto all’URSS.

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Una giovane tifosa del CSKA

Il periodo di massimo splendore calcistico dei Rossi si raggiunse sotto il governo di Todor Hristov Živkov, amico stretto di Brežnev, con cui cercò di portare avanti l’idea di una riannessione della Bulgaria all’Unione Sovietica giustificando la scelta con il comune alfabeto cirillico e la medesima origine slava. Il suo secondo nome, Hristov, non è nuovo per gli appassionati di calcio: parliamo del più grande giocatore bulgaro di sempre, Stoichkov, Pallone d’oro nel 1994, anno in cui guidò la nazionale al quarto posto nel Mondiale a stelle e strisce.

Perché pure il numero 8 bulgaro è legato a doppio filo ai Rossi di Bulgaria, in quanto iniziò a tirare i primi calci al pallone con la maglia del CSKA Sofia facendosi un nome col passare degli anni e arrivando, nel 1990, al Camp Nou dove fu allenato da Johan Cruijff per sublimare in una delle icone sportive degli anni ’90.

Il CSKA Sofia nel 1990: Stoickhov è il quarto da destra tra gli accosciati.
Il CSKA Sofia nel 1990: Stoickhov è il quarto da destra tra gli accosciati

La gara di ritorno, giocata all’Olympiastadion, fu a senso unico: nonostante il vantaggio accumulato all’andata, i bulgari non riuscirono a raggiungere la finale di Rotterdam e caddero fragorosamente sotto i colpi di Breitner e Rummenigge, che all’andata era stato un fantasma. Un 4-0 senza appello che distrusse il sogno europeo del CSKA. Un mese dopo, in terra olandese, sarà l’Aston Villa ad imporsi sulla formazione bavarese in un unico e irripetibile successo per la squadra di Birmingham.

Oggi il CSKA Sofia si ritrova a giocare in quarta divisione bulgara dopo il fallimento, per motivi economici, avvenuto lo scorso giugno: un passaggio drammatico per i tifosi. Loro, il club più titolato e famoso della Bulgaria, costretti a giocare contro squadre dilettantistiche senza un passato in stadi troppo angusti per contenere una storia così luminosa. Il tutto per 5,6 milioni di euro di debiti contratti con il fisco. Una crisi ormai irreversibile che ha avuto origine nel 2006, con la cessione al magnate indiano dell’acciaio Mittal, caldeggiata dal patron Bozhkov, che si è acuita con due altri cambi di proprietà nel 2013 e nel 2015. Nascita, morte e continue resurrezioni. Nonostante tutto.

Per qualcuno è stato un “crocevia necessario per far sbocciare nuovi talenti” che possano riportare la Bulgaria ai livelli della selezione che stupì in America andando avanti contro ogni pronostico. Nuovi Stoichkov o Kostadinov. Gente di carattere come Petar Zhekov o i due Petrov. Giocatori di livello mondiale come Berbatov.

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Una sola cosa è sicura: il Settore G non abbandonerà per nessuna ragione al mondo il CSKA. Loro, gli ultras che amano visceralmente questo club e sarebbero disposti a morire contro i rivali del Levski, hanno affollato gli spalti anche in occasione dell’ultima partita dello scorso campionato. Quando la situazione economicamente fallimentare dei Rossi era ormai irreversibile ed evidente a tutti.

Loro erano lì, tutti con la maschera di Darth Fener di Guerre Stellari, in una delle coreografie più apprezzate e virali degli ultimi anni. Al ritmo cadenzato della Marcia Imperiale e dell’inno del CSKA.

Ma negli occhi dei tifosi bulgari rimarrà per sempre quella splendida punizione di Tsvetan Yonchev che trafisse il portiere bavarese. Precisa, tagliente, dolorosa e fuggevole. Proprio come il CSKA. Quell’immagine del numero 10 con le braccia alzate e lo sguardo assorto in mille pensieri vivrà per sempre nella curva rossa.

Che dovrà ricostruire dalle ceneri del proprio passato un futuro più importante. Ancora una volta. Proprio come il CSKA, almeno fino a quando esisterà il mondo.

Да живее ЦСКА. Lunga vita al CSKA.